Cerca nel blog

Etichette

domenica 27 novembre 2011

FORMIA GIA' MOLA DI GAETA E CASTELLONE Retrospettiva iconografica da incisioni, disegni, acquerelli, gouaches e olii










I viaggiatori che nei secoli scorsi percorrevano la via Appia, nel lungo ed estenuante viaggio che li conduceva da Roma a Napoli, o viceversa, dopo aver attraversato le impervie ed oscure colline tra Fondi e Itri, restavano incantati dalla bellezza della baia e dei borghi di Mola e Castellone, sorti sulle rovine dell’antica ‘Formiae”.
Castellone dall’alto dominava il Golfo e Mola era adagiata sulla riva del mare.
Incisioni, acquerelli, gouaches, disegni e dipinti ad olio ci sono stati tramandati da artisti illustri del passato ed anche da viaggiatori sconosciuti, ma non privi di talento.
I loro diari e album di viaggio hanno immortalato i nostri luoghi e le tradizioni popolari dei nostri antenati.
Attraverso le loro opere essi ci hanno tramandato immagini che oggi ci consentono di avere un’idea quasi fotografica di come fosse il nostro territorio, descrivendoci anche i più minuti particolari.
Con l’avvento della fotografia la rappresentazione documentale e storica è cresciuta notevolmente.
La stampa tipografica ha sostituto le varie tecniche di incisione, consentendo una tiratura di immagini certamente più elevata.
La felice posizione di Formia, già Mola di Gaeta, ubicata lungo la più importante tra le grandi strade costruite dai romani, la via Appia, invitava i viaggiatori del tratto Roma Napoli, a voler interrompere la fatica del lungo viaggio in carrozza, con una confortevole sosta.
Il più delle volte essa veniva prolungata di proposito. Era sicuramente piacevole poter godere il più a lungo possibile del meraviglioso clima, del forte profumo degli aranceti e della squisita accoglienza, così come è descritta nelle note di viaggio.
Collezionare stampe antiche, gouaches, acquerelli, oli, disegni è una passione, che coinvolge sempre più persone.
Quando si osserva un’incisione a stampa l’anticipazione dal XV al XIX secolo di ciò che ci dà la moderna fotografia, non si può fare a meno di notare con quale precisione e cura venivano effettuati i rilievi preliminari; a distanza anche di cinque secoli le stampe emanano un fascino ed una suggestione particolarissimi.
L’ammirazione va per la scelta dei colori, per i cartigli decorativi e le carte usate.
Lo studio della vedutistica antica in quest’ultimo periodo ha avuto un notevole sviluppo.
Aumenta di giorno in giorno il numero dei collezionisti di questo settore. Il fascino della ricerca, del trovare e comprare un “pezzo” unico o comunque importante, ti fa superare anche lo sforzo dell’acquisto, che a volte è un vero e proprio sacrificio economico.
Il collezionismo è un fenomeno che nasce spontaneo con l’interesse per l’oggetto.



Si tratta di una antichissima tradizione che, per quanto riguarda le stampe, risale addirittura al ‘400.
Proprio in quel secolo un colto giurista di Parma, Giacomo Rubieri, raccolse una quarantina di incunaboli, in prevalenza di intagliatori italiani, che sono attualmente conservati nella Biblioteca “Classese” di Ravenna.
Nel seicento la creazione di un “gabinetto di stampe” diviene consuetudine molto diffusa tra le classi colte dell’aristocrazia e della borghesia.
Particolare attenzione è stata data alla vedutistica del borgo di Mola, che nonostante l’evoluzione urbanistica sopportata dalla città, conserva ancora intatte alcune caratteristiche dell’antico.
I suoi pescatori, i suoi mulini e le antiche fabbriche sono state il traino dell’economia della città nel passato.
Gli edifici, le scene di vita, le abitudini di un tempo, che oggi non esistono più, si possono ammirare e capire attraverso le opere, che con anni di ricerca, studio e passione, abbiamo voluto in questa pubblicazione riiportare.
In questa raccolta si può ammirare l’assetto urbano di Formia nell’ arco temporale che va tra la fine del ‘500 all’800.
Si tratta di una serie di costumi e di vedute, alcune molto rare e di notevole bellezza, che mostrano i vari avvicendamenti urbanistici dei luoghi più belli e rappresentativi; in alcuni punti la profonda trasformazione li ha resi addirittura irriconoscibili.
Il riempimento di Largo Paone, realizzato con l’esorbitante scarico delle macerie della distruzione di Formia nell’ultimo evento bellico, ha determinato la scomparsa dell’incantevole darsena; la costruzione della strada litoranea ha sancito il divorzio tra il centro abitato e il litorale, sconvolgendo il rapporto diretto esistente tra terra ferma e mare.
Si può perciò affermare che le stampe, anche quelle meno pregiate, hanno indubbiamente un grande valore storico e iconografico.



