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mercoledì 26 gennaio 2022

IL CINEMA TEATRO CAPOSELE
Il cinema teatro "Caposele", gestito dai fratelli Rubino, proprietari della omonima villa, è stato dall'immediato dopoguerra e fino alla fine degli anni ottanta, insieme al cinema Miramare, uno dei locali di Formia dove si poteva assistere alla proiezione di pellicole cinematografiche. Con l'avvento della televisione, l'affluenza alle sale ebbe una notevole flessione di presenze, soprattutto quando, prima il sabato ed in seguito il giovedì sera, andava in onda "Lascia o Raddoppia", programma a quiz, condotto da Mike Bongiorno. Per ovviare ad avere una sala deserta ed anche per compiacere quei formiani che non avevano la possibilità di acquistare un apparecchio televisivo, nella sera in cui andava in onda "Lascia o Raddoppia", si sospendeva la proiezione della pellicola e sul palco faceva la sua apparizione una fiammante televisione per fare assistere al programma a quiz presentato da Mike Bongiorno. Il fabbricato che ha ospitato per un lungo tempo sala cinematografica e teatro, ha subito una trasformazione ed è stato adattato ad uffici e locali commerciali. Il cinema teatro Caposele di piazza Mattej, ha avuto anche la propria sala all'aperto.
Nel periodo estivo era in funzione anche un'arena ubicata nel cortile antistante la villa Rubino, con ingresso dalla Litoranea, i fratelli Rubino, adibirono il cortile antistante la villa Rubino a sala cinematografica all'aperto. L’arena non ebbe grande successo per via della sua ubicazione. Confinate con una strada molto trafficata, non godeva di quel silenzio necessario per poter assistere in tranquillità allo spettacolo.

Nelle fotografie: il cinema Caposele ubicato sul lato sud-ovest della piazza Mattej, un’immagine di quando si sospendeva la proiezione della pellicola per assistere al programma televisivo e una veduta dell'arena.

