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mercoledì 23 giugno 2021

LA NOTTE DI SAN GIOVANNI NEL BORGO DI MOLA TRA PAGANESIMO E MAGIA


La notte tra il 23 e 24 giugno, conosciuta come la "notte di San Giovanni" è notoriamente associata a numerose forme di divinizzazione.
La celebrazione di antichi riti era legata al solstizio d'estate, poiché nella notte che precede la festa di San Giovanni, tra il 23 ed il 24 giugno, si vive un momento magico che ricade nei giorni, quando il sole e la luna si sposano e dal loro sposalizio si riversano energie benefiche sulla terra e in special modo sull'acqua del mare.
Nel borgo di Mola, la "notte di San Giovanni, era ritenuta la notte dei miracoli, che per secoli ha alimentato credenze ed usi popolari. In questa ricorrenza era costume bagnarsi a mezzanotte nelle acque antistanti la piccola spiaggia sotto la torre di Mola.
Nel credo popolare, molteplici erano i benefici che il bagno riusciva a trasmettere, difendeva le persone da ogni tipo di influenza malefica, favoriva gli incontri ed i fidanzamenti, preservava dai dolori reumatici e stimolava la ricrescita dei capelli.
La Chiesa ha sempre ostacolato questi riti, ritenendoli pagani, e con il tempo è riuscita ad imporrei i propri.
Nelle foto un olio su tela del 1950 del maestro Settimio Guglielmo, che ritrae "Il bagno di San Giovanni" e una fotografia della spiaggia, della stessa epoca del dipinto, dove avveniva il rito.
Da “GAETA MAGICA” di Benedetta Zinicola – Edizioni Adriano Gallina Editore – Novembre 2020 LA NOTTE DI SAN GIOVANNI TRA CREDENZE E RITI
Da sempre la notte della ricorrenza della festa di San Giovanni Battista è ritenuta essere una notte magica, per riti di diverso genere, legati ad antiche cerimonie celebranti il culto solare. È una delle quattro notti magiche dove i poteri soprannaturali sono più forti. Tra il 23 e il 24 giugno infatti, il sole raggiunge il suo apogeo, il suo massimo potere caldo e sembra fermarsi. I contadini accendevano i falò, in onore del sole per propiziare la sua benevolenza e rallentarne la discesa. Non solo: era anche un rito purificatore. Nel falò vi gettavano dentro cose vecchie affinché il fumo che ne scaturiva tenesse lontani spiriti maligni e streghe. A volte si bruciava un pupazzo invece del falò, come in Epifania, così da bruciare simbolicamente malasorte e avversità. Il bestiame veniva fatto passare attraverso i fumi del falò per sconfiggere le malattie e quindi la morte del prezioso bene, oltre a proteggerlo da fatture e malie di occhi invidiosi. La cenere lasciata dai falò poi veniva utilizzata dalle persone per passarla sul corpo e sulla testa in modo da scacciare i mali fisici. Propiziare il raccolto e proteggersi dal male era tipico delle superstizioni antiche e "chi meglio di San Giovanni, patrono delle antiche sette esoteriche cristiane poteva aiutare?". La notte di San Giovanni è una notte importante, perché dedicata a diverse forme di divinazione. Era noto il rituale della "fusione del piombo" (Squaglià la piùmme) . Consuetudine era fonderne sul fuoco alcuni pezzi che, gettali nell'acqua di una bacinella, assumevano delle forme da cui si traeva una sorta di oroscopo per le giovani da marito. Una volta fuso, dicendo: "A nome de San Giuanne" si gettava la fusione nell'acqua della bacinella che veniva contemporaneamente coperta, poi si recitavano alcune preghiere, ci si segnava e si scopriva. Alle forme che aveva assunto ii piombo raffreddandosi, si attribuivano vari significati e da questi si traevano presagi per il futuro prossimo. Le nubili attendevano con ansia questa festa per farsi predire il futuro amoroso perché San Giovanni era considerato il protettore delle innamorate, e per trarne indizi sul futuro marito. Diversi erano i metodi di divinazione, dal piombo fuso alla chiara di uovo, alle fave sotto al cuscino. Ma tutte utilizzate per la divinazione amorosa... Anche le Ianare avevano il loro gran da fare in questa notte magica, perché andavano alla raccolta del fiore stramonio sulle montagne. Grande festa è ovviamente anche nella città di Formia, dove si andava nella Chiesa dedicata al Santo per ringraziarlo dei passati dolori di testa. Infatti ci si rivolgeva a San Giovanni per guarire dall'emicrania. Consuetudine era anche preparare "l'acqua di San Giovanni" ossia in un catino con acqua erano messe a macerare varie piante officiali: lavanda, salvia, rosmarino, petali di rosa, menta, artemisa, camomilla, iperico". La mattina quest'acqua, veniva filtrata e utilizzata per lavare il viso e corpo. Questo antico rituale magico, tramandato da secoli, si narra che, fosse utile a far ricrescere i capelli, favorire la fecondità, curare la pelle e allontanare le malattie. La mattina del 24 giugno si potevano immergere i bambini in quest'acqua profumata per detergere e idratare la pelle. L'acqua di San Giovanni era poi travasata in una bottiglia, conservata al buio per tutto l'anno e utilizzata ogni volta per le abluzioni. Si riteneva infatti, che avesse il potere di scacciare influenze negative. È poi sconsigliato fare il bagno a mare prima della ricorrenza, perché il Santo viene a tirare i piedi con pericolo di