IL TEATRO DI VARIETA' "LO CHALET"
Di Renato Marchese
IL TEATRO DI VARIETA' "LO CHALET"
Di Renato Marchese
FORMIA CITTA' D'ACQUA
di Renato Marchese
Per una città l'acqua è stata da sempre una delle risorse più importanti, e l'antica Formiae era famosa per la sua grande disponibilità di sorgenti, fontane pubbliche, terme, cisterne, ed altre strutture simili.
Alcuni anni addietro vennero rinvenute una lapide e alcune basi nelle quali è citata la presenza in loco di un "curator aquarum", cioè "curatore delle acque", tale Lucio Varronio Capitone a cui era affidata la cura delle acque della città.
Il curator aquarum, in epoca romana era un personaggio di rilevante importanza, scelto tra i senatori o consoli, a lui spettava la gestione ed il controllo di tutta la rete idrica della città.
Formia era ricchissima di acqua e probabilmente riforniva tutto il "Sinus Formianus", che si estendeva dalla punta di Gaeta fino a Scauri.
Nel 1930 così scrive il podestà di Formia Felice Tonetti, dopo la scoperta di una "conserva d'acqua" a Castellone:
" (...) Lo dimostrano le proporzioni di un acquedotto certamente romano, che forse ne conduceva le acque alla conserva oggi scoperta, e quelle di un acquedotto borbonico, che la adduceva alla cisterna sottostante la piazza S. Teresa, per uso del popolo e della caserma per la cavalleria ivi stanziata (...)".
La cisterna borbonica, probabilmente costruita sopra resti di epoca romana, si divide in due campate comunicanti per un totale di circa 250 metri quadrati, con un'altezza alla sommità delle volte di circa 4 metri, la cui capienza è di circa 900 metri cubi.
Nelle immagini la cisterna come si presenta oggi.
UNA GOUACHE DI MOLA
di Renato Marchese
L'ALBERGO CAPUCILLA DI FORMIA IN UN DIPINTO DI JORGEN VALENTIN SONNE
di Renato Marchese
Nell'immagine il dipinto di Sonne dove si intravede, dall'arco d'ingresso al cortile, la torre di Mola.
UN ARTISTA RISCOPERTO NELLE ILLUSTRAZIONI DI FORMIA DELL’OTTOCENTO
di Salvatore Ciccone
Nello studio degli aspetti urbanistici e monumentali succedutesi nel tempo sul territorio di Formia sono di grande ausilio le numerose stampe e disegni a cominciare dal Cinquecento. Nella loro valutazione documentale non è di minore considerazione la paternità delle opere e la loro diffusione, dove sono acquisibili valori e prove di attendibilità.
Un esempio è offerto da una raffigurazione che appare nell’annata 1860 del giornale parigino “L’Illustration”, riguardante una veduta del Golfo di Gaeta da un sito privilegiato dai colti viaggiatori dell’Ottocento, quello presso cinquecentesco Ponte di Rialto sulla via Appia, all’ingresso occidentale della città allora Castellone e Mola di Gaeta; suggestiva quanto puntuale nella vegetazione e documentata in ben più recenti cartoline d’epoca. Nella stampa, a sinistra, l’unico elemento di risalto architettonico è la terrazza appartenente alla settecentesca Villa Patrizi, poi passata alla famiglia D’Arezzo che nel primo Ottocento la trasformò in “Albergo Cicerone”. Il fabbricato posto sul limite della via, circa antistante l’incrocio con via Olivetani, fu distrutto nell’ultimo conflitto: il giardino si estendeva con un lungo viale concluso alto sull’attuale Porto Caposele, fin quando negli anni 1950 fu interrotto dalla via litoranea e da via Felice Tonetti.
Confinava ad oriente la cinquecentesca Villa Caposele, titolo del principe Carlo Ligny figlio del duca di Marzano della famiglia Laudato, il quale poi la adattò ad albergo di lusso poco prima dell’altro nello stesso periodo, fintanto che non fu acquisita da Ferdinando II di Borbone re delle Due Sicilie come sua residenza di piacere, quindi per poco posseduta dal figlio Francesco II. Risulta pertanto inesatta l’identificazione della stampa conferita dal titolo “Vue de Gaete, residence du Roi de Naples François II”, occorsa per la cronaca dell’assedio e conseguente caduta dei Borboni.