sabato 15 gennaio 2022

NOVITÀ DAL CONVEGNO “FORMIANUM” di Salvatore Ciccone
Al 2001 risale l’ultimo “Formianum”, il Convegno di Studi sui giacimenti culturali del Lazio meridionale che, promosso dal “Centro Studi Archeologici P. Mattej” sede Archeoclub d’Italia e giunto a dieci edizioni annuali, si era distinto come appuntamento atteso e qualificato per la conoscenza del patrimonio storico e monumentale di Formia. Al 2011 risale la pubblicazione dell’ottavo volume degli Atti, sul tema monografico “Vitruvio, opera e documenti”, fondamentale compendio degli studi su questo architetto celebre per il trattato “De Architectura” dedicato all’imperatore Ottaviano Augusto, poi riscoperto e basilare nelle opere del Rinascimento: le tracce di Vitruvio nelle epigrafi della famiglia e nei monumenti sul suolo formiano ne indicano la più probabile origine. Il 2021 al suo scadere vede la luce il nono volume, a distanza di vent’anni dal convegno e in una situazione non certo agevole, ma di sprone al recupero di un ritardo così grande avutosi per una rara e complessa serie di cause, buona parte di natura esterna e che per questo meritano l’oblìo. La nona edizione del “Formianum” si era tenuta domenica 18 novembre 2001, presso il Palazzo Municipale di Formia con il Patrocinio della Città e dell’allora Ministero per i Beni e le attività Culturali. Malgrado gli anni trascorsi i contributi non ne hanno risentito, perché in gran parte continuamente aggiornati dagli Autori o comunque specifici nel loro inalterabile apporto di novità, per la qual cosa questi Atti rappresenteranno un insostituibile strumento di avanzamento delle conoscenze e di propositi sul patrimonio culturale del Lazio meridionale. Il compimento di questo nuovo traguardo si deve ancora alla disponibilità mai mancata dell’Editore Armando Caramanica di Minturno, per merito del quale fin dall’esordio del convegno ha assicurato la stampa degli Atti con affermazione anche negli ambiti scientifici internazionali. Gli argomenti miscellanei trattati nelle 248 pagine del volume comprendono Fondi, Sperlonga, Gaeta e Formia, “Minturnae” e il Garigliano, Cassino, interessando quindi buona parte del Lazio meridionale costiero e il diretto rapporto per via fluviale con l’entroterra; Formia, da esclusivo territorio delle prime edizioni, è divenuto la confluenza delle ricerche di un’area vasta, oltre attuali suddivisioni municipali. Per questa caratteristica acquisita, l’avvio della diffusione del volume sarà associata a ripetute presentazioni in diverse località. Gli apporti di novità e di avanzamento delle conoscenze sicuramente daranno nuova linfa nella interpretazione di siti archeologici, talvolta rimasti imprigionati nella loro apparenza e notorietà, comunque poco considerati in una visione complessiva o attraverso una appropriata analisi; così per i documenti su cui si fonda la storia di luoghi, di funzioni sociali e dell’urbanistica, dall’Antichità al Medioevo, al ‘500. Gli Autori e temi degli Atti del “Formianum” IX-2001 sono di seguito elencati: Salvatore Ciccone - Osservazioni sull’architettura della Tomba di Cicerone a Formia; Nicoletta Cassieri - Contributi per una migliore conoscenza archeologica del territorio di Gaeta; Raimondo Zucca - “P. Cornelius L. F. Aimilia Tribus Pollio Formianus” concessionario di “Metalla” a “Carthago Nova”; Massimiliano Di Fazio - Le antiche mura di Fondi. Ipotesi sul primo insediamento; Adelina Arnaldi - Sacerdozi municipali a “Fundi”; Mariano Ferligoi - Il Castello di Mola: un compendio sull’architettura; Cesare Crova - Il sistema di difesa costiero nel Regno di Napoli in età vicereale. La Torre di Scàuri: studio storico, rilievo e restauro; Maria Teresa D’Urso - Il “Liris”-Garigliano, un fiume di storia; Maria Elena Fino - Il candelabro del cero pasquale nella Cattedrale di S. Erasmo a Gaeta; Luigi Cardi - Carlo V a Gaeta; Silvana Errico - Didattica e interpretazione critica delle testimonianze storiche: esperienze e proposte per una “Archeoscuola”. Il volume conta inoltre due addende in relazione a contributi pubblicati nei volumi precedenti: Salvatore Ciccone - La Grotta di Tiberio a Sperlonga: una nuova lettura dalla “piscina” (con ristampa dello studio del medesimo Autore: Segni di un antico paesaggio marino nella Villa di Tiberio a Sperlonga); Silvana Errico - aggiornamenti sui nuovi scavi e sul nuovo restauro del teatro di Cassino. Sono quindi 14 contributi che portano a ben 97 i titoli della collezione degli Atti sui vari campi di ricerca, dalla preistoria al recente passato, dall’architettura all’urbanistica, a quello propriamente archeologico, epigrafico, storico e della tradizione nel detto ambito territoriale. Personalmente, quale curatore di “Formianum” fin dal suo concepimento, ritengo il volume raggiunto quale punto di un nuovo inizio. Infatti in questo ampio intervallo di tempo lasciato scoperto dal convegno, a Formia come nel circondario non si è registrata alcuna valida alternativa, né una migliore condizione e considerazione delle risorse culturali. Per questo è già in progetto la riedizione del convegno in una forma rinnovata e più propositiva nel recupero, utilizzo e appropriata divulgazione dei beni culturali. Contestualmente si sta approntando il decimo volume della trascorsa edizione che aveva per tema Formia in età romana, perciò una monografia e un compendio sul periodo storico distintivo nella Città, volume che verrà presentato in occasione dell’apertura del nuovo convegno “Formianum”, ciò non appena la situazione sanitaria assicurerà un sereno rinnovato incontro e scambio tra gli Studiosi, la partecipazione dei Cittadini.
Nelle immagini: Il frontespizio degli Atti del “Formianum” IX-2001 di attuale pubblicazione e un momento del Convegno “Formianum” IX-2001: la sala nel Palazzo Municipale di Formia e il tavolo dei Relatori: da sinistra S. Ciccone, G. Ottaviani, A. Miele (Sindaco),

