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martedì 31 agosto 2021

SCATTI DI GUERRA A FORMIA
Gli eventi bellici documentati su pellicola fotografica non sono meno impressionanti di quelli reali. Ci sono scatti fotografici di guerra che hanno attestato la morte e la distruzione di intere città. Immagini drammatiche, toccanti che non avremmo mai voluto vedere. 
Formia ebbe l’ordine di essere evacuata. Quelli che restarono incontrarono la morte sotto un fitto bombardamento dal cielo e dal mare. 
Al termine dei bombardamenti, fuggiti i pochi Tedeschi superstiti, gli Alleati si insediarono nel centro di Formia, installando un proprio Comando in alcuni locali del Palazzo comunale ancora accessibili. 
Al seguito degli Americani, viaggiava Carl Mydans (20.5.1907 – 16.8.2004) fotografo statunitense, famoso perché riuscì a fermare immagini fotografiche della vita e della morte in tutta Europa e in Asia, durante la seconda guerra mondiale. Carl Mydans amava definirsi : "il cantastorie delle immagini", ed ha sempre sostenuto di aver fotografato la guerra, non perché gli piacesse, ma perché pensava che fosse importante registrare il periodo storico del suo tempo. "Quando non ci sarò più", diceva, voglio che le persone siano in grado di vedere e provare tutto quello che ho visto e provato io." 
Gli scatti di guerra di Carl Mydans, hanno catturato istanti drammatici del conflitto, ecco una selezione di fotografie a colori, (l'era della fotografia a colori negli USA iniziò nel 1935) protagonisti delle pagine più drammatiche dell’ennesima distruzione di Formia. I lavori di Carl Mydans sono stati esposti in varie gallerie in tutti gli Stati Uniti. Il New York Times Magazine ha più volte pubblicato le sue opere. 

Nelle foto alcuni scatti di Carl Mydans: dall'Appia verso ovest, su via Vitruvio, da piazza della Vittoria e di Castellone.

