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giovedì 28 luglio 2022

NUOVE INFORMAZIONI SUI LAVORI DI RECUPERO DELLA VILLA ROMANA DI GIÀNOLA A FORMIA - di Salvatore Ciccone
Nello scorso articolo si è fatto un generale riepilogo delle vicende degli studi e dei passati lavori di recupero della villa romana estesa su parte del promontorio di Giànola, compreso nell’attuale Parco Regionale Naturale Riviera di Ulisse. Inevitabile è stato il riferimento al personale coinvolgimento, sia nelle pregresse ricerche che nella espletazione di incarichi come architetto e ciò con moderazione, avendo come prioritaria l’evidenziazione dei valori di questo originale contesto storico-naturale nella auspicabile sua più corretta utilizzazione. In questa finalità si crede opportuno fornire nuove informazioni sulle procedure seguite nei lavori che dal 2014 al 2016 permisero lo scavo parziale dell’edificio ottagonale e alla sua prima protezione dagli agenti naturali, insieme alle acquisizioni sulla sua architettura e alle scoperte archeologiche. Un intreccio di operazioni progettuali e di esecuzioni, di rilievo e di studio… e di conti, che mi ha impegnato nel cantiere con il mio collega ingegnere Orlando Giovannone praticamente fianco a fianco col personale operante, ben al di là di una generica prestazione di progettista e direttore dei lavori, qui più gravosa anche negli atti procedurali; fatto determinato dalla complicata situazione di intervento costantemente da adeguare alle più disparate evenienze, nonché nella acquisizione e interpretazione dei dati, quasi da scena del crimine quale effettivamente si presentava il sito dalla dissennata distruzione bellica. Dopo le opere di decespugliamento, facendo attenzione a non compromettere ulteriormente i ruderi e alla contestuale recinzione dell’area di cantiere per scongiurare compromissioni e incidenti da parte di intrusi, si dette via all’opera di scavo nella parte dell’edificio rivolta al mare, dove si sarebbe dovuto apprestare un passaggio per una gru su gomma a braccio telescopico. Sfortuna e fortuna insieme: fortuna perché subito emersero i primi significativi reperti consistenti in teste ritratto marmoree, ben cinque con in più frammenti di altre; sfortuna perché non si poté usufruire di quel mezzo d’opera fondamentale al sollevamento di più ingenti frammenti murari, dovendo variare il progetto avvalendosi della sola gru a torre con braccio fisso, peraltro indispensabile per svariate movimentazioni di cantiere. Quindi, mentre verso mare si procedeva allo scavo del collegamento dell’edificio alla villa con continui affioramenti di reperti scultorei, dal lato occidentale si penetrava verso l’interno alla sala ottagona centrale con la rimozione di massi murari. Qui si ebbe la sorpresa nel constatare che il pavimento di quella sala era rialzato rispetto a quello circostante; si rinvennero inoltre il pilastro centrale abbattuto, i frammenti della volta con il mosaico a stelle descritta da Mattej insieme alla vasca, quest’ultima anelata per ciò che si immaginava e che si dimostrò: un invaso di presa di una sorgente che sgorgava a motivo dell’edificio. In questo scavo l’abside della stanza posta centralmente sul lato del perimetro si scoprì collassata su sé stessa e questo richiese subito un’opera di puntellamento che non fosse troppo invasiva del risicato spazio scavato. Si procedé quindi con una specifica struttura in acciaio consistente in una cerchiatura sagomata alla struttura muraria alla quale si congiungevano dei sostegni inclinati poggiati a terra su plinti in cemento armato, ovviamente separando il congegno dalle parti antiche con speciali teli; inoltre