Di questa illustrazione se ne conosce un’altra edizione acquerellata a mano, a corredo di un libro svedese della metà dell’Ottocento al momento ignoto, come indica l’idioma della didascalia “Utsigt af Gaeta.”. Entrambe le stampe, ritenute di autore ignoto, corrispondono in dimensione e in ogni minimo dettaglio, prodotte senza dubbio dalla medesima lastra verosimilmente di acciaio. Tuttavia solo nella stampa francese nell’angolo in basso a sinistra, mimetizzate nell’erba compaiono le iniziali convenientemente appaiate W F corrispondenti a Franz Wenzel, napoletano naturalizzato la cui presenza nella capitale partenopea è documentata tra il 1823 e il 1866.
Invece nel calco acquarellato si osserva come i solchi delle iniziali dell’autore siano stati occlusi sulla lastra, evidentemente acquistata dall’editore svedese: uno dei tanti casi di abuso in campo artistico ed editoriale e che rappresenta una ulteriore prova della effettività della sigla e specificità dell’autore.
Wenzel fu apprezzato artista “posillipista”, collaboratore tra gli altri con Giacinto Gigante alle illustrazioni del Viaggio pittorico nel Regno delle Due Siciliedi Raffaele Liberatore e stampato da Cuciniello e Bianchi in Napoli nel 1830-33; nel 1835 inizia le litografie dei disegni del Gigante per gli Esquisses pittoresque et descriptives de la ville et des environs de Naplesdi Elisa Liberatore. Dall’Almanacco Realedel 1857 si sa che dirigeva la sezione litografica della Real Stamperia Napoletana. Per questo la sua origine supposta tedesca è forse più austriaca e probabilmente viennese e va ricercata nella fondazione della stessa Stamperia Reale voluta da re Carlo III, che di quella nazione aveva sposato Maria Amalia di Walburg e nella quale officina vennero installati i torchi della medesima provenienza.
La veduta del Golfo di Gaeta siglata con le iniziali riconducibili a Franz Wenzel è tanto più rimarchevole perché dell’autore si conosce un’altra raffigurazione di Formia, questa volta dell’opposto guado orientale non meno considerato del Ponte di Mola sul Rio Fresco: Il suo disegno è specificato sul bordo inferiore sinistro della litografia di Cuciniello e Bianchi, invece indicati sul bordo a destra. La veduta inquadra il ponte connesso alle estreme case del borgo di Mola con lo sfondo del promontorio di Gaeta, con in primo piano la nota bucolica di un pastore intento a suonare uno zufolo.
In queste pagine si è già commentata un’altra stampa erroneamente attribuita a questo sito da un altro giornale francese, “Le Monde Illustré” del 1861, raffigurante l’ingresso delle truppe piemontesi a Mola, così ulteriormente ripresa da Carlo Perrin nello Album storico-artistico della Guerra d’Italia 1860-61ed edita a Torino nel 1866, in realtà confusa con la più probabile “Palma di Nola”, oggi Palma Campania.
In questa situazione intricata di attribuzioni di autori e di luoghi, oltre che di mistificazioni, tornando alla litografia del Ponte di Mola su disegno di Wenzel, pubblicata non oltre il 1833, essa è in tutto simile a quella nell’opera di Attilio Zuccagni Orlandini “Corografia Storica e Statistica dell’Italia….” Edita a Firenze nel 1835, ma tacendo sull’autore mentre è indicato l’incisore in Leonardo De Vegni; ancora si ritrova in tutto simile, ma litografata a colori e di ridotte dimensioni, nel volume “Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato…” edito in Napoli da Filippo Cirelli in Napoli tra il 1852 e il 1859, dove sul bordo inferiore si dice tratta da un dipinto di Rudolph Muller mentre a destra è specificata l’incisione di Leale.
Dunque, nella sequenza temporale, sembrerebbe che l’origine dell’immagine sia da attribuire al Wenzel, poi resa anonima nello Zuccagni Orlandini, e quindi ricomparsa come dipinto di Muller, pittore vissuto tra il 1802 e il 1885, per il quale dipinto si deve essere servito di una delle due precedenti versioni e che il Cirelli ne ha privilegiato l’autore.
