mercoledì 29 maggio 2024

DUE MARTIRI COETANEI DAL MARE DI FORMIA: SANT’ERASMO E SANT’EFISIO - di Salvatore Ciccone
La ricorrenza della morte di Sant’Erasmo a Formia, il 2 giugno del 303 dopo Cristo, risalta con quella di un altro santo che dal lido di Formia si portò in Sardegna per soccombere al supplizio, il 15 gennaio del medesimo anno 303: Sant’Efisio, tra i più rappresentativi dell’Isola e co-protettore di Cagliari. Il calendario dei due episodi è naturalmente fissato negli specifici martirologi che però sono di oscura origine e sostanzialmente scritti in epoca medievale, elaborando su modelli e laddove non si avevano notizie assimilando la vita di altri Santi; per questo non è qui il caso di fare una analisi dei testi persino ardua agli specialisti. La “Passio” di Sant’Erasmo è stata scritta da Giovanni di Gaeta, monaco benedettino in Montecassino, eletto papa col nome di Gelasio II dal 1118 al 1119, il quale nel prologo dichiara di aver elaborato il testo attingendo da varie fonti e con cognizione dei luoghi in Oriente avute da alcuni confratelli. In sintesi, Erasmo, giovane di rara bellezza, divenne vescovo di Antiochia capoluogo della Siria e per questo, in base all’editto emanato da Diocleziano, tenuto ad officiare la divinità dell’imperatore, cosa che in base alla sua fede si rifiutò di fare e perciò sottoposto a tremende torture dalle quali scampava miracolosamente. Di sostegno gli fu l’Arcangelo Michele, il quale da ultimo lo condusse a Formia. Qui predicò per sette giorni fino alla morte per i patimenti subiti, il 2 giugno dell’anno 303, e il suo corpo sepolto nella parte occidentale della città presso l’anfiteatro. Il suo corpo venne poi trasferito a Gaeta al sicuro delle incursioni degli Agareni (i Saraceni), dove venne riscoperto con intitolazione della cattedrale. La tradizione locale vuole che Erasmo fosse martirizzato proprio a Formia e per eviscerazione, in uno degli ambienti del teatro romano presso il rione Castellone, detto “il Cancello” da una palizzata protettiva del luogo di culto. A Gaeta divenne patrono della nuova “civitas” marinara e quindi protettore dei naviganti, del quale la presenza durante le tempeste si credeva fosse nelle luminescenze elettrostatiche tra le alberature delle navi, i fuochi di S. Ermo o Elmo già dai Romani attribuiti ai Dioscuri. Nell’ex cattedrale di Formia dedicata al Santo, presso il Castellone medievale sorto l’antica acropoli, nel decennio 1970 sono venute in luce importanti testimonianze tardoantiche ed altomedievali del luogo di culto, sostanzialmente originate da un’area sepolcrale pagana, in cui sorse un “martyrium”, un sacello con un altare su un precedente sepolcro successivamente privato delle spoglie, evidentemente quelle del Santo trasferite a Gaeta. A questo piccolo edificio di culto si unirono numerose sepolture cristiane “ad corpus”, quindi in breve tempo integrato ad una basilica a navata unica, costruzioni certamente realizzate dopo l’editto di Costantino del 313 con il quale si liberalizzava il cristianesimo. In fasi successive il complesso si arricchì di elementi funzionali, tra i quali intorno al VI secolo una cripta semianulare sotto l’altare maggiore della basilica per accogliere le spoglie del Santo; quindi un ricco apparato decorativo di stile carolingio avutosi tra VIII e IX secolo, prima che intervenisse la devastazione saracena che si vuole avvenuta nell’846. Con la presa di possesso dei monaci benedettini nel X secolo e poi dal 1491 di quelli Olivetani, si è avuta la trasformazione in abbazia e la chiesa evoluta in tre navate, con