Cerca nel blog

Etichette

giovedì 30 settembre 2021

Ricostruzione del largo della Darsena di Mola, realizzata da tre diverse cartoline di primo Novecento.

martedì 21 settembre 2021

SCENA DI VITA QUOTIDIANA NEL BORGO DI MOLA

Una rara e bellissima fotografia di primo Novecento, che ferma una scena di vita quotidiana sul lungomare della darsena del borgo di Mola. Due donne in primo piano con lunghe vesti che scendono fino ai piedi; un uomo, fermo nel centro della strada, vestito a festa con cappello e papillon, osserva divertito una bambina ed un cane che a testa bassa cammina. Fanno da sfondo i palazzi antistante la contrada spiaggia e l'enorme palazzo Grasso edificato tra il 1880 e il 1890.

mercoledì 15 settembre 2021

IL PALAZZO MANCINELLI
La costruzione di un edificio di notevole altezza per l’epoca, suscitò la protesta di numerosi cittadini. Il fabbricato fu realizzato senza il preventivo parere del Ministero dei Beni Ambientali, che ne deplorò la costruzione per l’enorme impatto ambientale recato. A nulla valsero le proteste e le denunce dei cittadini formiani. Il palazzo Mancinelli, progettato originariamente per ospitare “L’Albergo del Sole”, venne poi adibito ad abitazioni ed ultimato alla fine degli anni cinquanta.