La mano di Wenzel in due illustrazioni di Formia, induce a ricercare altre sue eventuali opere nel ricco repertorio incisorio della città. Una stampa risalta nell’originalità del soggetto, apparsa sul giornale tedesco “Frankfurter Zeitung” nella medesima circostanza della caduta dei Borboni con il titolo qui così tradotto: “Mola di Gaeta. Secondo un disegno di Arthur Blasdjnich”. È una veduta dalla parte alta dell’abitato sulla via Appia rivolta verso oriente e prossima alla chiesa del Carmine, dove si scorgono i noti cipressi dell’ingresso di Villa Caposele: in primo piano una terrazza percorsa da varie persone in ricercati abiti civili, allusione al luogo frequentato dai più ricchi viaggiatori del vicino Albergo Cicerone. Il disegno di Blasdjnich del 1853, a matita e biacca, è stato pure trovato ed è ora di proprietà di un collezionista formiano, fatto entusiasmante e che rende completezza nei riscontri della ricerca.
In questo caso l’autore è decisamente esplicitato nella didascalia del giornale e pertanto l’incisore non ha apposto una sua sigla sulla lastra, ma è indubbiamente il Wenzel per l’inconfondibile tratto e per aver animato con tanti personaggi non presenti nel disegno originale, il tutto confrontabile con la sua veduta dal Ponte di Rialto.
Al valore documentario di queste rappresentazioni si è ora aggiunta la conoscenza degli autori, quasi un atto di gratitudine per avercele consegnate, che ne aumenta il contenuto emozionale e a suscitare una maggiore ponderazione. Infatti gli studi di qualsiasi natura non avrebbero significato se non aprissero la mente a più vaste e profonde dimensioni interiori, a superare i muri dello spazio e del tempo: una opportunità che proprio nelle supreme incertezze dei tristi avvenimenti attuali può offrirci la capacità per meglio orientarci a superarli.
Immagini:
- Incisione della veduta dal Ponte di Rialto pubblicata su “L’Illustration”: in basso a sinistra tra l’erba le iniziali W F di Franz Wenzel.
– Incisione acquarellata a mano dalla medesima lastra pubblicata su un libro svedese: le iniziali W F nella posizione della stampa precedente risultano cancellate.
- Due cartoline d’epoca con la medesima veduta incisa dal Wenzel e l’edificio della settecentesca Villa Patrizi dal Ponte di Rialto.
– Il Ponte di Mola nell’incisione pubblicata da Cuciniello e Bianchi nel 1833: sul bordo in basso a sinistra se ne indica il disegno di Franz Wenzel.
– Il Ponte di Mola nell’incisione pubblicata da Zuccagni Orlandini nel 1835 tacendo l’autore.
– Il Ponte di Mola nella litografia a colori pubblicata da Filippo Cirelli negli anni 1850: sul bordo in basso a sinistra si indica originata da un dipinto di Rudolph Muller.
– Veduta dell’abitato di Mola e Castellone dalla parte prossima alla Villa Caposele apparsa negli anni 1860 sul “Frankfurter Zeitung” dichiarata su disegno di Arthur Blaschnik ma confrontabile nell’incisione con la prossima veduta di Franz Wenzel.
NAVI DELLA FLOTTA NAPOLETANA E SPAGNOLA NELLA RADA DI GAETA
di Renato Marchese
Navi della flotta napoletana e spagnola nella rada di Gaeta, 1849 Frans Vervloet (1795 –1872) olio su tela cm 62 x 82 , custodito nel museo nazionale di San Martino Napoli.
Figlio di Frans Vervloet Primo, pittore e professore all'Accademia Belga di Mechelen, apprese i primi insegnamenti dell’arte pittorica dal padre e poco più che ventenne era già un artista affermato.
Nel 1822 effettua il suo grand tour in Italia, restandone affascinato. Si stabilì dapprima a Roma e dal 1824 a Napoli, dove eserciterà la sua arte con molto successo. Nel 1832 si reca a Venezia e ne resta affascinato. I suoi viaggi lungo l’Italia si susseguono, ritraendo, oltre Venezia e Napoli, Palermo, Livorno, Gaeta, e diverse città della Puglia.