l’altare privilegiato posto in corrispondenza della tomba originaria, ma da secoli occultata. Riguardo Sant’Efisio le varie fonti non sempre concordi comunque attestano la veridicità del personaggio in Sardegna oltre che la situazione nel quale esso si è mosso proprio dalla sponda campano-laziale verso l’Isola; anche qui la sintesi è d’obbligo. Efisio era di famiglia eminente di “Aelia Capitolina” (Gerusalemme rinominata dall’imperatore Adriano) figlio di Cristoforo, cristiano, e della pagana Alessandra. La madre riuscì ad avere udienza da Diocleziano occasionalmente ad Antiochia, supplicandolo di prendere il figlio come suo militare. L’imperatore, ammirato dalla bellezza del giovane, gli affidò la repressione dei cristiani, ma come Saulo (Paolo) sulla via di Damasco fu oggetto di un prodigio: vide apparire in cielo una croce sfolgorante insieme alla voce di rimprovero di Gesù, croce che rimase impressa sulla palma della mano destra, ciò che convertì il giovane. Recatosi quindi a Gaeta si fece realizzare una croce d’argento che miracolosamente venne iscritta in ebraico con i nomi degli arcangeli. Qui evidentemente la “Passio” scritta nel XII secolo considera la città che aveva preso il posto dell’originaria malsicura Formia, invece fiorente all’epoca di Diocleziano e della quale il naturale “portus Caietae” ne era parte integrante. Inoltre in questa permanenza si portò a combattere con il suo esercito gli invasori Agareni, uccidendone 12.000; altro chiaro sfasamento storico nell’età del documento, in riferimento alla vittoriosa battaglia del Garigliano del 915. Sbarca quindi a Tharros in Sardegna, per risolvere una aggressione di barbari, cioè dei “Barbaricini”. In questa terra egli manifesta la sua fede, addirittura scrivendo all’imperatore di convertirsi, il quale naturalmente lo fece arrestare e sottoporre a torture, dalle quali rimase miracolosamente indenne finché non venne decapitato a Nora, fiorente città romanizzata presso l’odierna Pula dove è una chiesetta romanica eretta sul luogo del martirio. Sant’Efisio ha avuto grande impulso nel 1656 allorché supplicato liberò Cagliari dalla peste e da allora oggetto di grandi festeggiamenti dal 1° al 4 maggio: una caratteristica processione con largo seguito di fedeli provenienti da tutta l’Isola, il simulacro in un pregiato carro dall’omonima chiesa di Cagliari per quaranta chilometri raggiunge Pula, luogo del martirio. Dunque Sant’Erasmo e Sant’Efisio, due giovani ardenti nella nuova fede di salvezza, da Antiochia giunsero a Formia, chissà se in qualche modo connessi, attestandone l’importante nodo di traffici tra la via Appia e le rotte marittime dall’Oriente verso Roma e l’occidente dell’Impero, come pure di culture, di nuovi culti di cui vincente fu il Cristianesimo e nella cui diffusione emersero queste figure emblematiche della Chiesa.
Bibliografia essenziale - S. Ciccone, La Cattedrale dell’antica Formia, “Lunario Romano” 1987 - Cattedrali del Lazio, Roma 1988, p. 325 segg. - R. Zucca, Il Portus Caietae in una fonte agiografica: la Passio Sancti Ephyfii, “Formianum” VII-1999, Marina di Minturno 2007, p. 97 segg.
Didascalie immagini 1 –Particolari delle statue dei Martiri: a sinistra, di Sant’Erasmo nella chiesa titolare presso il rione Castellone di Formia; a destra, di Sant’Efisio, presso l’omonima chiesa barocca nel rione Stampace di Cagliari. 2 – Le Grotte di Sant’Erasmo presso il poto di Formia, dove la tradizione vuole sia deceduto il Martire. 3 – La chiesa di Sant’Erasmo di Formia, come si presentava ritratta da Pasquale Mattej a metà Ottocento.