martedì 22 novembre 2011

COME ERI BELLA FORMIA



RACCOLTA DI IMMAGINI LUNGA UN SECOLO DI QUELLA CHE UN TEMPO FU "LA PERLA DEL TIRRENO"

martedì 15 novembre 2011

IL PASSAGGIO DI GOETHE A FORMIA



































Uno dei più lunghi viaggi in Italia fu quello di Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749 - Weimar 22 marzo 1832) Iniziato il 3 settembre 1786 terminò il 18 giugno 1788, per quasi due anni soggiornò nel nostro paese percorrendo gran parte del territorio italiano. Rimase affascinato dalla campagna romana, dove trascorse lunghi periodi, ospite del suo amico pittore tedesco Wilhelm, che gli dipinse un grande ritratto.


Nel suo “Italienische Reise” (Il viaggio in Italia) Goethe scrive “...chi vuol capire che cos’è la poesia deve andare nella terra della poesia; chi vuol capire i poeti deve andare nella terra dei poeti...”


Nel XVIII secolo si viaggiava in carrozza, sopportando vere e proprie torture fisiche. Nel percorso che da Roma conduceva a Napoli, la sosta a Mola di Gaeta (Formia) era praticamente obbligatoria. Goethe descrisse il breve passaggio per Mola di Gaeta in controtendenza con tanti altri protagonisti dei “Grand tour”. Non profuse parole di lodi per le essenze dell’agro formiano. Fu il litorale che catturò il suo interesse e con fascino irresistibile così lo descrisse il 24 febbraio del 1787:


“(…) Mola di Gaeta ci salutò nuovamente con i suoi alberi ricchi di aranci. Siamo rimasti un paio d'ore. La baia innanzi alla cittadina offriva una delle più belle viste; il mare giunge fin qua. Se l’occhio segue la destra riva, raggiungendo infine la punta del corno della mezzaluna, si scorge su una rupe la fortezza di Gaeta, a discreta distanza. Il corno sinistro si stende assai più innanzi; prima si vede una fila di montagne, poi il Vesuvio, quindi le isole. Ischia è situata quasi di fronte al centro. Qui trovai sulla riva, lasciati dalle onde, le prime stelle di mare ed i primi echini; una bella foglia verde, sottile come finissima carta velina, e anche curiosi frammenti minerali; le solite pietre calcari erano le più frequenti, ma c’era anche serpentino, diaspro, quarzo, breccia, granito, porfido, varie specie di marmo, vetro di colore verde e azzurro. Queste ultime pietre sono difficilmente della regione, ma probabilmente sono frammenti di antichi edifizi, e così vediamo come, dinanzi agli occhi nostri, l’onda possa scherzare con gli splendori del mondo preistorico. Ci fermammo volentieri, divertendoci della natura di quella gente, che si comporta ancora quasi da selvaggia. Allontanandoci dal molo, la vista rimane sempre bella, sebbene si perda il godimento del mare. L’ultimo sguardo che gli rivolgiamo coglie una graziosa insenatura che vien disegnata (…)”


Goethe é considerato uno tra i più rappresentativi letterati tedeschi nel panorama culturale europeo. Poeta, scrittore e drammaturgo, non fu prolifico solo nella letteratura, si dedicò con notevole successo anche alla pittura, alle scienze, alla musica ed alla politica (fu ministro a Weimar per undici anni). Profondo conoscitore di molte lingue, studiò privatamente da ragazzo il latino, il greco, l’ebraico, il francese, l’inglese e l’italiano. Il viaggio in Italia segnò profondamente l’animo di Goethe, che sotto falso nome, per non essere riconosciuto, si immerse nella rigogliosa natura e nel classico ambiente dell’Italia settecentesca. Al suo ritorno in Germania non volle più essere uomo politico e si dedicò esclusivamente alle lettere ed alla filosofia.