sul dorso dell’abside si reintegrò la muratura dove si presentava aperta una finestra, preservandone il documento. Questo intervento si allineava sulla logica a base del progetto di copertura, cioè quello di impiantare una struttura a tubi e nodi, zincati a caldo contro l’ossidazione, che fosse provvisoria nel concezione, ma più solida e duratura nell’estensione dei tempi di successivi interventi di scavo, pertanto adatta ad un cantiere visitabile come concordato con la Soprintendenza. Per questo, alla necessità di un vincolo a terra staticamente sicuro, si poneva il problema dei forti venti del luogo, per la qual cosa gli appoggi dovevano assumere la caratteristica di plinti-zavorre. In ciò venne prioritariamente escluso per congruità progettuale e per inderogabile disposizione ministeriale, l’ancoraggio diretto su porzione strutturali abbattute o sul suolo roccioso affiorante all’interno dell’edificio, che ne avrebbe comportato la perforazione per l’inserimento di barre di acciaio filettato di fissaggio: un atto lesivo riguardo alle antiche strutture e problematico nei prospettabili interventi. Fu così che furono posti in opera questi plinti cementizi che sebbene a vista furono resi distintivi nella loro forma cilindrica, comunque facilmente rimovibili dal contesto archeologico, come infatti è avvenuto nei lavori eseguiti direttamente dalla stessa Soprintendenza dal 2020. La copertura della parte scavata scongiurava l’accumulo di acqua meteorica nell’ammasso ruderale e insieme una forte concentrazione di calore, combinazione sfavorevole alla conservazione di già indebolite murature. Per lo stesso motivo la parte preponderante non scavata, venne ripianata con terra di scavo e quindi protetta con uno speciale telo impermeabile traspirante, poggiato su uno strato devitalizzante e poi sottoposto ad uno di lapillo vulcanico, drenante e di ancoraggio. Così si assicurava, pur sempre con una ricognizione e manutenzione periodici, la protezione dagli agenti naturali interconnessi, quali piogge, insolazione, salsedine, vegetazione, qui molto aggressivi. Intanto All’Istituto Centrale per il Restauro presso il San Michele a Roma si procedeva alla cura di parte dei reperti marmorei che sono stati poi oggetto di una specifica mostra nel medesimo luogo, per poi essere in seguito esposti com’è attualmente presso il Museo Archeologico Nazionale di Formia: una nuova attestazione della storia di questa città che preludeva ad un perdurato impegno di ricerca e ad un avveduto recupero di quella originalissima villa di Giànola.
DIDASCALIE IMMAGINI : 1 - Le rovine dell’edificio ottagonale sul lato nord-ovest, all’inizio dei lavori: a destra un cantone intagliato nella roccia e al centro il catino dell’abside. 2 – L’ammasso ruderale dell’edificio ottagonale durante gli scavi: in basso il lato nord-ovest e a sinistra il collegamento verso la villa dove sono affiorate le sculture. 3 – Una archeologa impegnata a liberare una testa ritratto marmorea nel collegamento sul lato mare dell’edificio ottagonale. 4 – Prima pulitura di alcuni reperti scultorei di marmo rinvenuti nella parte a mare dell’edificio ottagonale. 5 – Parte posteriore dell’abside nord-ovest in due fasi di recupero: a sinistra, consolidamento con puntelli di mattoni e cerchiatura con sostegni di acciaio; a destra, sostituzione dei puntelli con cortina muraria a ripresa dell’arco e piattabanda di una finestra collassata. 6 – La sala ottagona e l’abside consolidata posti al riparo della copertura con telaio a tubi e nodi: si notano i plinti-zavorra cementizi di forma cilindrica che assicurano a terra la struttura senza compromissione delle antiche superfici.