In uno dei suoi frequenti viaggi a Gaeta, eseguì nel 1848 un ritratto del papa Pio IX, all’epoca rifugiato nella roccaforte.
Nel 1861 stabilisce definitivamente la residenza a Venezia dove scompare all'età di 77 anni.
Nelle immagini il dipinto della rada e il ritratto di Pio IX.
"VOTI E SPERANZE PER I CITTADINI DI MOLA E CASTELLONE"
di Renato Marchese
Nel XIX secolo, l’incantevole paesaggio, i siti archeologici dell’antico impero romano e la presenza in loco di strutture alberghiere degne di fama, era quello che Formia offriva ai viaggiatori italiani e stranieri che vi sostavano. Ma il compatto urbano necessitava dell’apporto di rilevanti migliorie poiché era incapace di sfruttare a pieno le potenzialità di sviluppo che il soggiorno dei viaggiatori stranieri poteva arrecare alla città.
Pasquale Mattej nel 1854, aveva centrato il problema ed espose un suo progetto per la città, descrivendolo nel suo lavoro: “Voti e speranze per gli abitanti di Mola di Castellone”.
Sintetizzo con le stesse parole del Mattej quello che il nostro illustre concittadino avrebbe voluto per Formia:
“(…) Nel piccolo quadrilatero della darsena antica, abbenché in abbozzo, Mola si allieta di una piazza, e poco lungi, di una fontana. Castellone all’opposto nemmeno il vantaggio possiede di acque nell’interno dell’abitato più numeroso, ed è obbligato ad attingere di lontano (…)
Nell’immagine un disegno di Pasquale Mattej del 1847 che ritrae il borgo di Castellone.
“(…)Direm prima di Mola (…) Egli è da convenir facilmente che la spiaggia di Mola presentando un’abbondante e più simmetrica ed architettata fontana, un poggio o meglio verone sporgente sul mare accomodato a sedili marmorei a parapetto, uno sbarcatoio di cui manca l’attuale spiaggia, uno spazio passeggiabile all’aperto delizioso dell’aere e del mare, ed una piazza di commestibili nella Darsena con la sua opposta appendice; certamente diverrebbe il più nobile e maestoso sito che immaginar si possa conveniente a capitali città anziché a paesi di Provincia.(…) Ora diremo di Castellone(…)di una piazza si sente tuttavia la grave mancanza.(...) Essa si circonderebbe di botteghe coperte da un porticato che correrebbe tutto il giro del semicircolo, e a diversi uffici quelle sarebbero destinate secondo i bisogni della piazza e gli ordinamenti che il Decurionato stabilirebbe. Ciò che importa un utile futuro finanziario per la comunale Amministrazione.(…) Ma prima di accennare in questa piazza l’elegante fontana che dovrebbe sorgere nel suo bel mezzo, gli è d’uopo tener d’occhio all'acqua necessaria al sito.(…)”
I voti e speranze" di Pasquale Mattej non rimasero lettere morte, Ferdinando II, che nel 1852 aveva acquistato Villa Caposele, decise di porre rimedio alle principali carenze urbanistiche dei borghi di Mola e Castellone, provvedendo allo sviluppo e all'ottimizzazione del luogo dove aveva eletto sede della sua nuova dimora.
L'architetto Salvatore Ciccone, nel suo articolo: “Amenità naturali e nuove architetture: residenze nobiliari ed edifici ecclesiastici”, pubblicato sul volume terzo della “Storia Illustrata di Formia”, nel 1998, così descrive i lavori fatti eseguire dal Ferdinando II:
“(…) Venne quindi migliorata la rete viaria , in specie sulla spiaggia di Mola, e creando nuovi percorsi come la circonvallazione di Rialto-Castellone- Santa Teresa il raccordo lungomare tra la villa e la via Flacca Di Vendicio e da questa all’Appia con la “Via Ferdinandea”, attuale via Vendicio, agevolando il traffico da e per Gaeta. Si intercettarono le sorgenti nella valle di Santa Maria la Noce sopra Castellone e tramite un acquedotto si dotò la villa di acqua, che non ne era priva ma nell’interno dei due più bassi “ninfei” romani. Due fontane ornarono quindi il giardino superiore: quella dei Cupidi in asse al portico, con grande vasca circolare e statue marmoree dell’epoca, e quella più in basso ad oriente, sotto la pergola a cupola in ferro, pure circolare, con al centro la statua di Davide attribuita a Gianlorenzo Bernini. Lungo il percorso dell’acquedotto e con diramazioni si crearono fontane pubbliche sotto la Torre di Castellone, al centro del nuovo emiciclo colonnato della piazzetta Delle Erbe, alla Marina di Castellone e presso Santa Teresa. (…)”
Nelle immagini alcuni disegni di Pasquale Mattej del 1847 : il borgo di Mola e la sua piccola baia, una veduta di Castellone con lo sfondo di Mola e il monastero degli Olivetani con la torre ottagonale.