mercoledì 12 gennaio 2022

IMMAGINI DELL’AUGUSTA MAESTA’ DI ROMA SCOPERTE A FORMIA
Ho avuto la possibilità di avere una copia del Bollettino d’Arte Del Ministero della Pubblica Istruzione, scritto dal Direttore dr Roberto Marvasi, che descrive minuziosamente il ritrovamento di importati reperti archeologici venuti alla luce nel 1920, durante i lavori di costruzione del secondo tratto della via Vitruvio che da via Santa Teresa raggiungeva la contrata Rialto: “ (Ultimo bollettino del Ministero) - Praticandosi i lavori di sterro per l'apertura di una nuova via, e precisamente il cavo di fondazione della spalla di un sottovia del giardino De Matteis - Di Fava, il proprietario del giardino, posto sull'avviso da taluni indizi, metteva in luce una statua di Nereide su mostro marino ; e nel giardino di proprietà Sorreca, a due metri circa di profondità dal piano di campagna, l'operaio Felice Varone vedeva scoprirsi sotto il suo piccone dapprima un tronco di sostegno di statua e subito dopo una testa marmorea, un plinto, un gran torso di statua eroica, e via via, con tre statuette minori, i resti di un'altra statua di personaggio togato. Il rimescolamento invero singolare del terreno nel quale tutte queste sculture coi loro frammenti minori si trovavano ammontichiate non potevano non consigliare una più attenta indagine del sottosuolo ; e così disposti i saggi, furono da me restituiti alla luce, nel luogo stesso dove le prime scoperte avevano avuto luogo, una nuova bella e completa statua eroica, una severa testa giovanile, e sculture minori... Furono ugualmente disposti saggi esplorativi nel terreno di proprietà De Matteis - Di Fava con risultati che sono già della più alta importanza. Il 12 settembre 1920, a poche ore di distanza dall'inizio dei lavori di saggio da me predisposti, appariva nel terreno, all'incirca a metri 3.20 di profondità dal piano di campagna. una statua di efebo interamente nuda tranne una clamide pendente dalla spalla e avvolta attorno al braccio sinistro. Non nuovo è il tipo artistico cui l'autore di questa statua si ispira; la stessa caratteristica ponderazione, la stessa impostazione della figura nuda, lo stesso movimento delle braccia, ritroviamo in un certo numero di statue, tutte derivanti da un solo prototipo, di cui finora la espressione artisticamente più rifinita e fedele è il cosiddetto Hermes Lausdowne. L'originale a cui queste statue si ripetono è un Hermes di scuola policletea, forse dovuta a quel Naucide d'Argo che da taluni è detta fratello di Policleto, e da altri, più semplicemente un parente o un contemporaneo più giovane di Policleto e suo scolaro. In proporzioni più grandi del vero era scolpita una seconda statua eroica che non sembra, piuttosto, possa esser restituita nella sua interezza dai restauri in corso. La ponderazione è la solita delle figure policletee, e al Doriforo ci richiama la posizione del braccio sinistro, che, tirato all'indietro si flette anche qui fortemente, mentre le dita della mano si stringono come nel Canone, all'atto di impugnare un giavellotto, poggiandolo sulla spalla : il braccio destro non viene però abbandonato lungo il corpo come nella statua del maestro di Sicione, ma scende sino all'anca e quindi piega, si che l'avanbraccio è proteso, e la mano è distesa ed aperta come (per citare solo l'esempio d'un'altra statua assai nota) nell'idolino di Pesaro. La testa è, nella maniera più certa, un vigoroso nobilissimo ritratto, l'imitation della statua reca tracce assai appariscenti di color rosso : essa era evidentemente tutta dipinta di porpora come la clamide della figura eroica che ripete il motivo dell'Hermes Lausdowne - Aegion ; e l'effetto artistico tratto anche qui