martedì 14 maggio 2024

LA VIA APPIA A FORMIA: IL PONTE E L’EPITAFFIO DI RIALTO - di Salvatore Ciccone
In memoria della cara Franca Forte, per l’impegno donato alla sua amata Formia, con imparzialità e spirito di amicizia, vera costruttrice di cittadinanza. Nel Rinascimento, con il consolidarsi degli assetti politici e il rifiorire dell'economia e dell'arte, la via Appia tornò nuovamente ad essere considerata indispensabile e rapido collegamento del Meridione con Roma centro della cristianità, quindi con l'Europa. Documenti dei restauri viari sono i cosiddetti Epitaffi, monumenti commemorativi dei lavori compiuti sotto il dominio spagnolo di Filippo II il Cattolico. Uno di questi monumenti riguarda la costruzione del ponte sul torrente Rialto, il “rivum altum” così denominato per le alte e ripide sponde, vera difesa naturale ad occidente dell'antica Città e in prossimità del trecentesco Castellone; Il ponte e l’Epitaffio in seguito all’ultima guerra ancora restano in rovina e benché il luogo commemorato per le numerose vittime civili, versa in un generale stato di incuria. Il ponte era costituito da un grande arco in conci di tufo alternati a mattoni, solido e leggero ad un tempo, impostato su spalle inferiormente rivestite da alte cortine di pietra squadrata, elementi di spoglio di antichi monumenti come l’iscrizione del sepolcro di Marco Vitruvio, recentemente ritrovato e scavato presso la vicina Fontana Romana. Dell'Epitaffio rimangono parte del nucleo cementizio e del rivestimento lapideo del basamento: questo a forma di podio è lungo m. 5,30, largo 1,70 e alto 1,90 compresa la cornice composta di un grosso rotondo ‘toro’ con sottostante ‘guscio’. L’architettura del monumento può solo osservarsi in alcune foto d'epoca, dove sul podio si erigeva una parete risaltata sui cantoni da coppie di lesene, concluse da modiglioni e coronata da un frontone ‘ad arco spezzato’; nella parete centrale campeggiavano tre stemmi e una lapide commemorativa; l'altezza complessiva doveva essere prossima ad 8 metri. Il testo dell'iscrizione compare nel manoscritto di Pasquale Mattej “L'Ausonia” (1866-69) conservato nella Biblioteca Vallicelliana in Roma:
PHIL • II • CHAT REGNANTE PERAF • ALCALAE DVX PRO REGE RIVO ALTO PONTEM ALTVM IN OMNIBVS REBVS ALTA QVADAM MENTE PRAEDITVS ADDITIT M•D•L•XVIII
Con una libera traduzione si dice: “Regnante Filippo II il Cattolico, il viceré Perafan duca d'Alcalà pose sul Rio Alto un ponte eccelso, avendo in tutte le cose una certa ampia cognizione, 1568”. Il duca d'Alcalà Pedro Afàn de Ribera, detto don Perafan, nato a Siviglia nel 1508, ricoprì la carica di viceré in Catalogna e poi a Napoli dal 12 giugno 1559 al 2 aprile 1571, data della sua morte. Condusse un’amministrazione distintiva per le opere pubbliche, oltre a quelle viarie, quelle a difesa dai Turchi a Napoli e le torri costiere. Gli stemmi dell'Epitaffio dovevano essere della casa regnante al centro e ai lati del duca e della città di Gaeta, cui questo territorio allora apparteneva. Il Mattej riferisce che il monumento era in origine collocato sul piano del ponte, poi riposizionato per l'ampliamento dell'attuale via Olivetani nel 1856-57. La posizione originaria è documentata nell’unica immagine finora nota, una grande tela ad olio di collezione privata a Formia, che ritrae il suggestivo paesaggio del sito falsamente firmata “Angelo Viviani 1850”, invece sicuramente attribuibile a Pasquale Mattej. Il monumento è visto di spalle dall’attuale via Olivetani, effettivamente sul