giovedì 21 luglio 2022

FRANCO CUCINOTTA FORMIANO VERO DI ADOZIONE - di Salvatore Ciccone - Ho appreso con tristezza seppur non sorpreso della morte di Franco Cucinotta, avvenuta martedì 12 luglio. La perdita di un amico quale si è dimostrato negli ultimi anni d’età nel frangente di una seria situazione di salute di mia madre Vanda, senza chiederlo e senza riserve con generosità e affetto suo e di Rita, amorevole consorte. Ma il triste evento vede la scomparsa di un formiano vero pur non essendolo di nascita, avvenuta a Roma il 10 marzo 1934, ma di origini messinesi per via paterna, venuto a Formia essendo il padre, Vincenzo, tecnico del Genio Civile impegnato alle opere della ricostruzione postbellica. Fin qui si potrebbe dire che tanti sono venuti a Formia in pari condizioni senza per questo rappresentare un unicum, solo che Franco di questa città la rappresentò in larga parte essendo esponente politico di punta del Partito Socialista e a livello nazionale al fianco di Pietro Nenni, quando quest’ultimo abitava per diporto nella sua villa di Vindicio e a poche centinaia di metri dietro di lui che invece dimorava sul litorale; e questo quando la politica appassionava con le visioni di giustizia e miglioramento sociale sostenute da tangibili risultati e in confronti anche accesi ma rispettosi dell’avversario. Ma ancora Franco fu consigliere comunale e vicesindaco allo scorcio degli anni 1970, dove di quei valori ne fece attenta applicazione, attento a non svilire e far scadere la sua funzione in favori nel facile accaparramento di voti, fatto che probabilmente a taluni non lo rese simpatico. Ricordo ancora la mia partecipazione ad una trasmissione di una radio locale, dove io appena maggiorenne mi trovai faccia a faccia con lui civico rappresentante circa le problematiche di Formia e mi fece specie la sua attenzione, con atteggiamento analitico predisposto ad ascoltare, non a contrapporre, dal quale traspariva un amorevole compiacimento verso quel giovanissimo appassionato. Un’altra occasione fu nel 1977 nella presentazione di “Formia Archeologica” la prima guida che passava in rassegna le testimonianze archeologiche e monumentali della città, di cui ero tra i redattori e soci del Centro Studi Pasquale Mattej sede dell’Archeoclub d’Italia, che l’aveva promossa: egli rappresentò come vicesindaco l’intera cittadinanza, con un discorso di cui non ricordo i dettagli, ma il tono appassionato e argomentazione non banale come si suole proferire in questi casi, specie quanto direttamente coinvolgenti le pubbliche istituzioni. Parliamo ora degli ultimi anni di frequentazione, dove egli appesantito fisicamente e poco abile nei movimenti, non aveva però perduto la lucidità critica feroce verso la politica in generale e in particolare di quella formiana di cui informatissimo e partecipe, conosceva tutti i “recessi” e le indicibili “deficienze”, per questo sconfortano nel vedere sgretolare quel progetto ideale su cui si era costruito e su cui contava per il futuro di tutti. In questi racconti caustici e “coloriti” la sua espressione era divertita con un sorriso che celava amarezza, quasi a voler sollevare l’interlocutore dall’imbarazzo e nel riporre i fatti in quella filosofia di vita tutta meridionale memore delle novelle di Verga. Alla sua convinta laicità nella politica, era segretamente e convintamente credente se non altro per quel senso di giustizia che lo dominava e verso sé stesso per le umane debolezze che però non lo corruppero nella civica responsabilità. In questo evento luttuoso appare anomalo il totale silenzio, passabile nel disordine e distrazione del momento, ma che nella vita cittadina da alcuni anni rientra in una capacità di celare lavoro e impegno trascorsi ma di cui si beneficia, oltre che a far tacere con arroganza ogni tentativo motivato e documentato di porre in evidenza fatti sia positivi che negativi, in quella pulsione che è motivo basilare di una società liberale e democratica e di cui proprio Franco Cucinotta era interprete e assertore e al quale va il nostro riconoscente tributo.