sabato 28 agosto 2021

GIUSEPPE ZANDER ARCHITETTO A FORMIA E NELLA PROVINCIA DI LATINA di Salvatore Ciccone
Ebbi la ventura di incontrare Giuseppe Zander sullo scorcio del mio corso di laurea in architettura a Roma. Ero ancora convalescente da un serio infortunio che mi aveva invalidato l’occhio sinistro, subìto durante i rilievi per la redazione della Tesi e che non poco ne condizionava gli esiti. L’argomento di quella riguardava la grande villa costiera tardo-repubblicana estesa sul promontorio di Giànola dalla parte di Formia, favorita tra i miei vari studi di architettura antica della zona e che già avevo trattato in vari articoli dal 1976. Alla rinunzia del Relatore da me prescelto, Zander, professore di Storia dell’Architettura, fu entusiasta di prenderne il posto per guidarmi nell’analisi del complesso delle rovine e in una proposta di restauro della parte di esso più eminente, un originale edificio di pianta ottagonale identificabile tra i musaea o grotte artificiali. Coronato l’esame col massimo dei voti, egli era così interessato all’argomento che per alcuni anni con pervicacia mi spronò a pubblicarlo nella rivista del settore “Palladio” edita dal Poligrafico dello Stato, il che avvenne nel n. 5 del 1990 con una sua postilla, ma che purtroppo non poté vedere: il 19 luglio accadde la sua contemporanea morte che lasciò tutti increduli ed io smarrito per lungo tempo. La circostanza della Tesi infatti non fu che il tramite di una più varia frequentazione, essendomi trasferito a Roma, in seno alla sua splendida famiglia e in San Pietro di cui era Primo Dirigente dell’Ufficio Tecnico della Fabbrica, divenendo per me mentore e io il confronto del suo ineguagliabile dialogo didattico. E in questa fase troppo breve, dove non sentii e non vedevo ragione di approfittare, egli si concedeva in varie argomentazioni, vicende, aneddoti sulla propria vita e narrazioni sull’attività in specie nel mio territorio nativo. Mi raccontava del suo esordio nella professione nell’immediato dopoguerra, allorché si poté esercitare senza Esame di Stato, certo superfluo alla preparazione dei laureati di allora. In questa circostanza considerava fondamentale l’arduo progetto di completamento della nuova chiesa dei Santi Giovanni Battista e Lorenzo a Formia, che il suo maestro Gustavo Giovannoni aveva lasciato con le mura di ridotta altezza e indefinita nel presbiterio: la copertura poi si doveva impostare su archi trasversali di circa 18 metri di luce. Avendo da quegli avuto i disegni prima della morte (15 luglio 1947), per affrontare i problemi strutturali e risolvere la facciata da quella originale classicheggiante più onerosa, fece frequente confronto con l’architetto Marcello Piacentini che dimorava per diporto a Formia in una villa in prossimità di quella dei Savoia oggi Grande Albergo Miramare. Invece il suo occasionale piede a terra era il villino al di sopra del Porticciolo Caposele e messogli a disposizione dal proprietario Don Peschillo, dovendo però scavalcare la recinzione allora sulla via Appia e poi aprire l’uscio con la chiave nascosta sotto un vaso. Il risultato fu raggiunto nel 1953 con una facciata di maestosa sobrietà piacentiniana, ma con gli annessi parrocchiali sminuiti in corso d’opera. Comunque è da qui che si svilupperà la sua attitudine nella progettazione e restauro di chiese negli anni della ricostruzione e sviluppo di nuovi quartieri, ulteriormente affinata nei riadattamenti secondo le esigenze liturgiche scaturite dal Concilio Vaticano II; attività che egli condurrà nel solco della tradizione architettonica quale profondo studioso, ma sapendola coniugare alle nuove tecniche ed esigenze dell’attualità. In ciò mi diceva che bisognava analizzare un antico edificio nel più intimo dei significati e attraverso un chiaro disegno rispondente ad una verifica metrologica; ma anche che non bisognasse