Nella prima immagine Johann Wolfgang von Goethe, ritratto dal pittore tedesco Wilhelm Tischbein nella Campagna Romana durante il suo viaggio in Italia nel 1786, nella seconda la spiaggia di Vendicio all’epoca del passaggio di Goethe, incisione da lastra di rame tratta da un dipinto di Vernet del 1785.


domenica 13 novembre 2011

LA LITORANEA






Nel febbraio del 1958 veniva inaugurata la strada statale Flacca, fortemente voluta dall’allora giovane sindaco di Gaeta, Pasquale Corbo. La grandiosa opera finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno arrecò notevoli vantaggi al Comune di Gaeta che fino ad allora soffriva la distanza dalla via Appia. I vantaggi che la nuova arteria portava nella Provincia meridionale non potevano arrestarsi ai confini orientali di Gaeta; da Formia si sollevarono proteste e numerose perplessità. I lavori proseguirono fino alla realizzazione di tutta l’opera, che nel tratto che attraversa Formia viene chiamata Litoranea. Già dal 1951, quando si cominciava a discutere sull’eventuale costruzione di una strada costiera che avrebbe attraversato anche Formia, il Soprintendente alle Antichità dell’epoca, prof. Salvatore Aurigemma, rilevava energicamente che i danni arrecati al patrimonio archeologico sarebbero stati ingentissimi. Già gli scavi avvenuti tra il 1921 e il 1929 per la realizzazione dei lavori di costruzione del secondo tratto di via Vitruvio, avevano portato alla luce scoperte di notevole importanza storica; il nuovo asse viario, prevedendo il passaggio sull’area dove sorgeva la dimora di Cocceio Nerva, inevitabilmente avrebbe provocato la distruzione di alcuni tratti dell’antico e ben conservato “muro di Nerva” ed di altre strutture ciclopiche, costruite in modo parallelo allo stesso muro. Si suggeriva la possibilità di prevedere l’attraversamento di Formia circonvallando a monte l’abitato, progetto, tra l’altro, già ideato dall’architetto Gustavo Giovannoni, impegnato nella realizzazione del Piano di Ricostruzione per la città di Formia. L’Ispettore onorario della Soprintendenza dott. Mario Di Fava, così scriveva : “… I locali naturalmente non vedono che il lato commerciale della rotabile, ma del progetto Giovannoni e della ricchezza del verde (agrumeti e laureti) e di monumenti da distruggere, pare non si voglia tener conto…”. Ci fu anche un esposto avverso la costruzione della strada presentato al Ministero competente da parte di un nutrito gruppo di cittadini formiani. Il Consiglio Superiore delle Antichità il 22 giugno 1954 così motivava il proprio diniego al nullaosta: “…parere assolutamente contrario all’attuazione della litoranea secondo il tracciato proposto dalla Cassa per il Mezzogiorno in quanto esso,svolgendosi a valle dell’abitato, oltre a presentare il grave inconveniente di separare l’agglomerato cittadino dal mare, avrebbe arrecato irreparabile danno all’ambiente paesistico circostante e ai resti archeologici ivi esistenti…”, giudicando favorevolmente la soluzione “pedemontana” prevista dall’architetto Giovannoni: “…assumendo funzioni di via di scorrimento celere al di fuori dell’abitato ed essendo a monte della ferrovia,presenterebbe caratteristiche tali da impedire l’allinearsi di case lungo di essa…”.
L’Amministrazione Provinciale di Latina, ente preposto ad utilizzare i fondi messi a disposizione della Cassa per il Mezzogiorno, non voleva rinunciare alla costruzione dell’opera così come progettata, riuscendo a strappare l’autorizzazione a realizzare il solo tratto di Vendicio, non incluso nell’aerea d’interesse archeologico. Il dott. Di Fava sul quotidiano “Il Giornale d’Italia”, in pieno dibattito titolava un suo articolo “Quello che si vuole distruggere a Formia calpestando Storia, Arte e Civiltà”, sparando a zero contro i progettisti dell’opera e sottolineando la contrarietà delle Soprintendenze e dello stesso Ministero. I politici interessati alla realizzazione dell’opera e l’Amministrazione provinciale di Latina si rendono disponibili a ridimensionare il progetto, promettendo che gli espropri avrebbero interessato anche aree non coinvolte dalla sede viaria, da destinate alla realizzazione di un parco archeologico per la trasformazione in un sito di altissimo interesse culturale ed artistico. L’ipotetica possibilità di avere un viale immerso tra “resti archeologici”, fece capitolare le ultime resistenze delle Soprintendenze. Nel 1955 anche il tratto più interessato da resti archeologici, dalla località Rialto fino al largo Paone, viene autorizzato; ma la somma stanziata per gli espropri riesce a mala pena a coprire le superfici interessate dalla sede stradale. Il Parco Archeologico rimase un progetto mai realizzato. Fu così che con l’astuzia e la tenacia di chi voleva realizzare quest’opera, venne abbattuto una porzione di 12 metri di lunghezza per 3 metri di altezza del “muro di Nerva” per consentire il prosieguo della Litoranea.
Il passaggio al di sotto allaVilla comunale è stato motivo di grandi polemiche. Varie soluzioni furono prospettate per salvaguardare “le piscine romane” site nell’antistante specchio d’acqua. Tra le varie soluzioni era previsto anche un taglio della Villa comunale: soluzione che suscitò la protesta di numerosi cittadini formiani e che fu immediatamente ritirata. Alla fine prevalse il buon senso e il passaggio sotto i giardini pubblici fu realizzato nella soluzione meno impattiva. Giunti al Largo Paone i lavori ebbero un periodo di sosta. La prima soluzione prospettata, immediatamente abbandonata, era un collegamento della Litoranea con la Via Vitruvio, per mezzo di uno svincolo che da Largo Paone conduceva a Piazza Risorgimento per poi riprendere la via Appia. La soluzione adottata fu quella di un viadotto progettato e diretto dall’ing. Giuseppe Carollo, che da Largo Paone si collegava sull’Appia all’altezza della caserma dei Carabinieri. Già nel 1964 il viadotto antistante la torre di Mola, lo stesso che attualmente sta creando grossi problemi alla viabilità, in un pilastro di sostegno la cui fondazione è a mare, subì un abbassamento di oltre 20 centimetri, che impose urgenti interventi di consolidamento.
Nella prima foto la realizzazione dell’ultimo tratto che conduce al largo Paone con il ponte Bruno Tallini appena realizzato, nella seconda una vista aerea del viadotto che collega largo Paone con la via Appia.