dal contrasto tra il colore del panneggiamento e la bianchezza del marmo è notevole.” “La terza fra le statue eroiche rinvenute in Formia ha molti tratti comuni con l'ultima da noi descritta. Frequentemente ripetuto è nella scultura romana del primo secolo dell'impero il tipo di questa statua del Museo Nazionale di Napoli di cui la stretta parentela con la statua formiana è innegabile anche nel drappamento dell' imitation e nel movimento del braccio sinistro, diremo il cosiddetto Marcello del Macelum di Pompei. Accanto alle statue eroiche e archilee, le statue togate. Una se n'è rinvenuta, nel solito marmo lunense a grana fine e lucida, compiutamente integra tranne lievi manchevolezze. Rappresenta un personaggio stante, completamente avvolto nella toga riportata sul capo alla maniera dei sacerdoti. Innanzi a queste immagini della maestà togata vien fatto spontaneo di associare la potenza della visione al ricordo del divino carme secolare di Orazio, che celebra e glorifica Roma, e rivolge l'augurio ai Quiriti di mostrarsi degni della gran Madre ; glorificazione che fu merito di Auguto di promuovere, e che i suoi poeti e i suoi scultori ebbero l'orgoglio di vestire di si nobili forme. Il tipo statuario cui lo scultore della statua formiana si è ispirato ci è noto per un considerevole numero di esemplari. Ma forse la statua che più che tutte, per la nobiltà dell'espressione e dell'atteggiamento, e anche pel singolare modo dell'inserzione della testa, ci apparisce in rapporti di analogia più stretti con la statua formiana è l'Augusto della via Labicana, rinvenuto nel 1910. Analoghe le pro-porzioni, la ponderazione, la disposizione della toga, la finezza del trattamento artistico : il ravvicinamento delle due sculture si presenta spontaneo. E l'una e l'altra statua ci richiamano al periodo luminoso dell'arte del ritratto nell'età augustea, o della età che ad essa segui immediatamente. Una seconda statua drappeggiata era seppellita nel materiale di riporto entro cui giacevano le quattro innanzi ricordate. Subito al di là del plinto della statua eroica che riproduce il tipo dell'Hermes Lausdowne -Aegion, era una testa virile giovanile, tutta drappeggiata in un lembo di toga, e appartenente a una statua di proporzioni maggiori del vero. E segreto di una maestà così composta e così superiore è in questo suggello personale ed altissimo che Roma imprime alla sua arte; di talchè a un tratto fisonomie e caratteristiche personali spariscono, per dar luogo ad una sola immagine che tutte le fonde e le nobilità: la immagine augusta di Roma. Questa testa non era come quella dell'altra starna togata, lavorata a parte e inserita nel tronco : un solo blocco marmoreo era servito a suo tempo per ricavarvi, col resto della figura, la testa. Le pieghe superstiti della toga, modellate con semplice naturalezza cadevano riccamente, ma senza vastosità offensive ; sul resto della testa, il marmo era trattato in maniera sommaria, poichè la statua figurava contro una parete. Abbondantissime tracce di color rosso mostravano con evidenza che anche questa toga era tutta dipinta di color porpora : colorazione che rispondeva come nella statua gemella, al carattere sacro di cui per le funzioni sacerdotali erano investiti i personaggi rappresentati.”
Nelle fotografie l’area delle proprietà De Matteis – Di Fava e Sorreca e la situazione degli scavi dopo i primi ritrovamenti, la statua di efebo al momento del ritrovamento e nel suo splendore ad avvenuta ripulitura, la terza statua eroica e quella del personaggio avvolto nella toga, definito in seguito “personaggio in costume sacrificante” e la testa virile giovanile drappeggiata in un lembo di toga, di profilo e frontale.