ROBERT SCOTT LAUDER E IL MAUSOLEO DI CICERONE
di Renato Marchese
Il pittore Scozzese Robert Scott Lauder (1803 - 1869), conosciuto come "il pittore della storia", per aver dipinto personaggi e gesta che hanno lasciato il segno nella storia. Scott Lauder da giovanissimo entrò nell'Accademia Reale dell'Arte Scozzese, dove in breve tempo ne divenne uno dei maggiori rappresentanti. Nel 1833 si trasferisce a Roma per completare i sui studi artistici. Appassionato studioso della storia romana, rimase affascinato dalla figura del grande oratore Marco Tullio Cicerone, volle conoscere il luogo dove incontrò la morte e si recò a Formia dove disegnò il mausoleo che la tradizione attribuisce a Cicerone.
Nell'immagine l'incisione da lastra di rame trattata all'acquaforte, realizzata dallo stesso Robert Scott Lauder e proveniente dal suo disegno.
UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE
di Salvatore Ciccone
(Quarta ed ultima parte)
La chiesa della Madonna delle Grazie nell’illustrazione dell’architetto Charles Percier del 1788, presenta svariate informazioni e spunti sulla sua architettura. Oltre agli aspetti già rilevati è possibile qualche considerazione sulle sue proporzioni, sia pure con molta prudenza in confronto ad una piantina abbozzata. In ogni caso si osserva che il corpo centrale ha una lunghezza doppia della larghezza e ciò corrisponde a quella dell’edificio giunto oggi trasformato che è di circa 10 metri di larghezza e venti di lunghezza. La facciata comprensiva il colmo del tetto risulta una volta e mezza la larghezza; il protiro il doppio della sua base. Meno intuitiva è la misura dei sagrati che però sembra determinata dalla larghezza del corpo centrale più l’incremento di un quarto della larghezza a determinare un quadrato in cui tutta la pianta ne è contenuta in quattro susseguenti: sulla linea del suddetto quarto dalla facciata ricadono i centri dei protiri.
Il criterio proporzionale evidenzia una progettualità colta del resto riscontrabile nell’aspetto pregevole pur sobrio. Risalta il modello dell’edificio a navata passante, conformata al transito viario nell’originaria esigenza di rivolgere la chiesa secondo il sorgere del sole, ma senza offrire alla vista un lato postico generalmente occupato da un’abside e cioè offrire sui due sensi la sua connotazione devozionale. Però questa forma inconsueta potrebbe relazionarsi ad una finalità di apostolato di tipo monastico, nella cui cultura architettonica si sperimentarono e svilupparono modelli.
Un ordine monastico, oltre l’assistenza ai viandanti, avrebbe avuto anche vantaggi in offerte dal transito commerciale. Una regola particolarmente congeniale ai luoghi frequentati è quella basiliana, dove ogni loro ingresso o passaggio era protetto dalla “Madonna portinaia”. In questa esigenza di porsi al pubblico risalta a confronto la chiesa basiliana del XII secolo a San Demetrio Corone in provincia di Cosenza, dove l’ingresso sulla facciata è stato chiuso per spostarlo sul fianco più frequentato e sormontato da campanile.