martedì 8 novembre 2011

DOMENICO PURIFICATO E “LA MORTE DI PULCINELLA ALL’ASSEDIO DI GAETA”





“La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta” non è un romanzo, nè un film, bensì il titolo di un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni, realizzato dal pittore Domenico Purificato nell’anno 1975. Domenico Purificato, nato a Fondi nel 1915, contemporaneo e conterraneo di una generazione di grandi personaggi come il regista Giuseppe De Santis, lo scrittore e poeta Libero De Libero, il giornalista e politico Pietro Ingrao e tanti altri, tutti uniti da un filo di amicizia e legati alla terra di Fondi.


Amante della cultura della propria Città, nelle sue tele osserviamo i volti scavati dei contadini, la misticità dei campi, gli aranceti, il profondo amore che lo legava ai suoi amici. Purificato non fu solo un valente pittore; collaborò con l’amico Giuseppe De Santis alla realizzazione di sceneggiature, disegnando i costumi per vari film. Si dedicò, con notevole successo, anche alla saggistica, alla narrativa, alla televisione e al teatro, allestendo scenografie per commedie e balletti.


La passione per la storia risorgimentale del basso Lazio lo portò a dipingere l’enorme tela, circa 3 m x 2,20, che nella sua vivacità di colori descrive in modo grottesco la cacciata dei Borboni da Gaeta, una delle pagine più tristi dell’Assedio del 1861. Forse influenzato dalla lettura del libro di Carlo Alianello (1901 – 1981), il capo scuola dei revisionisti storiografici sul Risorgimento, “La caduta del Sud”, in cui viene descritta l’unificazione dell’Italia, non già come una liberazione, ma come una tragica invasione da parte di un Paese straniero, Purificato riproduce in un emblematico carnevale i personaggi protagonisti della resa di Gaeta, dipingendo un popolo che assiste inerme alla morte della città, con le sembianze di una donna a seno scoperto, un Pulcinella che simboleggia Francesco II di Borbone, ambedue sorretti da altri due Pulcinella. In quest’opera Domenico Purificato, descrive i suoi personaggi nel rispetto della tradizione popolare napoletana, con colori molto vivaci che contrastano con la tristezza dell’avvenimento, mescolando dolore e gioia, realtà e finzione, come se su un immenso palcoscenico si stesse interpretando un’azione dal sapore teatrale. Le figure raggruppate si sovrappongono come se ognuna volesse prendere parte attiva alla tragedia che si sta consumando. Lo sguardo di chi contempla l’opera resta coinvolto nell’immensità del dipinto. L’intento di Purificato non era certo quello di voler sbalordire lo spettatore, ma di coinvolgerlo, raccontando con le sue figurazioni la caduta dell’ultima roccaforte borbonica. Vorrei concludere questo breve tributo ad un Artista della nostra terra, menzionando un'altra pregevole opera, olio su tela del 1938: ”I due amici”, al proprio autoritratto, Purificato ritrae l’amico Pietro Ingrao (a destra), in un gesto di affettuosa amicizia che è durata una vita.




lunedì 7 novembre 2011

FRA DIAVOLO BRIGANTE O EROE POPOLARE?