rimanere soggiogati dall’entità storica, che doveva promuovere l’azione attuale del progettista: dunque un architetto umanista, più ancora d’impronta vitruviana nella originaria accezione professionale. Nel volume Giuseppe Zander Architetto, edito a Roma da Palombi nel 1997, premurosamente curato dai figli Pietro e Olimpia con Roberto Luciani, dalla selezione del vasto e curato carteggio si coglie pienamente il suo ‘essere’ architetto, dove il disegno è protagonista di idee limpide, così come espresse nelle relazioni oppure nelle memorie strettamente attinenti le caratteristiche e le motivazioni delle opere, senza grovigli intellettuali. Nella rassegna dei molti progetti si rileva la sua attività nella provincia di Latina, nel cui capoluogo visse dapprima con la famiglia di origine, benché fosse nato a Teramo il 7 maggio 1920 e ancor di più remota provenienza germanica. Pertanto, a poco più di cento anni dalla nascita e a trenta dalla morte, si può in quel territorio percorrere una sorta di itinerario nel valore e nella metodica dell’architetto alla scoperta di tanti monumenti da egli restaurati e di nuovi edifici per questo spesso invece ignorati. A Formia, realizzò anche case popolari, una in particolare con corte centrale e negozi nella prossimità orientale di quella chiesa, su via Emanuele Filiberto (1947); non ebbero seguito invece le belle proposte per la facciata della chiesetta di “Stella Maris” pertinente villa Leonetti già Torlonia, sul lungomare di Vindicio (1951). A Gaeta, nel borgo di Elena, non ancora laureato (1944) progetta l’edificio ad arcate destinato a case dei pescatori, accanto la chiesa di S. Anna, recepito e realizzato dal Genio Civile. Nel 1962 attende al restauro della bombardata chiesa romanica del SS. Salvatore presso la cattedrale nel quartiere S. Erasmo; di quest’ultimo redasse in quegli anni con l’ing. Mario Berucci il piano di sistemazione insieme a quello paesistico della costa, entrambi inattuati. A Itri, progetta la ricostruzione del portico e del campanile della trecentesca SS. Annunziata (1947), oggi S. Maria Maggiore, grazie ai rilievi da lui eseguiti prima dei crolli. A Minturno: asilo con conventino di Suore a Scàuri (1949-50); restauro della ex cattedrale romanica di S. Pietro (1966-67). A Castelforte: nuova chiesa di S. Antonio di Padova in contrada S. Lorenzo, prima a navata unica e poi realizzata a ventaglio secondo i nuovi principi liturgici (1961-1971). A Fondi: progetto di restauro delle chiese duecentesche di S. Antonio Abate e di S. Bartolomeo, quest’ultimo realizzato (1950-55). A Terracina: adattamento in ospedale del Convento di S. Francesco (XIII-XIV sec.), in collaborazione con l’arch. Vittorio Fagiolo (1946-47). Da studente prima degli eventi bellici aveva rilevato i monumenti eminenti della città, conoscenze che lo promossero alla redazione del piano di ricostruzione (1947-50) solo parzialmente attuato secondo le indicazioni progettuali. In questo realizza il nuovo palazzo municipale (1950) con portico panoramicamente affacciato verso la costa e integrato alle sostruzioni del Foro Emiliano, piazza già caratterizzata dalla mirabile cattedrale romanica. A Sonnino, contrada rurale Frasso: chiesa di S. Maria (1948-53) e il vicino complesso scolastico per asilo con case delle suore (1948-50). A Maenza (1951-57): consolidamento e restauro della bombardata chiesa di S. Maria Assunta (1831-46). A Sezze: rilievo della distrutta chiesa parrocchiale dei santi Sebastiano e Rocco (1761) e ricostruzione della medesima a impianto centrale (1953-62); restauro della cattedrale di S. Maria Assunta di influsso cistercense (1968-72), già rilevata nel 1944 con la collega laureanda Eugenia Salza Prina Ricotti. A Cori: ricostruzione della bombardata collegiata parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo con nuovo edificio ricostruito in prossimità (1948-53); la facciata della chiesa originaria inglobava parte del fianco del Tempio d’Ercole e incorporava nel mezzo dell’edificio il muro poligonale dell’acropoli che pertanto vennero totalmente liberati. A Latina, dove realizza la nuova chiesa della Immacolata Concezione (1953-57), dall’inizio concepita ad impianto centrale come punto focale delle vie diagonali del rione tra il Tribunale e le caserme, destinato ai profughi della Venezia Giulia. Il progetto, con numerose soluzioni in sofferto confronto con la committenza, fu poi realizzato con varianti non condivise dall’architetto. Questo itinerario non mostra che una minima parte della sua attività attraverso le sole opere presentate nel volume, dalla Sicilia alla Puglia, dalla Calabria alla Campania, dall’Abruzzo alle Marche, a Ravenna, a Chiavari e nel Lazio appunto, di cui molti a Roma e dintorni. Nella Capitale di particolare rilievo è il complesso Parrocchiale di S. Leone Magno sulla via Prenestina (1951-52), la cui chiesa di reminiscenza paleocristiana fu eretta “basilica titolare” in aggiunta alle affini di IV-V secolo e perciò singolare il fatto che ne fosse vivente l’autore. Ancora riguardo la provincia di Latina vanno citati i suoi studi nelle pubblicazioni di cui ricopriva incarichi: nel Bollettino del Centro Studi per la Storia dell’Architettura, direttore responsabile; nella rivista Palladio, redattore; nei quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura dell’Università di Roma, componente del comitato di redazione; dell’Istituto di Storia ed Arte del Lazio meridionale di cui fu cofondatore; gli ultimi contributi del 1990, su L’influsso cistercense di Fossanova sulle tre cattedrali di Terracina, Sezze e Priverno nella Marittima (Saggi in Memoria di G. Marchetti Longhi, Istituto di Storia ed Arte del Lazio Meridionale) e Un disegno lontanissimo dalla verità presentato da Adriano Prandi nel 1959 (postilla allo studio di S. Ciccone in “Palladio” n. 5). L’attività feconda di progettazione era pertanto intercalata ad una alacre di ricerca pari e sinergica a quella didattica come professore ordinario nella Facoltà di Architettura di Roma, per breve tempo in quella di Genova e nella Scuola Archeologica Italiana di Atene; inoltre esperita come consulente dell’IS.M.E.O. (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) per i restauri dei monumenti colà condotti; socio della Pontificia Accademia Romana di Archeologia e membro della Commissione per la Tutela dei Beni Artistici della Santa Sede… Questi solo alcuni dei prestigiosi incarichi da egli sostenuti con effettivo contributo operativo, eppure manifestava una umiltà a dir poco sconcertante: ricordo come mi considerasse collega benché io non ancora laureato; altrettanto era la sua pacatezza a fronte di scorrettezze ricevute nel suo stesso ambito, come l’uso anonimo della sua laboriosa pianta di rilievo della Domus Aurea di Nerone a Roma. Posizione questa certamente conforme a quella di un uomo di fede autentica qual’era, maturata e idonea in tempi passati con indiscutibili e perenni valori di riferimento, difficilmente adottabile in quelli attuali a fronte di un arrivismo sfrontato e aggressivo. Ma per chi ha conosciuto Giuseppe Zander, l’insieme del suo essere uomo e architetto si ripropone con forza come esempio e guida nella vita e nel lavoro.
Immagini: Giuseppe Zander negli anni 1980, facciata di progetto dell’architetto Zander della Chiesa dei Santi Giovanni Battista e Lorenzo a Formia, la Chiesa dei Santi Giovanni Battista e Lorenzo nel progetto dell’architetto Giovannoni (cartolina d’epoca), pianta della Chiesa con le modifiche apportate dall’architetto Zander, progetto realizzato di case popolari a Formia in via Emanuele Filiberto, progetti non realizzati per la chiesetta di “Stella Maris” in villa Leonetti, già Torlonia sulla spiaggia di Vindicio a Formia.