Questa traccia trova ulteriore confronto a Maratea, dove l’antica chiesa basiliana era intitolata alla “Madonna delle Grazie”, poi divenuta santuario di S. Biagio, il protettore del paese, quando nell’anno 732 da una nave riparata per una tempesta fu sbarcata un’urna con parte delle ossa del Santo destinate a Roma e che un prodigio, strane luci sulla nave (i fuochi di S. Erasmo), venne interpretato come la volontà del Santo di rimanere in quei luoghi: l’episodio sarebbe avvenuto a ridosso dell’isolotto di “Santo Janni”, davanti il paese, interessante corrispondenza con la nostra zona. È infatti da considerare che la foce del Fiume di Giànola poteva essere luogo di approdo riparato in parte dal promontorio tanto da richiedere il presidio di una torre detta anche “della Chiaia”; non quindi da escludere che qui vi fosse un piccolo insediamento collegato con la strada che all’estremo incrocio con l’Appia annoverava la chiesa.
L’ipotesi è concreta vista la permanenza presso Gaeta del monaco basiliano San Nilo (Rossano 910- Tuscolo1004), nel cui cenobio accolse l’imperatore Ottone III di Sassonia, come fu anche presente a Montecassino e nel cenobio greco della vicina contrada di Valleluce. È altresì interessante come il Santo in ritiro nel Mercurion, lungo il fiume Lao tra Calabria e Lucania, scelse come romitorio una caverna dedicata all’Arcangelo S. Michele, in similitudine alla tradizione legata alla grotta di Giànola detta “Fontana delle Sette Cannelle”, secondo la quale fu ricovero di un abate poi fondatore dell’omonimo cenobio sul monte Altino.
C’è dunque materia da approfondire e che probabilmente in parte rimarrà solo nel campo delle ipotesi.
Tornando invece all’architettura della chiesa ritrovata, dal disegno del Percier ho tentato uno schizzo restitutivo del modello, dove però agli elementi certi ho omesso di posizionare arbitrariamente il campanile: doveva essere certamente ‘a vela’ e sul versante di Mola, poiché nascosto nella prospettiva di Percier; a filo di facciata o più probabilmente trasversale lungo la parete a monte. Bisogna specificare che abbiamo una forma compiuta di un periodo, ma nulla vieta un edificio più antico, come pure più remoto il supposto abitato rivierasco.
L’individuazione del sito e della forma della chiesa della Madonna delle Grazie sento essere di grande importanza per la conoscenza della storia e per l’identità del territorio peraltro sempre più rovinato, informe, insignificante e straniante; ciò lo è tanto più per la luce di speranza che vi emana a fronte dell’altrettanto scempio dell’umanità.
Immagini:
- Schizzo restitutivo della chiesa della Madonna delle Grazie nell’aspetto veduto da Percier nel 1788, nel verso di sinistra in direzione di Mola (S. Ciccone 2020).
– Chiesa basiliana a San Demetrio Corone, dove l’ingresso è stato spostato verso il fianco più frequentato.
UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE
di Salvatore Ciccone
(Terza parte)
Per il ritrovamento della chiesa Madonna delle Grazie è stato determinante il disegno del 1788 dell’architetto Charles Percier, la cui piantina e la vista della facciata si confrontano con l‘entità di un edificio del tutto avulso posto sul bordo della via Appia, in corrispondenza con l’incrocio della cointitolata via. È da sottolineare infatti come in questo genere di sacre costruzioni e non solo, informazioni scritte dai documenti d’archivio non riescono da sole ad individuarne l’esatta posizione né per lo più l’aspetto definito. Dunque questa ricerca ha avuto successo perché quel disegno ha costituito l’anello mancante della catena di informazioni destinata altrimenti a rimanere interrotta[S1] ; non solo, perché l’obiettivo che mi ero posto era quello di identificare il luogo cui il disegno era riferito, per il recupero di una testimonianza di elevato interesse di un periodo del territorio di Formia.
Il più approfondito esame dell’illustrazione fornisce molte informazioni e spunti di ricerca a partire dalla piantina. Dalla sua prima osservazione si verifica un disorientamento nel confronto con la facciata. Si è infatti tratti in inganno dal parziale ripasso a penna sulla matita, che evidenzia spostato verso la destra della facciata uno dei due opposti protiri, mentre nell’aspetto esso appare sulla sinistra: in realtà si vede come il ripasso a china, anticipato da prove di pennino, dovesse essere eseguito su tutta la pianta ma poi interrotto. Dunque la facciata figurata si riferisce alla parte rimasta a matita. Ad incalzare lo sviamento è il basso muretto su cui sembrano poggiare le colonne del protiro e che quindi non appare corrispondente alla piantina: invece si tratta di una sovrapposizione di due elementi distanti tra loro, cioè tra le colonne, sicuramente per consuetudine elevate su un basso piedistallo quando non su ‘leoni stilofori’, e il muretto che nella piantina recinge il sagrato.