annegamento ed anche lavarsi i capelli, perché a chi lo fa, da morto, usciranno i pidocchi in testa. In realtà, quel "piede tirato" non era altro che un possibile crampo che l'acqua ancora fredda del mare avrebbe causato a chi mettesse piede in mare. Le mamme utilizzavano questo espediente per tenere lontani i bambini dall'acqua marina non ancora scaldata pienamente dai raggi solari. Queste sono alcune delle più note credenze antiche legate alla Festa di San Giovanni Battista perché questa notte era ritenuta la "notte dei miracoli". La celebrazione di antichi riti era legata al solstizio d'estate, le energie cosmiche derivanti dallo sposalizio di sole e luna, si riversavano sulla terra permeandola di energie benefiche, in particolare l'acqua del mare. Nel borgo di Mola, era consuetudine bagnarsi a mezzanotte nelle acque sotto la piccola spiaggia della torre di Mola. Nel credo popolare, molteplici erano i benefici che il bagno riusciva a trasmettere: "difendeva le persone da ogni tipo di influenza malefica, favoriva gli incontri ed i fidanzamenti, preservava dai dolori reumatici e stimolava la ricrescita dei capelli" (cit. da Renato Marchese). La notte della festa di San Giovanni è anche conosciuta come la "notte delle streghe" e "notte dei falò" accesi dai contadini nelle campagne. Secondo le tradizioni popolari, si credeva che le streghe in questo particolare momento astrale, per espletare i loro sortilegi, avrebbero sorvolato Roma passando sopra lo stradone di San Giovanni e la Basilica di San Giovanni, per recarsi all'annuale sabba che si teneva presso il noce di Benevento. Tra le streghe, la leggenda vuole che ci fossero anche Erodiade e sua figlia Salomè, condannate a vagare per il mondo su una scopa per espiare la colpa di aver fatto decapitare San Giovanni. Un'usanza molto diffusa era anche quella della raccolta delle erbe, le cosiddette "erbe di San Giovanni", piante officiali curative. Il popolino, d'immaginazione così fervida, credeva che rotolarsi sui prati inumiditi dalla rugiada avrebbe curato reumatismi. Questa rugiada miracolosa avrebbe anche bagnato alcune erbe dalle proprietà farmacologiche come la ruta, l'artemisia, la salvia, la menta, e l'iperico, tra le più note erbe di San Giovanni, e un tempo ritenuto un potentissimo rimedio contro malocchio e malefici. Nota anche come "scaccia diavoli", proprio per la credenza che scacciasse ogni tipo di male o spirito maligno. L'iperico, appeso ed essiccato, con rosmarino e salvia, fungeva da protezione contro le streghe. Sono quindi tantissimi i significati esoterici che caratterizzano questa festa un po' in tutto il nostro territorio. Nel Frusinate poi, lungo il fiume Liri, le donne, nella notte di San Giovanni, battevano l'acqua con scope e scongiuri per allontanare le Ianare e raccoglievano anche le felci, altra pianta considerata magica, per utilizzarle contro la presenza diabolica. Non solo anche altre erbe quali ruta, artemisia, verbena, mirto, valeriana, stramonio venivano raccolte per essere utilizzate per preparare filtri amorosi, o la salvia per proteggersi dalla febbre. In passato i contadini coltivavano l'iperico, questa pianta dai fiori gialli, e ne appendevano dei mazzetti vicino la porta di casa o sulle finestre, a mò di amuleto oppure lo collocavano nelle stalle, per proteggere gli animali. Una leggenda lega l'iperico alla figura dei Battista, decapitato per volere di Salomè, narrando che questa pianta fosse nata dal sangue del Santo, e per questo motivo venne chiamata erba di San Giovanni. Il nesso con la leggenda verrebbe confermato dal fatto che i petali dell'iperico, strofinati sulle dita, macchiano di rosso e quindi ricorderebbero il sangue del Santo. Secondo la tradizione, il motivo per cui l'iperico viene raccolto il giorno di San Giovanni, 24 giugno, sarebbe invece da ricollegare alle streghe. In questa data le streghe si riunivano per festeggiare e le persone, sapendo che erano in giro, si infilavano negli abiti erbe di protezione, come l'iperico o l'aglio. Un'altra leggenda gli attribuisce il nome di "scaccia diavoli", appellativo che gli viene attribuito per la credenza popolare, che avesse il potere di tenere lontani gli spiriti maligni. Difatti, si narra che il suo significato vero sia "al di sopra" ossia al di sopra delle apparizioni soprannaturali e quindi in grado di scacciarle via. L'iperico veniva messo sotto ai cuscini o appeso alle porte, proprio per scacciare il male. Una consuetudine antichissima. Un altro legame tra San Giovanni e le streghe è rappresentato dall'acqua. Poiché San Giovanni è "colui che battezza Gesù", la rugiada del 24 giugno ha poteri curativi e spirituali molto forti. Questa virtù sarebbe trasmessa alle piante. Per questo motivo, le streghe sarebbero uscite in questa notte a raccoglierle, per rendere più efficaci le loro pozioni e i loro filtri. Quando festeggiamo San Giovanni, ricordiamoci anche quanto sia importante a livello antropologico, proprio per la storia dell'uomo, per le sue credenze, le sue superstizioni, in un fantastico mix tra sacro e profano. Nell’immagine una processione del 24 giugno dell’inizio degli anni Trenta e la pianta dell’iperico.

