lunedì 2 maggio 2022
LA PIAZZA DELLA VITTORIA: MONUMENTO SOPRANAZIONALE -
di Salvatore Ciccone
Tra Ottocento e Novecento Formia va assumendo una vera forma urbana attraverso una maglia di saldatura tra i due rioni di Castellone e Mola, il cui asse portante è costituito dalla nuova via Vitruvio con baricentro il Palazzo Municipale, situato nell’incrocio ideale tra le coeve infrastrutture della linea ferroviaria e il porto.
In un primo tempo la moderna carrozzabile, realizzata nel decennio 1880, sostituiva il tratto della via Appia antica (via Ferdinando Lavanga) particolarmente angusto a Caposelice: scendeva a lato della piazza-sagrato di Santa Teresa per poi svoltare sul rettilineo parallelo al mare raccordato in curva alla Spiaggia di Mola (Largo Domenico Paone). Nel tracciato si venne a separare l’orto già di pertinenza del settecentesco cenobio carmelitano di Santa Teresa: l’edificio risultava ampliato verso il lato mare dall’adattamento in Caserma voluto a metà Ottocento dal Ferdinando II di Borbone re delle Due Sicilie; era contestuale all’altra caserma eretta nel monastero di S. Erasmo, collegate da una circonvallazione militare che aggirava Castellone, dalla via Appia di Rialto alla piazza della chiesa. Dunque la porzione di terreno alberato separata dall’edificio borbonico, dilatava la via con affaccio su una suggestiva ansa di mare; l’accesso del Municipio rimaneva comunque nella piazza interna.
Quando nel 1920-21 si realizzerà il secondo tronco di via Vitruvio, proseguendo il rettilineo fino a Rialto, in ulteriore sostituzione dell’antico tracciato dell'Appia (via Rubino), l’area di prospetto al Palazzo Municipale si afferma a rappresentare la funzione pubblica, assumendo il nome di “Piazza delle Saline”, corrottamente riferito alla sottostante costa di Sarìnola, dove si stava apprestando la costruzione del braccio di porto.
Contestualmente un'altra piazza venne creata in corrispondenza di Castellone, dapprima intitolata al "Risorgimento di Formia", in seguito a Pasquale Mattej, allorché il nome venne passato ad una ulteriore nuova piazza, termine del tratto realizzato sullo scorcio degli anni 1920 (via Emanuele Filiberto) sostitutivo al budello del Borgo di Mola: quel nome venne relazionato all’ingresso in quel luogo delle truppe del nuovo regno d’Italia nel 1860.
Sul Lato occidentale della Piazza delle Saline si edificò un imponente istituto scolastico fino al massimo grado di Liceo Ginnasio, progettato dall’ingegnere Vittorio Pino di Roma; dalla parte opposta venne eretto il Grand Hotel, rimasto fino agli anni 1980.
Sul quadrilatero della piazza si riconfigurava una facciata funzionale al Palazzo Municipale
e in asse al centro si andava costruendo il Monumento ai Caduti, in un progetto unitario che coniugava uno spazio adeguato alle adunanze pubbliche con la gradevolezza di un giardino accresciuto dal fascino dell’orizzonte marino: pianta a croce con quattro spaziose aiuole quadrilunghe a comprendere ampi bracci convergenti centralmente sul monumento, collegati sul perimetro ad un viale panoramico e al fronte di via Vitruvio, sul quale, a sottolineare gli scopi ed i contenuti del nuovo spazio civico, si cadenzarono i piedistalli con dediche onorarie, pertinenti le statue di personaggi pubblici, nel frattempo affiorati dall'antico Foro durante la realizzazione della coeva piazza poi Mattej.
il Monumento ai Caduti, contornato da un'aiuola recintata da cippi con catene d’ancora, si presentava con un alto basamento rastremato a pianta quadrata raccordato a terra da gradini e coronato con un fregio di alternate baionette, fiammeggianti bombe e corone di alloro; sopra, l’alta statua di bronzo di un Fante slanciato a petto nudo con le braccia alzate verso il corso e il Municipio, nell'estremo sacrificio per la patria; il tutto alto circa sette metri. Sul medesimo prospetto del basamento si modellava da un cantone una figura femminile in altorilievo avvolta in un morbido panneggio, con un braccio a tendere un ramo di quercia simbolo di vigore sopra la dedica ai Caduti, mentre con l'altro trattiene dietro la schiena la palma della vittoria, ribadita da quelle in origine piantate agli angoli del monumento: la scultura in effetti personificava la Vittoria, magnificamente caratterizzata da ali alle tempie, nell’acconciatura con i capelli divisi nel mezzo e trattenuti con una fascia sulla fronte secondo l’innovativo uso dell'epoca.