venerdì 10 settembre 2021

IL paesaggio da riconsiderare: CASTELLONORATO di Salvatore Ciccone
Non è solo l’esemplare ‘bellezza’ a determinare l’importanza di un paesaggio, se esso è inteso come insieme delle componenti naturali e delle culture umane: sono infatti le seconde spesso celate a determinare di quello il suo effettivo significato e a suscitare il pensiero. Ne è esempio Castellonorato, che dopo le distruzioni dell’ultimo conflitto, depauperato dei suoi abitanti e degradato nell’abbandono del suo territorio agricolo, sembra essere privo di ogni considerazione. La collina sul quale è arroccato questo borgo, domina la veduta di levante di Formia, sul mare conclusa dal promontorio di Giànola: questo a macchia mediterranea e boschi di sughere, l’altra a steppa di strame. Entrambi i rilievi hanno in comune la formazione, con rocce in enormi massi costituiti di ciottoli di un primitivo delta fluviale, cementati e poi innalzati in milioni di anni insieme agli incombenti monti Aurunci. Da entrambi si gode un panorama circolare: sul golfo chiuso dalla penisola di Gaeta, alle isole Ponziane e partenopee, alla valle del fiume Garigliano chiusa dal monte Massico, con lo sfondo evanescente del Vesuvio, talora fino ai monti Lattari, poi l’aspro baluardo alpestre che chiude a settentrione. Non meraviglia quindi se a Giànola fosse eretta una vastissima villa romana e sull’altra altura la rocca di Castellonorato. Come trapela dal nome, il “Castrum Honorati” venne innalzato da Onorato I conte di Fondi nel 1386-90 con funzione di vedetta al confine meridionale della contea, sul tragitto dell’antica via “Erculanea” verso l’interna valle del Liri, la Terra di S. Benedetto. Proprio questa esigenza inderogabile di osservazione del territorio presuppone una preesistenza che coprisse la visuale tra i più antichi castelli di Marànola e di Minturno, una torre tra le tante erette in punti strategici. A questa è probabile che vi fosse aggregato il più evoluto insediamento abitato a nome del conte, prodigo nelle opere di potenziamento strategico a Marànola come nel Castellone, originaria arce di Formia antica. Allungato sul crinale della collina a 300 metri di altezza, il castello si avvantaggiava di una rupe come cinta naturale e inattaccabile, determinata dalla giacitura delle rocce che, inclinate a meridione verso il mare, dietro scoprono sul pendio sottostante l’argilla dell’originario fondale marino; in questa zona infatti la via della Fornace testimonia una passata manifattura di terrecotte. Sulla parte di mezzogiorno si adegua la cinta muraria con torri tonde e quadrate a chiudere l’abitato che, dalla torre maggiore quadrilatera alta una dozzina di metri ma più elevata su un cocuzzolo, scende ad occidente con impianto a pettine sull’unica via connessa a tre porte: quella superstite a sud, il “Capo la Porta”, posta di traverso al centro delle mura alla sommità di tornanti; un’altra ad est nella parte più eminente a ridosso della torre maggiore, il “Capo la Terra”; la terza ad ovest, una posterula nel luogo detto “Caùto”, ‘buco’. Alla spoglia torre di pietra priva di merli, le uniche forme dell’architettura ogivale tardo trecentesca restano nell’ampio, basso arco del Capo la Porta e nelle crociere a sesto rialzato nell’unica navata della chiesa di S. Caterina, la cui torre campanaria altrettanto spoglia rappresenta l’altro tardivo elemento emergente del borgo: della costruzione di quest’ultimo una bella insegna di maiolica con lo stemma del paese cita i due sindaci in data 1776. Era allora presente l’istituto comunale o “Università” con il relativo “Seggio”, rimasto a nome della via principale, dopo che si distaccò da Marànola nel 1428, ma tornando ad essa nel 1807 e poi riottenere l’autonomia comunale nel 1851, persa di nuovo in favore di Formia nel 1928. Tra le case diroccate dalle cannonate dell’ultima guerra, comprese tra quelle abitate impropriamente riadattate, appaiono scolpite