mercoledì 25 agosto 2021

UN VENTAGLIO DA MOLA
Il ventaglio ha antichissime origini che probabilmente risalgono al V secolo avanti Cristo. Con sicurezza fu utilizzato nella civiltà egizia e successivamente in quella greca. Da sempre considerato un oggetto ad uso prevalentemente femminile, con gli anni divenne accessorio indispensabile per l’abbigliamento. Celebrato da artisti di ogni epoca è stato raffigurato in molte opere d’arte e tanti capolavori artistici, soprattutto vedute e paesaggi, sono stati riprodotti a gouache o acquerello sulle sue “pagine” pieghettate. Corredati di stecche interne e guardie in madreperla, avorio o tartaruga, sono oggi oggetti ricercatissimi dai collezionisti. Il ventaglio è stato un oggetto complementare spesso presente nella pittura classica a testimonianza del raffinato gusto di un’epoca passata che distingueva l’alta aristocrazia dal popolo. La peculiarità del ventaglio artistico riveste lo stesso valore di un dipinto su tela poiché oltre ad essere realizzato, come una tela, in un solo esemplare si pregia di contenere una manifattura artigianale di altissimo livello, con montature che vanno dall’avorio alla tartaruga, alla madreperla e persino ai metalli preziosi come l’argento e l’oro, con la presenza anche di perle e pietre preziose. Nel XVI secolo raggiunse il massimo splendore divenendo l’accessorio più importante dell’abbigliamento femminile, tanto da rendere inadeguata la presenza di una dama nelle corti priva del ventaglio. Veniva utilizzato anche per celare espressioni del viso, per nascondere momenti di timidezza o per comunicare con il sesso maschile per mezzo di un vero e proprio codice di segnali che avevano come protagonista il ventaglio posizionato differentemente sul viso delle dame. Il ventaglio incontrò il massimo splendore quando Enrico II di Francia sposò Caterina de Medici che fece diffondere questo nuovo accessorio anche in terra francese. Ebbe un successo di enorme portata tanto che tutte le categorie artigiane di falegnami, restauratori, profumieri e pittori vari, ne vantarono in breve tempo la paternità. Ci volle un editto di Luigi XIV che nella seconda metà del XVII secolo decretava la nuova professione del “Ventagliaio” Vi presento un esemplare particolarmente interessante, sia per la sua rarità che per il suo stato di conservazione. Si tratta di un bellissimo ventaglio realizzato verso la fine del secolo XIX, forse unico nel suo genere. Su una delle pagine è dipinta una gouache raffigurante una veduta di Mola, (palesemente ispirata al dipinto di Hackert): poiché era in uso dipingere vedute solo di grandi e importanti città, la veduta di Mola rende ancor più raro e prezioso il ventaglio. Le stecche interne e le guardie realizzate in tartaruga ne impreziosiscono il valore artistico e commerciale, la sua apertura massima raggiunge i cinquanta centimetri.
Al retro un trittico della città di Sperlonga, anch’essa piccolo centro marinaro ubicato nella parte settentrionale del Regno di Napoli. Il borgo marinaro al centro tra la torre Truglia e la grotta di Tiberio

venerdì 20 agosto 2021

ST THERESINA NEAR MOLA DI GAETA

In un album di viaggio di un turista di lingua inglese, rimasto anonimo, era contenuto questo bel disegno che raffigura la chiesa di Santa Teresa vista dal mare. Non è di facile reperibilità trovare disegni realizzati dal mare verso la costa, come quest'opera dell'anonimo viaggiatore. L'artista si è limitato a scrivere "St Theresina near Mola di Gaeta". Oltre al convento dei Carmelitati e la Chiesa si notano in primo piano le grotte di Sant'Erasmo. 
E' interessante Il confronto con una fotografia attuale

domenica 15 agosto 2021

SANT’ERASMO E SAN GIOVANNI BATTISTA NEL GIUBILEO DEL 1900


Nel giugno 1900, una spettacolare manifestazione religiosa venne ospitata nella chiesa di Santa Teresa in occasione del Giubileo Universale della Chiesa Cattolica. Con grande partecipazione dei cittadini formiani e commovente senso civico si riunirono i fedeli, intorno ai due Santi compatroni Erasmo e Giovanni, per commemorare, inoltre, la rinascita della città distrutta dai Saraceni più di 1000 anni prima: "Post Fata Resurgo". 
La prima foto è storica : il primo incontro dei due Santi che escono dalla chiesa di Santa Teresa al termine della funzione religiosa. 
Il palazzo della Sottoprefettura sulla destra appare ancora intatto e integrato nel plesso dell'edificio che oggi ospita il Municipio. A distanza di soli 43 anni Formia subì un pesante bombardamento da parte delle forze alleate, e una nuova distruzione. La chiesa ed il palazzo comunale subirono gravi danni e la ricostruzione modificò l'aspetto originario di tutta la struttura.
La seconda foto, della manifestazione del 1900, mostra l'arrivo in carrozza in piazza Guglielmo Marconi del principe Tommaso di Savoia, Ammiraglio Comandante della flotta Navale della Marina Militare del regno. L'armata navale in quei giorni era alla fonda nelle acque di Formia per onorare la manifestazione ed esercitare manovre navali.

