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giovedì 25 febbraio 2021

sabato 20 febbraio 2021

ALPHONSE GIROUX E LE GROTTE DI SANT’ERASMO

Alphonse Giroux, nato a Parigi il 30 aprile 1801 è stato un rinomato e pittore e fotografo francese. Ottimo paesaggista con predilezione dei resti dei siti archeologici. 
Attivo in Italia tra Roma e Napoli verso la metà dell’Ottocento. Durante una sosta a Formia restò affascinato dai criptoportici, da noi conosciuti come “Le grotte di Sant’Erasmo”, che dipinse ad olio su tela.
Giroux fu anche un affermato mercante d'arte e nel 1860 abbandonò la pittura per promuovere la sua attività di venditore d’arte. Morì nella sua Parigi il 18 novembre 1879.
Nelle immagini il dipinto realizzato a Formia, una foto attuale del sito archeologico ed una fotografia dell’artista in giovane età.




lunedì 15 febbraio 2021

"AMBIGUITA' CICERONIANE" 


Il viaggio che da Roma conduceva a Napoli, aveva come tappa obbligata: Mola di Gaeta (oggi Formia) che, trovandosi a metà strada del lungo percorso, consentiva ai viaggiatori di avere alcune ore di riposo, ed ai postiglioni delle carrozze di effettuare il cambio dei cavalli. 
Gli alberghi più frequentati dai viaggiatori dei "Grand Tour" erano due: il "Cicerone" e il "Dell'Angiolo". 
Si cade spesso nell'errore di identificare l'albergo Cicerone all'interno della villa Caposele (oggi Rubino), in realtà il “Cicerone” era ubicato a ridosso del ponte di Rialto mentre nella villa del principe di Caposele era ubicato l'albergo “Dell’Angiolo”. Ambedue forniti di ampia terrazza con vista sul mare e giardino ricolmo di agrumi, ben descritti dai viaggiatori ospitati. 
L'astuzia del gestore nel chiamare l'albergo con il nome di Cicerone, probabilmente traeva in inganno i viaggiatori che nei loro appunti annotavano di essere stati ospitati in una locanda costruita sui resti della villa del grande oratore romano. É quindi difficile stabilire con sicurezza, in quale dei due alberghi si sia fermato ciascun ospite.
Il principe di Caposele, proprietario della Villa che venne poi “ceduta” ai sovrani Borbonici, pensò bene di adibirne una parte ad albergo, come si evince da una litografia a carattere pubblicitario disegnata da Pasquale Mattej. Nella stessa, dopo la descrizione pubblicitaria dell’albergo, in italiano ed in francese, si legge un simpatico avvertimento: «I sigg. Forestieri sono pregati di non ascoltare i postiglioni che tentano sempre di condurli altrove per loro utile». 
Giuseppe Acerbi, poliedrico personaggio: scrittore, esploratore, archeologo, naturalista e musicista italiano (Castel Goffredo 3.5.1773 – 25.8.1846), è stato quello che con un suo scritto ha dissipato ogni dubbio sull’ubicazione dei due diversi alberghi in Formia, poco distanti tra loro.

Trascrivo un brano tratto dal suo libro “Viaggio da Roma a Napoli”, pubblicato nel 1834:

 

«(...) Sabato 25 ottobre. A Mola di Gaeta alloggiai all’Albergo del Cicerone, posto in una posizione deliziosa. Pochi passi più innanzi vi è un altro albergo detto dell’Angiolo ed è la villa stessa del principe di Caposele locata per albergo. Questi due alberghi fanno tentazione di rimanervi una settimana, tanto più se ai begli avanzi di antichità si aggiunga il buon Falerno che si beve in questi alberghi. Ambedue hanno un giardino delizioso pieno di aranci esposti al cielo senza bisogno di riparo per l’inverno. Clima beato, località deliziose, posizione invidiabile se avesse le cose che le mancano! All’albergo fui trattato di una cena squisita con buon Falerno, che conservasi in barili ma che mettesi in bottiglie tosto che vi si mette mano. 

Domenica 26 ottobre. Partito alle 6 di mattina. Dopo aver pagato un conto di tre piastre ossia 36 carlini. Ma la vista che gode quest’albergo rende meno grave la soperchieria dell’albergatore. La vera villa di Cicerone è però l’altro albergo. La guida è inesatta (...)».

 

Come non presumere, dato il tono risentito dell’avviso, un accordo lucroso sottobanco tra il gestore dell'albergo Cicerone e i postiglioni?