martedì 15 giugno 2021

TORQUATO TASSO A FORMIA
Torquato Tasso, tra i maggiori letterati italiani del Cinquecento, è stato un poeta, scrittore, drammaturgo e filosofo, autore del capolavoro la Gerusalemme liberata. Tasso nasce nel 1544 a Sorrento e fin da piccolo è costretto a viaggiare in diverse città italiane per volere della famiglia. Seguito dapprima da un precettore privato, viene poi educato alla scuola dei Gesuiti. Giovanissimo lascia Napoli per trasferirsi a Roma con il padre, senza mai abbandonare la terra natia. Era solito viaggiare da Roma a Napoli, seguendo l'antico percorso della via Appia, come consuetudine fermarsi a Formia per riposarsi e dimezzare la fatica del lungo viaggio in carrozza. Nell'aprile di 1592 partito da Napoli e diretto a Roma, aveva raggiunto Formia per riposare nel solito albergo. In quell'epoca nel territorio imperversava il temutissimo Marco Sciarra, brigante feroce e ardito, famoso per le sue razzie e devastazioni nelle campagne e nei villaggi. Derubava e uccideva i viaggiatori di passaggio lungo l'Appia ed era soprannominato "flagellum Dei". Il Tasso informato della presenza di Marco Sciarra in loco pensò di prolungare la sosta a Formia fino a quando non fosse scongiurato il pericolo.
Da un suo taccuino si legge:
"Siamo qui a Mola, fermi per il terrore di incontrare Marco Sciarra, che è nella vicinanza con tantissimi ruffiani. Ieri, ci hanno detto che hanno ucciso molte persone del paese, e tante altre le hanno prese prigioniere. . . . "
Il giorno seguente, il Tasso aggiunge:
"L'altra notte, questo paese intero risuonava delle grida delle donne, quando i banditi hanno assalito Castellone. Ho desiderato di andare avanti con anima e spada, ma sono stato trattenuto dai miei compagni."
La presenza del Tasso a Mola non rimase un mistero per Marco Sciarra. Un po' lusingato e un po' amareggiato per l'eventuale mancato "bottino", con un gesto di inimmaginabile generosità, mandò a dire al Tasso che gli sarebbe stato garantito il libero transito per Roma, in omaggio al suo intelletto e alla sua fama e che avrebbe messo a disposizione i suoi uomini per proteggere il Poeta e i suoi compagni, attraverso le montagne e attraverso le paludi Pontine da altri criminali meno sensibili di lui. Non sembra che il Tasso abbia dato fiducia al brigante, ma pare anzi abbia atteso che le acque si calmassero prima di riprendere, scortato da truppe regolari, il viaggio verso Roma. Torquato Tasso muore a Roma il 25 aprile 1595. Le sue spoglie riposano nella Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo. Nelle immagini una veduta di Formia all'epoca del passaggio del Tasso ed un dipinto del pittore Gaetano Turchi (Ferrara 1817 – Firenze 1851), custodito nelle Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Massari a Ferrara.