piano del ponte allineato al verso di percorrenza. In esso vi Appaiono due ulteriori elementi: nel mezzo del frontone spezzato, a giustificare questa forma, si erge un pinnacolo sormontato da sfera; nel retro del monumento, a guardare la via che scende da Castellone, campeggia un’altra epigrafe con spigoli risaltati, della quale sinora non si ha menzione ma che può relazionarsi al percorso secondario. Interessanti confronti tipologici, oltre ai contenuti epigrafici, possono farsi con i simili monumenti eretti dal viceré tra i quali innanzitutto quello presso Monte San Biagio, adiacente la torre del vecchio confine pontificio detta appunto dell'Epitaffio, come pure quello recentemente restaurato in località Sant'Andrea nel territorio di Fondi prossimo al confine con Itri, nell’Antichità quello del municipio di “Formiae” sull'antico tracciato dell'Appia. Il duca d'Alcalà con questi monumenti volle restituire alla via Appia non solo la funzionalità di un tempo, ma anche la fama e la monumentalità dell'antica “Regina Viarum” rinominata “Via Regia” in cui la memoria dell'artefice, a somiglianza degli antichi, rimanesse eternata nelle lapidi con l’architettura degli epitaffi ispirata agli splendori della classicità. Si conferiva così all'arteria una connotazione storica e culturale quale effettivamente andò sviluppandosi in particolare nel Golfo di Gaeta, apprezzato dai viaggiatori per la natura incantevole dei luoghi e per le sparse antichità. Purtroppo la condizione dei resti di Rialto si è andata via via aggravando, non solo per il naturale degrado, ma per gli interventi susseguiti negli ultimi anni, tra i quali un’alta recinzione sul ponte moderno che impedisce la vista di quello cinquecentesco e una ‘cabina’ di un impianto tecnico accostata ai resti dell’Epitaffio: ora questo, in conseguenza all’incuria è del tutto occultato da rigogliosa ma invadente vegetazione, situazione favorevole ad un atto di totale soppressione del monumento: per uno strano caso anche il sepolcro di Vitruvio, la cui epigrafe giace riutilizzata sotto il Ponte, viene lasciato ricoprire da edera appositamente piantumata e senza che le autorità preposte intervengano. Nella valorizzazione dell'itinerario culturale dell'Appia antica, anche il ridotto rudere dell’Epitaffio di Rialto ed il ponte stesso risaltano come preziose testimonianze del passato, non certo da nascondere, ma da preservare quali patrimonio della collettività come l’ancora viva memoria di tragici eventi bellici.
Bibliografia Degli epitaffi e delle relative epigrafi si fa anche menzione in: “Pianta del real cammino di Roma da Napoli fin’al confine del Regno” (Bibl. Naz. Napoli, mss xv A 16); D. A. Parrino, “Teatro eroico e politico de’ governi de’ viceré del Regno di Napoli dal tempo del re Ferdinando il Cattolico fino al presente” (Napoli 1770, pp. 181-82). Riguardo l’epigrafe sulla Porta di Mola in: N. Chytraeus, “Variorum in Europa itinerum deliciae […]”, (?) 1606, p. 48; S. Ciccone, “Formia Turismo” 5-1989, pp. 8-10; A. Di Biasio in “Formianum” I-1993, p.105.
DIDASCALIE : 1. L’epitaffio di Rialto in una foto d’epoca. 2. Il ponte di Rialto con l’Epitaffio nella posizione originaria, in un dipinto di Pasquale Mattej (autoritratto in basso a destra) contraffatto a firma di “Angelo Viviani 1850”. 3. Particolare dei resti dell’Epitaffio con le modanature del podio. 4. I resti dell’Epitaffio come oggi “invisibili” (a destra della cabina tecnica). 5. Il monumento alle vittime civili nel bombardamento del 18 aprile 1944.