venerdì 6 agosto 2021

LE ARENE CINEMATOGRAFICHE DI FORMIA MIRAMARE E CAPOSELE


Erano i primi anni Cinquanta, i formiani aveva dimenticato gli orrori della seconda guerra mondiale e una nuova Formia era stata riedificata sulle macerie della distruzione. Ricostruite le case, le strade, la stazione ferroviaria, il porto, le scuole e le fabbriche, in un'area a terrazzo sul mare venne realizzato un cinematografo all'aperto, per allietare i formiani ed i turisti nella stagione estiva: l'arena del cinema Miramare. Anche il cinema teatro Caposele di piazza Mattej, ha avuto la propria sala all'aperto.
Visto il successo dell'arena Miramare, i fratelli Rubino, gestori del cinema Caposele, adibirono il cortile antistante la villa Rubino a sala cinematografica all'aperto. La nuova arena non ebbe la stessa fortuna di quella del Miramare per via della sua ubicazione. Confinate con la strada litoranea non godeva di quel silenzio necessario per poter assistere in tranquillità allo spettacolo.

Nelle foto una veduta dall'alto dell’Arena Miramare, dove si vede il terrazzo sul mare, prima del passaggio della Litoranea, due immagini del giorno dell'inaugurazione e una veduta dell'arena Caposele.

domenica 1 agosto 2021

BENIAMINO GIGLI IN CONCERTO A FORMIA
Un avvenimento che caratterizzò l'estate del 1929 fu un concerto del tenore Beniamino Gigli, che si tenne a Formia il 14 luglio del 1929. Beniamino Gigli (Recanati, 20 marzo 1890 - Roma 30 novembre 1957), insieme ad Enrico Caruso, è stato uno dei maggiori esponenti della lirica italiana. Definito "Caruso secondo", controbatteva autodefinendosi "Gigli primo". La sua voce da tenore era dotata di una tale estensione da apparire ai limiti delle capacità umane. Il giorno del concerto Beniamino Gigli, prima di esibirsi, accompagnato dal podestà dell'epoca Felice Tonetti, passeggiò a lungo nel centro cittadino, numerosi formiani e non, accorsi per l'avvenimento gli fecero ala su Via Vitruvio e lo accompagnarono fino alla Villa comunale Umberto I° dove si concluse la passeggiata. Legato da sincera amicizia al Tonetti, l'Artista accolse con grande entusiasmo la proposta fatta dall'amico e, per la sua generosità e bontà d'animo, volle che l'incasso del concerto fosse devoluto a beneficio di una colonia marina di Formia.
La cordialità che distingueva il "Cantore del popolo", lo portò a rispondere alle molte domande che gli venivano rivolte e a dispensare numerosi autografi. Il concerto si tenne nell'ampia palestra scoperta del Real Ginnasio "Vitruvio Pollione", poiché i 250 posti del teatro "Lo Chalet" non erano sufficienti per contenere la numerosa folla intervenuta. Il concerto, cominciato nel tardo pomeriggio si protrasse fino a sera , con un grande successo di pubblico che gremì letteralmente la palestra dell'istituto scolastico che ospitò lo straordinario avvenimento. Profondissima commozione suscitò il suo canto, il suo fraseggio e la chiarezza della sua dizione, forse unica al mondo. Oltre ad esibirsi con altri cantanti in alcuni brani di opere, si cimentò da solista in canzoni classiche come "O sole mio" e "Mamma"; gli applausi e la commozione raggiunsero livelli indescrivibili. Un profondo ringraziamento per l'accoglienza avuta e lunghe lodi per la bella cittadina tirrenica conclusero la serata che è rimasta nella storia della nostra città. Beniamino Gigli scomparve a Roma all'età di 67 anni, dopo aver abbandonato il bel canto due anni prima. Diede l'addio alle scene con un grande concerto alla Constitution Hall di Washington, una pietra miliare della lirica mondiale, il 25 maggio del 1955.


Nelle fotografie Beniamino Gigli e Felice Tonetti mentre si intrattengono con alcuni cittadini nella villa comunale ed un momento del concerto.