FRANCO CUCINOTTA NELLA MIA MEMORIA - di Renato Marchese - Da pochi giorni è venuto a mancare un caro amico, una persona a cui ero legato da un’antica e fraterna amicizia. Franco Cucinotta se ne è andato in silenzio, senza che in molti se ne siano accorti, me compreso che ho saputo della sua scomparsa solo dopo una settimana. Franco negli anni Settanta è stato un amministratore di questa città e che l’ha amata profondamente, ricoprendo anche la carica di Assessore e Vicesindaco. Il mio avvicinamento al Partito Socialista Italiano, all'inizio degli anni Settanta, mi ha dato la possibilità di frequentare conoscere meglio Franco, che in un pomeriggio assolato di luglio del 1973 mi condusse a conoscere l'anziano Leader del nostro Partito, Pietro Nenni, amico di vecchia data. Quando Nenni arrivava a Formia, uno dei suoi primi pensieri era di telefonargli, per farsi aggiornare sulla situazione politica e amministrativa della Città. Ci accolse con molto garbo e cortesia, Franco mi presentò come uno dei tanti giovani che si stavano avvicinando al Partito. Oltre alla perdita dell’amico, mi rattrista l’indifferenza della Città che egli aveva così fedelmente e appassionatamente servito; non una menzione, non un ricordo, non una condoglianza alla amorevole consorte Rita. Si può giustificare con la distanza di quegli anni, più che temporale riconducibile ad un profondo cambiamento della società, immemore di ideali, priva di progetti e sempre meno umana.

domenica 17 luglio 2022

Nuovi lavori nella Villa Romana di Mamurra a Formia - di Salvatore Ciccone
Sul promontorio di Giànola compreso nel Parco regionale naturale “Riviera di Ulisse, risultano ultimati i lavori per la protezione e la fruibilità al pubblico della villa romana tardo repubblicana attribuita a Mamurra. Per il pubblico si tratta di una notizia e di una attrattiva variamente sentita secondo le specifiche sensibilità e competenze. Per me suscita un coinvolgimento del vissuto e della professione di architetto; un percorso iniziato nientemeno da bambino, nel sentire favoleggiare di streghe, di 36 colonne a mare, luoghi in seguito esplorati all’inizio degli anni 1960 con mio padre e i suoi amici sulle orme di Pasquale Mattej, il quale più di cent’anni prima scrisse di questi ruderi, producendo una ammaliante pianta dell’edificio ottagonale detto “Tempio di Giano”; quindi rivisitati insieme a quelli che comporranno l’Archeoclub di Formia e che mi precedevano negli studi universitari di architettura. Allorché mi apprestai alla tesi di laurea la scelta del tema fu inevitabile come pure l’incidente che, nel rilevare la pianta dell’edificio ottagono, mi invalidò l’occhio sinistro con oltre venti giorni di ospedale e un condizionamento a vita. Ciò nonostante, allo sconforto fu di aiuto Giuseppe Zander allora professore nella mia facoltà di Roma e architetto a capo dell’ufficio tecnico di San Pietro in Vaticano. Lui estasiato dai risultati che avevo prodotto volle essere mio Relatore e fu così che mi potei laureare guadagnandomi il massimo dei voti. Egli poi mi pressò per la pubblicazione del lavoro sulla rivista specializzata “Palladio” sotto egida del CNR ed edita dal Poligrafico dello Stato e ciò lo fece fino a darmi un ultimatum con una lettera che gelosamente conservo e che prima o poi pubblicherò. Riuscì nell’intento e nel 1990 l’articolo finalmente venne dato alle stampe, ma egli non lo potette leggere: morì poco prima nello stesso anno. Verso la metà degli anni 1990 il Presidente del Parco regionale di Giànola e Monte di Scàuri, “Mimmo” Villa mi considerava suo consulente per l’area archeologica. Riuscì ad acquisire nove ettari del complesso ruderale digradante verso il mare e al suggestivo paesaggio del golfo di Gaeta, avviando opere conservative anche a più riprese sulla scala coperta da volte c.d. Grotta della Janara (strega), sulla cisterna c.d. Trentasei Colonne e sulla “cisterna maggiore” quale punto di accoglienza. Quest’ultima fu il mio primo banco di prova nella progettazione e direzione lavori le quali, in due distinti finanziamenti, nel 2002 e 2004, hanno condotto al recupero del monumento preservandone la specifica caratteristica di