Sulla vita e le gesta di Fra Diavolo, al secolo Michele Pezza (Itri 4 aprile 1771 – Napoli 11 novembre 1806), si sono sprecati fiumi di inchiostro ed ancora oggi gli studiosi sono controversi nel giudicare le gesta del cittadino itrano. Era un volgare brigante o un valoroso patriota? Gli storici di ispirazione liberale lo definiscono come un volgare brigante, la cui ferocia faceva tremare la popolazione,compresa tra il vasto territorio che va dal Tevere alla foce del Garigliano, secondo solo al bandito ciociaro Mammone, di cui si narra l’usanza di bere il sangue delle sue vittime. La figura e le gesta di Fra Diavolo valicarono le Alpi influenzando gran parte dell’Europa, tanto da ispirare il compositore francese Daniel Auber, nel 1830, a comporre una opera buffa in tre atti dal titolo “Fra Diavolo” liberamente tratta da un libretto di Eugene Scribe. L’opera fu interpretata anche dal famoso baritono italiano Tito Gobbi, nella cui overture, accompagnato dall'orchestra sinfonica di Norimberga, canta: “Quell'uom dal fiero aspetto guardate sul cammino lo stocco ed il moschetto ha sempre a lui vicin. Guardate un fiocco rosso ei porta sul cappello e di velluto indosso ricchissimo mantel. Tremate! Fin dal sentiero del tuono dall'eco viene il suono "Diavolo, Diavolo, Diavolo." Tremate! Fin dal sentiero del tuono dall'eco viene il suono "Diavolo, Diavolo, Diavolo." Il cinema si interessò copiosamente alla gesta di Fra Diavolo. Già nel 1906 quando il cinema era ancora muto, venne realizzata una pellicola sulle sua gesta da Oskar Messter con musica dal vivo; nel 1912 in Francia; nel 1913 la prima produzione italiana a cura della Ambrosino Film e nel 1914 dalla Savoia Film; nel 1920 una nuova produzione tedesca e nel 1922 una inglese. Nel 1923 una nuova produzione italiana con la regia di G. Patanè e nel 1925, con la direzione di Roberto Roberti e Mario Gargiulo. Nel 1931 una coproduzione italo-francese di Mario Bonnard. Nel 1933 Frà Diavolo sbarca negli Stati Uniti con una pellicola comica dal titolo “The Devil’s brother” (Il fratello di Fra Diavolo) che vide protagonisti il duo comico Stanlio e Ollio (Stan Laurel e Oliver Hardy). Nel 1941 il regista Luigi Zampa, uno dei grandi maestri della commedia italiana, realizza un nuova pellicola sulle gesta dell’eroe-brigante. Nel 1950, forse il più importante film sulla vita di Fra Diavolo, la cui regia fu affidata a Mario Soldati e l’interpretazione del colonnello Michele Pezza al grande Amedeo Nazzari. Nel 1962 altre due produzioni italiane : “La leggenda di Fra Diavolo” di Leopoldo Savona e il film comico “I tromboni di Fra Diavolo” di Giorgio Simonelli, interpretato da Ugo Tognazzi e Raimondo Vinello. Michele Pezza, era un uomo minuto e poco appariscente, magro, di pelle olivastra tanto da sembrare di origine africana. Non era certo il suo aspetto che incuteva terrore, ma la sua fama di uomo cruento. Nominato colonnello da Ferdinando di Borbone e governatore del territorio tra Itri e Gaeta, combatté strenuamente per il suo Re contro i Francesi, che gli avevano ucciso il padre e per i quali nutriva un profondo odio. “E’ venuto Fra Diavolo, ha portato i cannoncini, pe’ ammazzà li Giacobini, Ferdinando è il nostro Re!”, con questo canto veniva acclamato partigiano dal popolo che non voleva subire l’invasione napoleonica. Nonostante il suo esercito crescesse di numero quotidianamente, nulla poté fare contro lo strapotere francese. Braccato sulle montagne venne fatto prigioniero il 31 ottobre 1806 e giustiziato in fretta e furia, a solo undici giorni dalla cattura, in una piazza nel centro di Napoli tra una grande presenza di popolo. Il suo mito ancor oggi continua a fluttuare tra la storia e la leggenda. In suo nome sono intitolati ristoranti in tutto il mondo, piatti tipici portano l’aggiunta di "… Fra Diavolo". Nella prima immagine una rappresentazione di Fra Diavolo tratta da un litografia del XIX secolo con coloritura a mano, nella seconda un olio su tela di Jacob Phillip Hackert che raffigura la città di Itri all’epoca di Michele Pezza.