La specularità degli accessi e dei sagrati indica chiaramente che l’edificio fosse affiancato ad una via, come il consimile coevo esempio a Fondi della chiesa di S. Maria del Soccorso (come è stato rilevato da alcuni lettori) pure sulla via Appia, ma nel tratto occidentale dalla città. Qui non si presenta una compiuta recinzione ed è possibile che l’intangibilità del sagrato fosse evidenziata dalla pavimentazione acciottolata; nel nostro caso invece il basso muretto poteva già da solo definire l’area sacra. Per di più le due aree sporgono da un fianco del corpo di fabbrica aprendo dei passaggi, oltre a quelli posti in asse ai protiri, e questo per invogliare al massimo l’accesso sul tratto viario. Pertanto questa particolarità indica che nella parte in basso della piantina corresse la via, ciò che oltremodo confermato nell’aspetto, dove si vede un cippo paracarro nella terminazione sinistra del muretto; quindi la facciata ritratta quella a destra della piantina cioè rivolta verso oriente, da quanto si evince dalle ombre a metà mattina. Ovviamente le apparenze ingannano e nella prospettiva centrale la recinzione sembra contenuta nella facciata, complice anche la copertura data dalla colonna del protiro; si spiega perciò anche l’avanzamento del pioppo sulla sinistra dell’immagine che doveva situarsi sul bordo della strada verso Mola.
Riguardo alla forma del protiro, interessante è la copertura a lastrico del resto usuale in queste zone, per stagliare l’arco ogivato. Questo mostra un risalto sull’archivolto con uno stemma in chiave; le colonne hanno capitelli corinzi di forma classica e verosimilmente elementi antichi di spoglio; nella piantina appare l’indicazione di un soffitto con volta a crociera. La struttura è comunque concepita alla sua sola funzione statica e non certamente il resto di un campanile, come ad esempio nella chiesa di S. Maria in Castagneto: i ritti e l’arco ricordano l’accesso alla cattedrale di Gaeta sotto il campanile, ma per quello inglobati in più resistenti piedritti.
La porta di ingresso che si intravede in ombra delinea un ricercato portale con cornice a dentelli, forse anche di recupero, e sopra una lunetta ogivale dove sembra intravedere una immagine.
Riguardo il lucernario a rosone, sicuramente ad elementi marmorei dell’epoca, si nota contornato da puntini, probabilmente indicativi di una decorazione a ciotoline di maiolica, come nelle parti trecentesche della SS. Annunziata di Gaeta e documentatamente attorno agli archetti della merlatura della Torre del Castello di Mola riferibili alla fine del Duecento: in effetti l’altezza della facciata, più goticheggiante, ne accomunerebbe la datazione. Da notare sotto il rosone le buche pontaie atte all’inserimento dei pali di sostegno dei tavolati per le ricorrenti manutenzioni. Il tetto ha falde poco inclinate, forse così valutate dal basso, comunque ammissibili nelle nostre zone purché coperte con tegole di tipo romano, tant’è che lo sporto è appunto sottile.
Nella piantina nulla si evince dell’interno, forse perché nell’occasione non visibile, ma è certo che l’altare fosse nel vano monte della navata. Invece nello spazio dei due sagrati incuriosisce l’indicazione con dei puntini sulla linea delle colonne dei protiri, come se vi dovessero essere delle colonne a dividere le navate di due cappelle speculari. Vista la forma compiuta dei due avancorpi d’ingresso, questo appunto pare del tutto arbitrario forse nel ricercare posteriormente una ragione ad un impianto così originale.
Questo è quanto in grandi linee si può ricavare dall’analisi del disegno certamente ben più di quanto ci possono dire ad ora più generici documenti d’archivio. Questo è quanto emerge restando nell’obbiettivo di un recupero alla conoscenza della comunità e alla fede in questo momento più viva.