inserimento ambientale distintivo di questa area archeologica e dello stesso Parco Regionale Naturale. In questo percorso susseguirono altre mie numerose pubblicazioni in volumi e collane, nonché per lo stesso Parco, riguardo alla evoluzione degli studi interpretativi del complesso architettonico. Il monumento più significativo rappresentato dal c.d. Tempio di Giano, una specie di ninfeo a pianta ottagonale al vertice della villa, ridotto ad un cumulo di rovine durante il secondo conflitto, rimaneva inaccessibile e in questa condizione il più esposto al degrado e alla dispersione. Ad un primo progetto preliminare, solo nel 2010, già deceduto Mimmo, il Parco divenuto ampliato “Riviera di Ulisse” dispose per il suo recupero di fondi europei per un milione di euro e indetto un concorso nazionale al quale ho partecipato con la collaborazione dell’ingegnere Orlando Giovannone e aggiudicato in testa ad altri concorrenti. Ad un più estenuante preparativo progettuale e di accordi con la Soprintendenza ai Beni Archeologici, finalmente i lavori iniziarono nel 2014. Subito alle prime opere sono affiorati pregevoli reperti marmorei, quali teste ritratto e sculture di soggetto mitologico di una fase medio imperiale, oggetto di cure e di una mostra dell'Istituto Centrale per il Restauro in San Michele a Roma, ora in parte esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Formia. L’andamento dei lavori fu contrassegnato da inevitabili rallentamenti e varianti in corso d’opera provocate da imprevedibili situazioni che si presentavano nell’ammasso di rovine, non ultima l’obbligata prospezione di ordigni bellici. Fu comunque raggiunto l’obiettivo di mettere in chiaro un settore dell’edificio fino a tutta la sala ottagona centrale. In più venne scavato tutto l’imponente collegamento tra l’edificio e la villa sul lato mare e questo facendo economia sulle opere senza ulteriore dispendio. Alla scoperta di molte sculture ancora da interpretare, vennero in luce anche i resti discosti di una chiesetta almeno di IX secolo e acquisito che nella sala ottagona sgorgasse una sorgente che motivava questo edificio, nel quale era pure associata una estrema funzione sepolcrale. Come dalle indicazioni imposte dalla Soprintendenza l’area dell’edificio avrebbe avuto la caratteristica di cantiere in evoluzione e visitabile, così era stato predisposto con una copertura provvisoria a tubi e giunti e atta a resistere all’azione del vento qui marcata, nonché resa praticabile con un percorso montante dalla parte inferiore fino all’interno della parte scavata. I percorsi esterni erano in terra battuta con transenne di castagno, nel più attento rispetto dell’area naturale e dell’inserimento in essa dei ruderi, cioè senza imposizione di elementi di arredo autoreferenziali che avessero in qualche modo potuto distogliere se non sconvolgere questa particolare simbiosi di natura e storia. Terminati i lavori nel 2016, vana è stata l’attesa di una apertura al pubblico pienamente legittimata dal compimento a regola d’arte delle opere, finché non è intervenuta la modificata “Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone Latina e Rieti” del Ministero per i Beni le Attività Culturali e Turismo. Le opere con progetto d’ufficio e finanziate dal Ministero per complessivi 800mila euro, dal 2020 hanno consistito nella sostituzione della copertura provvisoria sulla parte scavata dell’edificio ottagonale e si estendono con la percorrenza pedonale a comprendere entro una recinzione metallica un’area di circa 10.000 metri quadrati includente la cisterna “Trentasei Colonne” e la scala voltata “Grotta della Janara”. I percorsi sono rappresentati da un duecento metri lineari di viali della larghezza di circa 2 metri con più ampi piazzali susseguenti, realizzati con struttura di calcestruzzo a ciglio rialzato in ambo i lati integrati da transegne di legno, talvolta raddoppiati a senso obbligato dagli ingressi. È auspicabile che all’impegno così oneroso corrisponda un nuovo interesse verso questa area archeologica, nel proseguire le indagini e soprattutto nel comunicarne i valori, le acquisizioni scientifiche, ben oltre la esibizione dell’arredo.