lunedì 7 giugno 2021

LA FONTANA DELLA VILLA COMUNALE

Al centro della villa comunale era ubicato un palchetto dove si esibivano orchestrine e bande musicali. Nel 1935 l'ormai fatiscente palco fu sostituito da una splendida fontana luminosa che con un gioco di luci e caratteristici zampilli divenne l'attrazione del giardino pubblico. A progettare l’opera è stato l’ing. Carlo Chiota, dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale di Formia dal 1925 al 1963. A me piace ricordare l’ing. Chiota legato all’acqua. Sì, a questo elemento così vitale di cui Formia ne è da sempre stata ricca. Nel 1930 riuscì a realizzare, praticamente dal nulla, la gestione attiva di un acquedotto comunale, dalla captazione delle sorgenti alla distribuzione in quasi tutte le abitazioni. Fatto di notevole interesse storico se si considera che in tutte le altre città limitrofe del basso Lazio questo servizio fu garantito solo dopo la seconda guerra mondiale. L’amicizia con il podestà dell’epoca Felice Tonetti, amante della bella architettura, lo indusse a progettare una stupenda fontana luminosa nella villa comunale ubicata al posto del fatiscente palco della musica denominato “la rotonda’’. Nel 1935, alla presenza della real Mafalda di Savoia, del podestà Felice Tonetti e di tante altre autorità, l’opera venne inaugurata con una fastosa cerimonia ed un gran concerto di musica. La fontana aveva una forma armoniosa, con quattro lati che indicavano i punti cardinali, al centro un gruppo di scogli nascondeva i numerosi rubinetti da cui fuoriusciva l’acqua che, comandata da pompe custodite nel piccolo edificio tutt’ora esistente a nord-est della fontana, creava un gioco di luci e di zampilli spettacolare. Nel primo periodo oltre alle luci vi era anche la diffusione di musica che accompagnava lo zampillare dell’acqua. Questa fu la prima fontana luminosa ad essere realizzata in tutto il Lazio. La guerra non ha risparmiato neanche la bella fontana della villa comunale “Umberto I e le pompe che azionavano gli zampilli e l’impianto luminoso andarono distrutti. La fontana della Villa Comunale, dopo l'ultimo rifacimento della pavimentazione, ha subito un abbassamento che, a mio avviso, ha notevolmente diminuito la sua già precaria visibilità. Forse una scelta più oculata nella progettazione della ristrutturazione della villa avrebbe consentito una maggiore attenzione alla fontana, che per tanti anni è stato il vanto del più bel giardino pubblico di Formia. Nata come fontana luminosa del giardino pubblico, oggi è ridotta ad una vasca pantano dove non mi stupirei di vedere saltellare delle rane.
 Nelle immagini : il palchetto della musica preesistente alla fontana; un bozzetto del progetto originale della fontana luminosa; il giorno dell’inaugurazione alla presenza delle autorità; il concerto del maestro Luigi Pistolozzi che dirige un coro formato da alunni del real ginnasio Vitruvio Pollione ed infine la vasca pantano di oggi.