mercoledì 10 agosto 2011

INVITO ALLA LETTURA: "QUATTRO QUADRI PER UNA SPIAGGIA D'INVERNO", Racconti di Roberto Tortora



Quattro storie narrano gli eventi microscopici e magnifici di una cittadina di provincia. Bambini curiosi, adolescenti innamorati, un trentacinquenne che non sa andarsene di casa e una vedova dalle insospettate risorse affettive affrontano gli ordinari incroci della vita, appena sfiorati dal presentimento di trovarsi ad un giro di boa della propria esistenza. La quotidianità, solo apparentemente innocua,si rivela ricca di una dirompente carica emotiva, anche se ad esprimerla è un linguaggio misurato, aderente alle cose.



Roberto Tortora é nato a Formia nel 1962, dove insegna Lettere in un istituto tecnico. Si occupa anche di critica letteraria. Del 1991 il suo saggio Laboratorio narrativo del Verga minore del volume collettivo Da Verga a Eco (Pironti). E' redattore della rivista online "Terpress".







giovedì 4 agosto 2011

"BABELE" opere di Gianni Simione


Giovanni Simione espone alcuni dipinti particolarmente significativi il cui filo conduttore è BABELE. Un tema particolarmente attuale nell'epoca contemporanea e che trae spunto dall'omonima opera del celebre pittore fiammingo Pieter Bruegel il vecchio. Le opere presenti in questa singolare mostra sintetizzano il lavoro ventennale dell'autore su questo tema evidenziando la sua personale ricerca pittorica con contenuti surreali, fantastici ma anche legati alla realtà dell'uomo contemporaneo che sembra aver smarrito concetti e valori esistenziali fondamentali. Giovanni Simione realizza le sue opere seguendo procedimenti tecnici che ichiedono conoscenze e abilità che, da qualche decennio, sembrano non avere più importanza nella produzione artistica. L'autore è invece convinto che si può essere attuali continuando a sperimentare tecniche classiche quali la pittura ad olio, per una comunicazione visiva più vicina all'animo umano, facendo riscoprire il "PIACERE DELLA PITTURA" che richiede però tempi lunghi a partire dalla preparazione della tela per finire alle stesure cromatiche, all'aspetto materico del colore ecc... L'uomo contemporaneo, invece, corre veloce alla ricerca di linguaggi espressivi immediati e "originali" fatti di immagini che spesso esauriscono il loro effetto espressivo in poco tempo e non si ha più voglia di rivederle.