 

Nelle immagini una fotografia dell'albergo Cicerone, una veduta aerea che indica la giusta posizione dei due alberghi, la litografia pubblicitaria dell'albergo dell'Angiolo realizzata da Pasquale Mattej e un ritratto di Giuseppe Acerbi opera del pittore Luigi Basiletti. 













mercoledì 10 febbraio 2021

A PIEDI DI PASSAGGIO PER FORMIA


Tra i viaggiatori che nei secoli scorsi hanno visitato i nostri luoghi, il più singolare senza dubbio è stato l’inglese Arthur John Strutt (Chelmsford 1818 – Roma 1888): partendo dal centro Italia è arrivato fino in Sicilia, percorrendo l’intero viaggio a piedi. Pittore ed incisore, allievo del padre Jacob Jeorge (1790-1864), valente pittore paesaggista, giunge giovanissimo in Italia con il padre nel 1831 e vi rimane definitivamente. Il giovane Strutt resta immediatamente affascinato dall’incontaminato paesaggio della campagna romana, dai costumi dei suoi abitanti e in particolar modo dall’aspetto pittoresco del Mezzogiorno d’Italia. Nel 1841, a soli 23 anni, insieme con il suo amico il poeta William Jackson intraprende il suo tour a piedi verso il Sud, con il suo inseparabile album da disegno. Tutte le sue osservazioni furono poi raccolte nel libro “ A  pedestrian tour in Calabria & Sicily”, pubblicato in Inghilterra nel 1842. Il volume corredato da delicate incisioni tratte dagli acquerelli dipinti durante il viaggio, è una sorta di epistolario-diario di viaggio, poiché Strutt usava scrivere ogni sera prima di addormentarsi una lettera ai suoi parenti in Inghilterra. Non sono riuscito a trovare una edizione in italiano di questo raro libro, quindi mi sono dovuto cimentare nella traduzione dall’inglese delle pagine che descrivono il passaggio e la breve sosta a Formia dei due giovani viaggiatori.

"Mola di Gaeta 3 maggio 1841. «(…)I viaggiatori che passeranno per questa via tra alcuni mesi, saranno in grado di evitare la fatica che abbiamo subito noi, arrampicandoci per la lunga, stretta e ripida strada per Itri. Stanno costruendo, infatti, un nuovo tratto di strada che passa ai piedi della collina dove sorge il paese. Otto miglia di salite e discese, attraverso contrade ricche di olivi e di viti, ci hanno portato a Mola di Gaeta, sulle coste del bel Mediterraneo. La città di Gaeta, con la sua fortezza sul promontorio, offre da una parte della baia una piacevole visione, mentre in direzione opposta si vedono chiaramente le isole di Ischia, di Procida e il monte Vesuvio. Immaginammo già di scalare il cratere vulcanico, ma fummo costretti a scendere dalle sognate altezze, per fermarci a mangiare presso “La Villa di Cicerone”, dove fummo trattati di gran lunga meglio di quanto poi pagammo. L’Albergo si vanta, come dice il nome, di essere su una delle diciannove ville dell’Oratore romano. Non abbiamo visto il suo ritratto, come descritto da Lady Morgan, con il suo mantello dai colori sentimentali della porpora e del limone.Il salone è una stanza di enormi dimensioni; la nostra camera da letto, anche se non di così vaste proporzioni, ha una bellissima vista sul mare, e gode del profumo di un rigogliosissimo aranceto, che si estende dalla parte posteriore della casa fino alla riva del mare. La coltura dei limoni sembra essere più redditizia di quella delle arance, poiché reca frutti tutto l’anno. Infatti abbiamo visto sullo stesso albero il fiore, la frutta acerba e il limone maturo. I limoni si pagano qui mezzo grana (poco meno di un farthing), mentre le arance costano un grana: questi prezzi elevati sono giustificati per la grande quantità che viene inviata a Roma.
Le acque blu del Mediterraneo scintillano sotto i raggi del sole. Devo, per forza, andare ad immergermi in quelle acque, a dispetto di quello che mi sconsigliano le “donnicciole italiane” per i quali sono ancora troppo fredde e fanno molto male (in italiano nel testo).
Mola di Gaeta 4 maggio 1841. Mola di Gaeta è così bella che non senza rammarico l’abbiamo lasciata questa mattina. Ero rimasto così ammaliato da “gettare uno sguardo indietro, lunghissimo, indugiante”, che non ho saputo resistere a fermare in un mio disegno la torre baronale, i suoi aranceti, le sue barche con vele latine, la sua strada piena di gente indaffarata, mentre la fortezza di Gaeta, troppo distante per permetterci di vedere l'allegra vita quotidiana che vi si svolge, forma un fondale ancor più interessante. La pettinatura delle donne oneste di Mola di Gaeta, poi, è molto graziosa, con la parte posteriore dei capelli avvolti a forma di turbante attorcigliato, dai colori vivaci, fermata con un ampio pettine d’argento. La strada, delimitata da aloe che non ho mai visto prima in tale quantità, abbandona il mare e attraverso pianure sabbiose ci conduce al fiume Garigliano..."