martedì 1 giugno 2021

NICOLAS POUSSIN E IL MARTIRIO DI SANT'ERASMO
Il Martirio di S. Erasmo dipinto tra il 1628 e il 1629 da Nicolas Poussin (Les Andelys 1594 - Roma 1665), è un olio su tela di grandi dimensioni (cm. 320 x cm.186), raffigurante Erasmo vescovo di Formia mentre subisce il martirio, durante le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C. Di questo dipinto sono noti almeno altri bozzetti, eseguiti dal Poussin come studio preliminare all'opera finale. Un bozzetto, di cui non mi è dato di sapere le dimensioni, è custodito presso il National Gallery di Ottawa in Canada; un secondo, di dimensioni minori (cm.98 x cm.75,4), è custodito presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica, in Roma. I due bozzetti non si discostano dall'opera definitiva se non per le dimensioni e per minime differenze, mentre sostanziali sono le differenze stilistiche. Il bozzetto di Ottawa è stato realizzato con pennellate rapide e con poche rifiniture; mentre il bozzetto di Roma è di buon livello, eseguito con fattura meno rapida, con chiaroscuri più intensi ma con le espressioni dei volti meno drammatici. Nel 1630 Nicolas Poussin dipinge una nuova tela di maggiori dimensioni (cm.240 x cm. 307). Di quest'opera non se ne conosceva l'esistenza, fino a quando in una Biblioteca di fotografie e ritagli di studio tra il 1930 - 2000 ( Francine Clark Art Institute Records, Sterling e Francine Clark Art Institute, Williamstown, Massachusetts), non è stata rinvenuta una fotografia in bianco e inventariata al numero 723, con la didascalia "Dresda, Gemaldegalerie n. 723/ N. Poussin, Marter des H. Erasmus / VA Bruckmann, Munchen, 1902". La fotografia fu eseguita 1902 quando l'opera era custodita nella città di Dresda in Germania. Il bombardamento di Dresda da parte della Royal Air Force e della United States Army Air Force, avvenuto fra il 13 e il 14 febbraio 1945, fu uno degli eventi più tragici della seconda guerra mondiale. Tre bombardamenti a tappeto degli Alleati rasero al suolo una gran parte del centro storico di Dresda, causando una strage di civili e la distruzione di numerose opere di architettura e d'arte,tra cui il bellissimo dipinto di Poussin, che oggi purtroppo, possiamo solo ammirare in una fotografia in bianco e nero. Nell'opera custodita in Vaticano, il pittore rappresenta il Martire in primo piano, un sacerdote che indica la statua di Ercole (l'idolo pagano che Erasmo aveva rifiutato di adorare, subendo per questo il martirio sulla pubblica piazza), un soldato romano a cavallo incaricato dell'esecuzione, il carnefice che estrae l'intestino, facendolo arrotolare intorno a un argano da marinai, un frammento di architettura classica e angeli che scendono verso la vittima, recando la palma e la corona simboli del martirio. Nel dipinto andato distrutto il sacerdote non indica la statua di Ercole, anche se la stessa è presente in alto a destra. Non sono presenti né gli angeli, né Il soldato a cavallo; i polsi del martire non sono legati da funi, ma da catene e le caviglie, libere nel primo dipinto, sono legate da funi del dipinto perduto. Le due tele sono completamente differenti; quindi non ci troviamo di fronte ad un bozzetto od uno studio preliminare. Si tratta di un'altra vera e propria opera che il Poussin ha dipinto successivamente. Nel primo quadro, commissionato dal Vaticano, è probabile che gli furono date delle indicazioni ben precise, da lui attuate. Successivamente ha dipinto il martirio come forse avrebbe voluto; ed è dimostrato dal fatto che, fino alla sua distruzione era custodito in Germania e non in Italia. Il secondo dipinto, che purtroppo possiamo ammirare soltanto in bianco e nero, a mio parere, è di migliore fattura e presenza scenica: evidentemente il Poussin lo ha sentito più suo e lo ha voluto rappresentare in una forma più realistica. Le immagini sono nell'ordine: il dipinto custodito nei Musei Vaticani e quello distrutto.