Sugli altri lati del basamento ricorre la lista coi nomi dei Caduti: sul lato orientale quelli del 1866 a Lissa, del 1896 ad Adua, del 1902 nel Mar Rosso e poi quelli della Libia e della Grande Guerra il cui elenco segue sul lato opposto. Sul prospetto opposto alla Vittoria, vi è un verso dal poema “All’Italia” di Giacomo Leopardi (Alma terra natìa, la vita che mi desti ecco ti rendo); in basso a destra è apposta la firma dell'artefice con data: "Dora Ohlfsen scultrice 1924”
Questa artista era Australiana, nata a Ballarat nello stato di Vittoria il 22 agosto 1869 da Kate Harrison e Cristian Herman Ohlfsen-Bagge, ingegnere rispettivamente di origini inglese e norvegese. Della sua vita avventurosa tutt’uno con quella di artista è superfluo trattare trovandosi ampie notizie sul Web. La sua propensione alle arti iniziò come pianista perfezionatasi in Europa e poi in alterne vicende trasferitasi a Roma nel 1902 (fino alla morte il 7 febbraio 1948) dove frequentò pittori e scultori dell’Accademia di Francia, apprendendo la scultura principalmente finalizzata a ritratti su medaglioni. Uno di questi venne eseguito per Benito Mussolini, che si fece ritrarre a Palazzo Chigi nel 1922; da qui risale la commissione del Monumento a Formia della cui preparazione si conservano interessantissimi documenti nell’archivio della australiana “Art Gallery of New South Wales” (https://www.artgallery.nsw.gov.au/art/archives/artists-archives/dora-ohlfsen-archive/).
La cerimonia inaugurale del monumento avvenne Domenica 18 luglio 1926 con salve della flotta ancorata nella rada. Ne fa la cronaca "Il Piccolo" di Roma (anno XV n° 170) corredata da due immagini: una del gruppo delle autorità, dove la Ohlfsen è insieme al ministro dell’Educazione Nazionale Pietro Fedele e agli ammiragli Sirianni e Simonetti; l'altra che riprende complessivamente la piazza nel momento della cerimonia.
La scultrice aveva dato al monumento il titolo inglese “Sacrifice” e così è noto all’estero. Mario Di Fava, nella piccola guida "Formia", edita in quegli anni dall'ENIT e dalle FFSS, nomina la scultrice "miss Dora Ohlfsen" dando al milite il significato dell'Olocausto e all'altorilievo quello della Fama; di fatto però, in occasione dell'inaugurazione, la Piazza prese il nome dalla Vittoria, riferita alla figura femminile dalla testa alata sul basamento.
Il monumento ha prevalente la statua bronzea del Fante ed è da notare come l’insieme nella forma e nelle proporzioni sia particolarmente studiato in rapporto allo spazio di destinazione: il milite dritto nel momento dinamico dell’estremo sacrificio, si inserisce nel graduare ascendente dal mare alla piazza, alla facciata del Municipio; quindi è indissolubilmente in rapporto alla piazza, nella convergenza visuale indirizzata dai segmenti pavimentali della croce elevati al cielo dalle alberature.
Queste rapide ed elementari osservazioni, non sono state considerate nella presunzione di ridisegnare il luogo. Negli anni 1970 a subire fu l’emergente monumento, sopraffatto da quattro enormi lisci cubi di pietra ammorsati ai cantoni per sostenere altrettante ciotole, il tutto con il rialzamento delle aiuole: provvidenzialmente si fece ammenda ripristinando l’aspetto originario, una ventina d’anni dopo.
Oggi ad essere manomessa è la piazza, in collegamento a quella nuova adiacente intitolata ad Aldo Moro. Dissolto è il disegno dei piani calpestabili e a verde cui faceva capo il monumento, non comprendendone l’indissolubile legame che, seppure legato ad una visione classica, rappresentava il valore d’insieme dell’opera di quell’epoca. Non di meno il modo con il quale questa nuova interpretazione dello spazio è stata eseguita, senza un individuabile indirizzo, dove per fortuna il monumento si impone con la sua prevalenza distintiva, ma che ne appare decontestualizzato nel netto divario stilistico, tra l’altro incrementato dai materiali imposti, quelli di una pavimentazione in lastre di pietra molto estranea al territorio e che con la sua inammissibile asperità è causa di inciampo e rovinose cadute; non di meno degli alberi di Canfora, invece delle palme da dattero insite nel significato celebrativo.
Insomma Formia ha uno dei più bei memoriali ai caduti, originale e armonica espressione d’arte soprannazionale del Novecento, scampato alla stessa furia della guerra ma non del tutto dall’incongruenza delle dinamiche attuali sulle quali magnificamente prevale.
Nelle immagini: Il primo tratto di Via Vitruvio nella svolta verso piazza S. Teresa (foto primo ‘900): a destra si nota l’apertura sullo spazio della futura piazza della Vittoria; il secondo tratto di via Vitruvio con la piazza delle Saline, poi intitolata alla Vittoria, e quella “del Risorgimento di Formia, attuale P. Mattej (planimetria anno 1925); veduta della nuova piazza della Vittoria verso l’edificio scolastico, con l’impianto riferito al Monumento ai Caduti appena ultimato (cartolina anni 1920); piazza della Vittoria su via Vitruvio verso il Grand Hotel, con allineati i piedistalli iscritti dell’antico Foro romano trovati in piazza Mattej (cartolina fine 1920): il Monumento ai Caduti come si presentava da poco realizzato nella sua ariosa espressività (cartolina anni 1920); ritratto di Dora Ohlfsen, scultrice del Monumento ai Caduti in piazza della Vittoria, il gruppo delle personalità durante l’evento inaugurale del Monumento ai Caduti il 18 luglio 1926: a destra Dora Ohlfsen (da “Il Piccolo”); l’adunanza inaugurale in piazza della Vittoria vista dal Grand Hotel (da “Il Piccolo”).
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