Babele è nel tempo dell'uomo: passato, presente, futuro. E' stupidità, superbia, confusione... Confusione di valori, linguaggi, espressioni... Babele è il nostro tempo...tempo di "piccoli risibili enigmi" e di intellettuali in cerca di padrone... Babele è l'Arte Contemporanea con linguaggi visivi "originali", stravaganti, banali, infantili, tecnologici oppure pittorici ( Gli irriducibili !?). "Questa Babele" non è che un granello di sabbia, un granello schiacciato, scacciato, osteggiato da un mondo culturale arrogante e mercantile, gonfio di certe filosofie presuntuosamente "nuove", alla ricerca di novità impossibili perché tutta l'Arte è fatta di sviluppi tecnici ed espressivi sempre, inevitabilmente riconducibili al passato. - Gianni Simione -

...Questa pittura di Simione è una pittura cosciente del male e del bene del mondo. E' una pittura di sogno e di incubo, di paure e di tristezze, di Natura e di Storia, di Racconto e di Favola.

E' una pittura intelligente ma non scaltra, è ingenuamente felice ma si fa anche carico della bruttezza del mondo.

Non si lascia stritolare, Simione, dal Mondo; perché è capace di rinventarselo in un sapienziale "vedere" che ce lo fa, a noi, rivedere "nuovo" e "vero" come è sempre stato. Il sognare di Simione è la pittura di Simione...

...Torri e Babele: ma anche forse relitti di case da dopoguerra, come nelle "Case" di Mafai: e quelle "terre" e quegli "arancioni" sono li a dare una mano alle calde sonore sensualità di Simione, nella sua intrisa
melanconia da "terra bruciata di Siena" diluita...

Mariano Apa (storico dell'arte - Università di Macerata)


domenica 10 luglio 2011

IL PITTORE FORMIANO TITO ROSSINI ALLA BIENNALE DI VENEZIA

Tito Rossini, annoverato dalla critica come uno dei maggiori artisti figurativi italiani degli ultimi decenni, è stato invitato ad esporre una sua opera alla Biennale di Venezia. Rossini vive e lavora a Formia e dalla sua terra, dal suo microcosmo, ha tratto ispirazione per alcuni dei suoi quadri più famosi, oggi presenti in numerose collezioni pubbliche e private. “Natura morta con arance” campeggia nell’appartamento privato di S.S. Benedetto XVI. Tito Rossini, presente alla Quadriennale Romana del 1996, vincitore nel 2003 del prestigioso Premio Michetti, è un protagonista di rilievo nel panorama artistico nazionale per il recupero dei valori legati alla tradizione della pittura italiana del ‘900. D. Trombadori, G. Giuffrè, M. Di Capua hanno associato l’artista formiano alla Scuola Romana e al recupero del realismo magico. Rossini, infatti, spicca nel panorama dell’arte contemporanea per la cura con cui esprime paesaggi, nature morte, interni domestici dai tratti riconoscibili, eppure appartenenti ad una dimensione più alta e diversa rispetto a quella oggettiva. Una dimensione che è al tempo stesso impregnata di realtà e di accesa spiritualità. L’invito ufficiale a partecipare alla più prestigiosa rassegna italiana di arte contemporanea costituisce, pertanto, il giusto coronamento di una carriera artistica di assoluto rilievo. Il Padiglione Italia della 54° Biennale di Venezia, curato da Vittorio Sgarbi, ha l’intenzione di fotografare lo stato dell’Arte di tutto il territorio nazionale. Sia per contrastare la consuetudine che vede, nelle opere selezionate per la manifestazione, solo ed esclusivamente il pensiero di chi le ha scelte, sia per celebrare con l’Arte i 150 anni dell’Unità d’Italia. “La mia Biennale – ha infatti affermato Sgarbi - sarà dunque quella del centocinquantesimo dell’unità d’Italia, e dovrà esibire gli artisti che, con il loro valore, meglio illustrino il prestigio nell’arte della nostra nazione.” La novità di quest’anno è costituita dal decentramento delle sedi espositive. Ogni regione italiana ospita nel proprio capoluogo le opere degli artisti selezionati in modo da garantire una visione caleidoscopica del panorama dell’arte in Italia. La sede scelta per il Lazio è Palazzo Venezia a Roma, dove la mostra sarà inaugurata giovedì 23 giugno e potrà essere visitata fino a 22 settembre 2011.

Roberto Tortora