Didascalie Immagini: Veduta dall’alto con la sistemazione della restante area ruderale e tre immagini della parte scavata dell’edificio ottagonale con la copertura del cantiere visitabile prodotta nel 2016 dal progetto Ciccone – Giovannone.

lunedì 4 luglio 2022

UN “GRAFFITO” DI PASQUALE MATTEJ A VENTOTENE - Di Salvatore Ciccone e Renato Marchese -
L’1 luglio, a pasto concluso intorno le ore 14, andava in onda per il TG 2 “Sì, Viaggiare” un servizio sull’isola di Ventotene che attirava la mia attenzione per la parte riguardante le vestigia romane di Villa Giulia. Di esse come di tutta l’isola non ho alcuna contezza non essendoci purtroppo mai andato, cosa che mi duole e mi imbarazza non poco. L’interesse verso l’esposizione delle rovine fatta dall’Operatore del locale Museo Archeologico, mi richiamava quanto scritto da Pasquale Mattej in “L’Arcipelago Ponziano”, articolo a puntate sulla rivista “Poliorama Pittoresco” del 1847 poi tradotta in monografia con immagini di sua mano dieci anni dopo. In particolare ricordavo il paragone da egli fatto per una scala voltata tra questa villa e quella di Formia sul promontorio di Giànola, trattata in quella stessa rivista nel 1845 e che citava in nota: insomma mentre seguivo il programma si era istituito un parallelo con i pensieri del Mattej. In questo particolare stato di attenzione, il servizio televisivo si concentra sulle cisterne romane, riserve di acqua piovana, bene prezioso e indispensabile allora per abitare l’isola. Sulle loro pareti nelle epoche a noi più prossime mani ingenue avevano lasciato raffigurazioni e quelle dei più dotti delle scritte, allorché in rapide inquadrature per due forse tre secondi, a pieno campo appare l’autografo “Pasquale Mattej 1847”. Sorpreso e avvinto, immobile, quell’immagine si era fissata con automatismo fotografico anche perché combaciata alla firma e alla grafia di Mattej che ben conosco, per giunta apparsa proprio nel rivivere le sue esperienze. Disorientato in un primo tempo, subito mi sono attivato per reperire informazioni sul luogo, sul Museo e sul suo Responsabile; poi ho deciso di ricorrere a Rai Play. A questo punto, per praticità e per lo spirito di collaborazione che mi accomuna in questa materia, ho telefonato a Renato, informandolo dell’accaduto e per rintracciare il filmato con sua pure grande gioia. Non passa un’ora che su Whatsapp mi invia l’immagine anelata, con tutta la carica emotiva e il valore testimoniale in essa riposta: essa fissa su due righi il nome del Nostro e sotto la data “8 luglio 1847”, dunque proprio in questo inizio di mese, 175 anni fa. Ciò corrisponde a quanto scritto dal Mattej, partito da Gaeta il 4 luglio per portarsi a Ponza e poi alle isole circonvicine nel cimento di un’opera appassionata, della quale lascio a Renato fornire una nota.