domenica 9 gennaio 2022

FRANCESCO VITTOZZI E LA MOGLIE DEL PESCATORE DI MOLA
Francesco Vittozzi, pittore di scuola napoletana, è stato un artista legato alla raffigurazione di scene popolari alla maniera di Leopold Robert, ma si dedicò anche alla pittura religiosa e alla ritrattistica. Formatosi presso l'Accademia delle Belle Arti di Napoli, risulta essere stato attivo tra Napoli e Roma fra il 1826 e il 1863. Così viene descritto tra i pittori napoletani dell'Ottocento: " Si esprime soprattutto per una pittura naturalistica che ha radici nel Seicento e trae origini dai "Bamboccianti", raffigurandosi nel tempo ma conservando la sincerità di un'atmosfera povera nella rappresentazione di figure popolari e zingaresche". L'amicizia con Pasquale Mattej portò il Vittozzi a visitare Formia nel 1843, dove realizzò un bellissimo dipinto raffigurante la moglie di un pescatore di Mola che si rattrista per la partenza del marito. L’acconciatura dei capelli della donna è stata fortemente influenzata dall'amico Mattej che più volte l'ha disegnata. Simile all'opera di Francesco Vittozzi, nel 1845 il pittore ceco Leopold Pollak (1806 -1880), dipinge una scena costiera nel Regno di Napoli, a cui da il titolo "Il benvenuto della madre", comparabile in stile e materia al dipinto di Francesco Vittozzi. Figlio di un mercante ebreo Pollak, mostra precocemente talento per la pittura. Nel 1819si iscrive all'Accademia delle Belle Arti di Praga, dove studia per cinque anni. Nel 1831, spinto dai suoi genitori, si trasferisce a Roma, dove completa la sua formazione artistica frequentando lo studio del pittore Leopold Schutz. A differenza del Vittozzi, che aveva descritto la tristezza di una partenza, il Pollak dipinse la scena in modo differente: l'allegria di una madre che vede ritornare il marito dalla pesca. Il risultato finale non cambia, l'inconfondibile figura della donna di Mola, con la sua particolare acconciatura, rende le due opere simili. A conferma della localizzazione dell'opera del Pollak, nel 1870 circa, viene pubblicata sulla rivista inglese "The art Journal" un'incisione realizzata al bulino da A. W. Wildblood, tratta dal suo dipinto, che reca in basso la scritta “The mother's welkome - Il benvenuto della madre". Un’ulteriore opera, simile alle due precedenti, è stata realizzata nel 1853 dal pittore tedesco Hinderlang, dal titolo “Il ritorno del pescatore”. Non si hanno notizie di questo artista, che ha certamente frequentato l'Italia intorno alla metà del secolo XIX. La variante di questa terza opera, dedicata alla moglie del pescatore, è lo sfondo, che in questo caso è il Vesuvio fumante, ma il costume della donna e l'acconciatura dei capelli sono riconducibili alla moglie del pescatore di Mola
Nelle immagini il dipinto di Vittozzi, un dettaglio di un acquerello del Mattej, il dipinto di Pollak, l'incisione di Wildbloo ed infine il dipinto di Hinderlang.

venerdì 7 gennaio 2022

LA COLLABORAZIONE DI PASQUALE MATTEJ CON IL POLIORAMA PITTORESCO
Il “Poliorama Pittoresco”, uno dei più vivaci periodici napoletani, diretto dall’abate Giustino Quadrari, edito a Napoli dal 1836 al 1860, stampato dell’editore-tipografo Filippo Cirelli, è stata forse la pubblicazione più letta della stampa periodica del Regno di Napoli. Garantiva una notevole varietà di argomenti e di spunti artistici e letterari, vantando una numerosa schiera di collaboratori. Uno dei più fecondi è stato il formiano Pasquale Mattej, che scriveva ed illustrava i propri articoli. La profonda amicizia che legava il Mattei al Quadrari ed al Cirelli, lo portarono ad illustrare anche articoli di altri scrittori. Avendo l’occhio abituato a riconoscere l’arte del Mattej ho potuto individuare numerose litografie contenute in testi di altri autori, realizzate appunto dal “nostro” artista. Quella che vi presento oggi è a corredo di un articolo scritto dallo stesso Filippo Cirelli, che descrive il costume delle donne di Sepino della provincia di Campobasso, in Molise, che fa parte del circuito dei borghi più belli d'Italia. Nel testo si legge: “Nella breve peregrinazione, che novellamente di unita al diletto amico Pasquale Mattej abbiam fatta a Campobasso, cedendo al gentilissimo invito ed alle affettuase premure de’ signori fratelli Mucci, non disgiunte dalle efficaci istigazioni dell’ottimo amico signor Pasquale Albino, abbiam visitato quella città e quella contrada, con quanto piacere non saprem dirlo.”