Immagini:
– L’illustrazione di Charles Percier della chiesa identificabile con la Madonna delle Grazie: in basso la piantina dell’edificio a parte ingrandita (da Aldo Treglia, Mola e Castellone di Gaeta oggi Formia, 2014).
- Le due opposte facciate della chiesa di Santa Maria del Soccorso a Fondi.
UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE
di Salvatore Ciccone
(Seconda parte)
Dopo la trattazione sintetica della ricerca che ha condotto al ritrovamento della chiesa Madonna delle Grazie, si può ora procedere ad una più dettagliata argomentazione.
Le carte topografiche che hanno rivelato presenza del titolo e posizione dell’edificio rimontano al massimo a quella marittima redatta da Rizzi Zannoni nel 1785, quindi tre anni prima del passaggio di Percier. Questo non implica una coeva datazione dell’edificio, del resto ben più antico da quel che appare, ma per il fatto che in quell’epoca si verifica il salto di qualità nella cartografia verso la più fedele rappresentazione dei luoghi. In questa carta una chiesa è indicata con un simbolo, una croce greca, posto aderente sul lato monte della via Appia in corrispondenza della foce del fiume di Giànola. Espressamente derivata da quella è una carta nautica inglese del 1790, che invece della croce pone un simbolo corografico di un edificio ecclesiale. In entrambe non vi è menzione del titolo che invece compare nell’ulteriore affinamento topografico della carta napoleonica di Tardieu del 1806 con il toponimo “Le Grazie”: l’edificio nella medesima posizione è formalmente specificato con un rettangolo allungato; lo stesso compare nella mappa disegnata da Pasquale Mattej nel 1852, evidentemente su una base topografica borbonica, con in più posta davanti, l’imbocco della via che sappiamo essere intitolata alla Madonna delle Grazie, quindi l’edificio esistente individuato.
La situazione topografica è esattamente definita nelle mappe catastali risalenti alla fine dell’Ottocento, ma divise tra i due comuni allora di Formia a valle dell’Appia e di Marànola nella parte a monte, territorio questo dove insisteva la chiesa.
Contrariamente a queste attendibili mappe, nelle prime carte topografiche militari l’edificio non compare e questo perché derivate da una precedente cartografia ‘piemotese’ ancora avulsa della precisa specificazione strutturale, sebbene recuperata negli aggiornamenti di metà Novecento.
Insomma l’edificio rispondente ad una chiesa è chiaramente individuato nelle mappe, in considerazione poi del fatto che davanti ad esso traeva origine la via Madonna delle Grazie che attraversa il sottostante declivio, fino alla spiaggia del mare presso la foce dominata dall’omonima torre sull’appendice del promontorio detta prima anche “della Chiaia”.
Della chiesa certamente si possono avere notevoli informazioni sulle caratteristiche e sulle pertinenze da diplomi o atti d’archivio, ma essi non sono determinanti alla sua individuazione ben precisata dalle mappe e convalidata da altri fattori fisici derivati dalla sua peculiare pianta e di cui tratterò nella prossima parte.
Resta infatti in questa circostanza vivo il sentimento nel ricercare questo sacro edificio alla Vergine delle Grazie, quasi come preghiera di dissolvere le tenebre di questo difficile momento.
IMMAGINI
1 – Carta marittima di Rizzi Zannoni del 1785, dove la chiesa è indicata da una croce sul bordo della via Appia.
2 – Carta nautica inglese del 1790, dove la chiesa è indicata nel medesimo luogo della precedente con un simbolico edificio ecclesiale.
3 – Carta napoleonica di Tardieu del 1806, in cui è specificato il toponimo “Le Grazie” e il sottostante edificio rettangolare.
4 – Mappa disegnata da Pasquale Mattej nel 1852 dove si aggiunge la viabilità campestre in relazione al medesimo edificio individuato come chiesa.
5 – Stralcio di mappa catastale del comune di Marànola di fine Ottocento con l’edificio della originaria chiesa sul bordo della via Appia.
6 – Stralcio di mappa catastale del comune di Formia di fine Ottocento corrispondente a quello di Marànola, dove l’edificio individuato corrisponde alla via Madonna delle Grazie.