le rocce e inglobati gli enormi blocchi della cima e vi si trovano dei frantoi per estrarre e custodire all’interno delle mura il prezioso olio di oliva, allora maggiormente commerciato per l’illuminazione. Un’altra fonte di reddito si apprende nello Statuto di Castellonorato del 1507 e riguarda la coltivazione dello zafferano o “croco”, e “Coco” infatti resta a denominazione di una località verso Spigno. L’attività praticata sul territorio si osserva nei secolari terrazzamenti con muri a secco o “macere”, anzi millenaria considerando quelli in opera poligonale, certamente preromani, che si concatenano ai piedi della montagna, primario insediamento sparso di gruppi familiari dedichi principalmente alla pastorizia e la cui pratica dell’incendio ha lasciato brulle le pendici più acclivi. Esemplare è quello alla “Palombara”, dove una estesa e liscia parete di enormi massi poligonali perfettamente giuntati è attraversata da un adito lungo e stretto coperto da una embrionale volta cuneata: dilavata dalla gialla argilla del campo superiore assume un colore dorato e difatti citata nel 1076 “da parte de palombarum parietem qui dicitur porta auria”, la Porta d’Oro. Il nome del luogo è diversificato alle rocce incombenti, la “Rava di Palombara”, all’omonima fonte e al titolo dell’accostata chiesuola della Madonna della Palomba, riferita alla Vergine col Bimbo sorvolati dalla colomba dello Spirito Santo; tuttavia richiama più i “palombari”, certe grotte di Matera, così come “grotta” è chiamato il cunicolo megalitico, dal quale sembra più probabilmente originato l’epiteto della Madonna. La storia del castello legata al suo fondatore sfuma nella leggenda. Il conte Onorato di famiglia influente discesa pare nel IX secolo da un duca di Gaeta, mirava a costituire un vero e proprio regno tra quello di Napoli e le Terre del Papa tanto che ad Urbano VI alterna fedeltà o vi riceve scomunica, quando si fece promotore a Fondi dell’elezione dell’antipapa Clemente VII, il primo dello Scisma d’Occidente e ad insediarsi in Avignone. L’epilogo nella primavera del 1400, quando Onorato è assalito in quel castello dalle milizie di Bonifacio IX e di re Ladislao di Napoli; sconfitto ne morì pare per un colpo apoplettico il 20 aprile: si vuole che il conte fosse inumato con la sua preziosa armatura, la tenuta della sua dignità, in una grotta segreta sotto la rocca, evidentemente per evitare la dissacrazione delle sue spoglie. Sicuramente questo grande ed inquieto principe è lì sepolto e il cui paese tutto rappresenta un grande monumento funebre con impresso il nome a imperitura lapide. Castellonorato, da apparente borgo solitario e dimesso, si rivela di elevatissimo significato nella storia d’Italia, come rivela l’attenta lettura alla sola una fugace veduta. Un esempio questo di come si deve riconsiderare tutto il ‘paesaggio’ di Formia, per riconoscere e tutelare la memoria identitaria dei cittadini e risorse fondamentali per il futuro della Città. Il presente articolo è stato pubblicato in forma più estesa nella rivista “Lazio ieri e oggi”, n. 4-6, Roma 2020.
Immagini: Castellonorato, il versante sul lato monte (foto F. Forcina); Il panorama orientale di Formia caratterizzato sullo sfondo a destra dall’eminenza di Castellonorato (inc. Sarcent, 2^ metà ’800, coll. R. Marchese); L’arco ogivato all’interno del Capo la Porta (sec. XIV; foto F. Forcina); L’unica navata a crociere della chiesa di S. Caterina d’Alessandria (sec. XIV): a sinistra il simulacro della Madonna della Palomba (foto F. Forcina); L’insegna di maiolica del campanile datata 1776, prima dei recenti restauri (foto S. Ciccone); Il muro in opera poligonale in località Palombara, attraversato da un corridoio a volta cuneata (sec. V-IV a.C.; foto S. Ciccone); La torre prima e dopo i lavori di restauro a cura dell’ultimo proprietario prof Nicola Jadanza di Roma nel 1971 (foto dal volumetto “Castellonorato e la sua Torre” di Nicola Jadanza).