Questo “graffito” tracciato con una matita o un pastello sull’antico intonaco oggi verrebbe considerato un atto vandalico, ma in passato era invece di uso comune nelle poche persone istruite che intendevano così unire la loro presenza ed estasiata partecipazione alle eterne opere degli antichi; così i tanti autografi degli illustri architetti del Cinquecento che di più insigni opere intesero accoglierne il lascito. Un messaggio dunque lasciato dal nostro illustre concittadino formiano, che ci richiama al significato delle testimonianze del passato inscindibili dal nostro vissuto, dalla nostra sfera emotiva; un fatto questo della cui la personale sensazione e interpretazione interiore mantengo riservata. - Salvatore Ciccone -
Il “nostro” Pasquale Mattej, il 4 luglio dell’anno 1847, all’età di 34 anni, si imbarcò dal porto di Gaeta diretto a Ventotene, dopo aver nello stesso anno soggiornato a lungo sull’isola di Ponza. I frutti di questi viaggi nelle isole Pontine, furono le sue “Memorie storiche descrittive ed artistiche dell’arcipelago Ponziano - Dedicate agli artisti ed ai cultori della Storia Patria”, pubblicate a puntate sul periodico Poliorama Pittoresco, dal n. 14 dell’anno 1855 al n. 28 dell’anno 1856, edito a Napoli da Filippo Cirelli. Le stesse Memorie, riunite in unico volume, furono pubblicate l’anno successivo dal medesimo Editore. 
Sorta dall’eruzione di un vulcano sottomarino avvenuta alcuni milioni di anni fa, l’isola di Ventotene, gioiello delle Isole pontine, di forma irregolare, si estende da levante verso ponente per circa 2700 metri, con una ampiezza che raggiunge nel punto più largo gli 850 metri circa. 
Ventotene, anticamente chiamata Bentienti, Bitente, Pontatera, Pandataria, Ventoniana e Vandotena, era abitata già fin da epoca romana. La storia ce la ricorda come luogo di esilio e deportazione di donne illustri, divenute scomode per i propri parenti. Vi morì di stenti Agrippina moglie di Germanico, Ottavia moglie di Nerone e la bellissima Giulia, figlia di Augusto esiliata con sua madre Scribonia. 
Distante da Ventotene circa 1400 metri, insiste l’isolotto di Santo Stefano, le cui coste si estendono per circa 1840 metri; raggiunge la sua altezza massima di circa metri 85. Conosciuto per aver ospitato fino al 1965 un famoso carcere, su progetto dell’architetto Francesco Carpi, fu fatto edificare da Ferdinando IV di Borbone. L’enorme penitenziario, inaugurato nel mese di luglio dell’anno 1795, ospitò, oltre a prigionieri per reati comuni, anche oppositori del regime fascista, tra i quali Sandro Pertini, Giorgio Amendola, Giuseppe Romita e Umberto Terracini. 
In questi suoi viaggi all’arcipelago ponziano, oltre agli scritti, il Mattej ci ha lasciato 42 disegni ed alcuni acquerellati, conservati nella Biblioteca Vallicelliana di Roma, che raffigurano costumi, folclore, monumenti e panorami delle isole, da cui vennero incise dallo stesso autore le litografie a corredo degli articoli pubblicati nel Poliorama Pittoresco. 
Concludo questo breve omaggio alla bella isola di Ventotene trascrivendo l’ultima frase delle memorie scritte dal Mattej: “... Ancora pochi altri istanti, e le isole di Ventotene e Santo Stefano confuse nell’aereo orizzonte non erano per me che una memoria ed un sogno del passato!” Nelle immagini alcune litografie del Mattej pubblicate a corredo dello scritto del Poliorama Pittoresco. - Renato Marchese -
Didascalie : 1 – Graffito autografo di Pasquale Mattej su una delle pareti della cisterna romana di Ventotene. 2 /3 – Interni della cisterna dove si trova il graffito autografo di Pasquale Mattej. 4 – Il porto di Ventotene. 5 – Avanzi di un antico bacino. 6 – Avanzi della casa di Giulia. 7 – L’isolotto di Santo Stefano. 8 – Ventotene vista da Santo Stefano