martedì 7 settembre 2021

IL VECCHIO CIMITERO DI VIA CASSIO
Chi ha vissuto a Formia dal dopoguerra alla fine degli anni Sessanta, avrà nella memoria un luogo che certamente ricorderà con un poco di rimpianto misto forse a spavento : il vecchio cimitero di via Cassio, a nord della stazione ferroviaria di Formia. Già dismesso e abbandonato da prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, il cimitero di via Cassio, era meta di rifugio per gli studenti che marinavano la scuola o per chi, durante la notte, volesse compiere un'azione coraggiosa. Quando la zona fu bonificata, e i resti dei defunti trasferiti nell'ossario del nuovo cimitero di Castagneto, l'area divenne edificabile e dove c'era un camposanto ora ci sono edifici per civile abitazione. Nelle immagini, degli anni Cinquanta, una panoramica del cimitero con vista dal monte e due dell'interno. Nella panoramica si può notare il palazzo Mancinelli in costruzione.

venerdì 3 settembre 2021

ARCHITETTURA E PAESAGGIO PER IL FUTURO DI FORMIA di Salvatore Ciccone
Nella crisi pandemica si stanno sempre più evidenziando gli scompensi ingenerati da un sistema globalizzato basato sui consumi e sullo sperpero delle risorse. Prodotti spesso superflui e di bassa qualità sono diretti a stimolare bisogni per incentivare l’acquisto; una finalità di facile profitto che dai grandi potentati economici è divenuta scopo primario dei singoli, scalzando saperi e mestieri tramandati in generazioni. In questa dinamica la città è la prima a soffrire, in quanto articolata alla concentrazione delle più varie funzioni e competenze, accusando così carenze prima eludibili e, soprattutto, lo smarrimento del suo essere nei cittadini e per i cittadini. Formia è in ciò caso emblematico, risaltato dalla problematica di una assente conduzione partecipata entro una visione chiara dei suoi problemi e negli intenti risolutivi realizzabili. Com’è la città oggi è ciò che ci interessa e non com’era, saper vedere e cogliere le opportunità, non l’abbandonarsi a nostalgiche memorie, alibi alla rassegnata inerzia complice di ulteriori sprechi. Perciò si continua a prospettare il futuro esclusivamente attraverso la presentazione di progetti materiali, talvolta in avventurose soluzioni dispendiose anche nella gestione, se non impossibili o di troppa lunga prospettiva, tutt’altro che rispettose e ad esaurire ciò che il territorio ha ancora da offrire. Quello che invece va anteposto è lo stimolo alla consapevolezza della cittadinanza, alla partecipazione di una comunità nel suo sapersi migliorare, anche in più modeste e diffuse praticità: non abitanti funzionalizzati alle sole incombenze giornaliere, ma cittadini che responsabilmente identificano il luogo come motivo all’evolvere la loro esistenza; e il modo per realizzare ciò è la semplicità unita al rigore morale cui ognuno deve riferirsi in mutuo beneficio con gli altri. In questo processo quindi, tra le risorse si deve considerare di pari livello se non prioritarie quelle umane, in specie se formate e presenti sul territorio e messe in condizione di operare. Recentemente è stata presentata a Gaeta “Noi cittadini del Golfo”, serie di appuntamenti organizzati dall’Associazione “Cajè” che intende riscoprire le comuni radici culturali del territorio del Lazio meridionale costiero incentrato alle città attinenti di Formia e Gaeta, esteso da Sperlonga a Minturno e al fiume Garigliano, alle isole propriamente Ponziane, vasto ma circoscritto ambito genericamente indicato come Sud-pontino. Il primo incontro ha presentato “Il paesaggio del Golfo oggi e di un tempo” una sequenza di immagini articolata ad una libera conversazione tra me e Giuseppe Nocca, rispettivamente nelle competenze di architetto e di agronomo, nelle quali si è esplicitato il concetto di paesaggio quale insieme di fattori naturali e umani, questi ultimi talvolta celati e pertanto non individuabili nel solo panorama che di un paesaggio rappresenta solo un’ampia veduta. Non una carrellata di immagini accattivanti, monumenti e centri storici, ma una visione di sintesi propriamente identitaria, facilmente trasmissibile e aperta a più specifiche conoscenze. Nello stesso tema rientrano le ultime interpretazioni della villa romana sul promontorio di Giànola a Formia, a seguito del primo scavo dell’edificio ottagonale posto al culmine del vastissimo impianto residenziale tardorepubblicano. Sono state da me pubblicate nella affermata rivista romana “Lazio ieri e oggi” (n. 7-9, 2020), come anticipazione al resoconto dei lavori di cui sono stato progettista e direttore insieme all’ingegnere Orlando Giovannone. Alle stupefacenti soluzioni della villa, concepita speculare e aperta al panorama costiero in funzione di un diverso uso stagionale, l’edificio si è presentato come microcosmo rappresentativo dei valori paesaggistici naturali e culturali, in particolare riferiti al culto di Diana, arcaicamente “Jana” da cui il nome del luogo. Eccezionali sono gli elementi scenografici graficamente ricostruiti: un complesso di collegamento in scale e rampe rivolto al mare e la parte superiore dell’edificio a terrazza con anello di terreno foltamente piantumato riferito ad una zona di destinazione sepolcrale. Due piccoli contributi che possono offrire un orientamento verso ciò che la Città di Formia ha bisogno: considerazione dell’architettura quale disciplina attinente la conservazione, la pianificazione e lo studio del paesaggio per il recupero e sviluppo identitario di una comunità.
Immagini: I valori del paesaggio del Golfo vengono riassunti nell’umanità, custode della memoria nella continuità verso il futuro (tela di Penry Williams, 1847, coll. privata). Proposta restitutiva dell’edificio ottagonale della villa romana di Giànola, con lo scenografico fronte a mare di collegamento alla residenza e al paesaggio (S. Ciccone, 2018).