Nelle immagini una bella incisione della veduta di Mola, tratta da un disegno dello stesso Strutt e il frontespizio del libro, facenti parte del volume “ A pedestrian tour in Calabria & Sicily”.

 

 


domenica 7 febbraio 2021

“FURMIANA CIVITATE DESTRUCTA”

“Furmiana civitate destructa”, questa espressione medioevale condannò definitivamente all’oblio la città di Formia per un millennio, dopo che i Saraceni nell’846 ne distrussero le ultime tracce. Fu nei pressi del bacino del fiume Garigliano che si svolse, nel 915, quella che passò alla Storia come la prima battaglia del Garigliano, dove i saraceni furo sconfitti e cacciati. Altre due ne seguiranno: una nel 1503, anno in cui gli spagnoli stabilirono il loro dominio sul regno di Napoli a scapito dei francesi, e una nel 1860, quando l’esercito piemontese sconfisse definitivamente i Borboni. Gaeta nel frattempo era divenuta una città importante, consolidata nella sua roccaforte, che trasformò quello che era rimasto della gloriosa Formia in un sobborgo. Soltanto nel 1799, dopo l’occupazione francese, gli abitanti del sobborgo mossi da quell’aria rivoluzionaria che si respirava, fondarono la “Comune di Formia – Mola e Castellone”. Con il ritorno dei Borbone nel 1820 il comune di Castellone e Mola, subì un secco rifiuto alla richiesta di poter riacquistare l’antico nome di Formia. La neonata amministrazione di Castellone e Mola ebbe la prima sede nel palazzo Forcina, ubicato nel centro storico di Castellone, ma la posizione poco decentrata fece ben presto trasferire la sede municipale nel palazzo Petrucci sull’Appia, (all’imbocco dell’attuale via Lavanga) presso la chiesa di Santa Teresa, dove stava avvenendo la maggiore espansione della popolazione. Per riacquistare l’antico nome, la nuova Amministrazione ha dovuto attendere l’unità d’Italia, infatti solo nel 1862 con Regio Decreto n. 507, datato 13 marzo 1862, fu ripristinato l’antico nome di Formia e con successivo decreto n. 2775, datato 6 gennaio 1866, al Comune di Formia fu conferito il titolo di città.

La prima immagine è tratta da un manoscritto illustrato riccamente con 574 miniature, opera di John Skylitzes, custodita nella Biblioteca Nacional de España a Madrid e rappresenta la cacciata dei saraceni dalle nostre coste nel 915. La seconda è un olio su tela del 1840, opera del pittore francese Henri Félix Emmanuel Philippoteaux e rappresenta la battaglia del Garigliano del 1503. La terza è una litografia acquerellata opera dell’artista P. C. Gaisfler e rappresenta la Battaglia del Garigliano del 3 novembre 1860, custodita nel Museo del Risorgimento di Torino. Di seguito un raro disegno di Paquale Mattej del 1857, dove lui stesso annota l’ubicazione della sede municipale e i decreti n. 507del 1862 e n. 2775del 1866.






venerdì 5 febbraio 2021

UN FILO DI ARIANNA PER I MONUMENTI DI FORMIA

Salvatore Ciccone

 

La conoscenza archeologica di Formia fino ad un recente passato è stata determinata da fortuite scoperte, prima durante la rinascita di un tessuto urbano dal Settecento al primo Novecento, poi negli scavi edilizi più consistenti e distruttivi dal secondo conflitto mondiale fino agli anni 1970.

In questa seconda fase si distingue per frequenza ed eccezionalità dei rinvenimenti l’area di via Nerva e via XXIV Maggio, comunicanti traverse al nuovo corso Vitruvio e alla via Rubino, quest’ultima ricalcante il decumano massimo della città romana ovvero il tratto urbano della via Appia. Vi sono affiorati numerosi elementi architettonici di epoca romana di pietra e di marmo, alcuni già confrontabili con quelli documentati da Pasquale Mattej a metà Ottocento, come quelli affiorati nel prolungamento di via Vitruvio negli anni 1920 nell’ambito di una piscina natatoria attribuita a Nerva, tra le cui sculture rinvenute due Nereidi su ippocampi sono ora esposte al Museo Archeologico di Napoli. 

Di confusa entità invece sono i cospicui elementi architettonici lapidei venuti in luce dal Dopoguerra con l’apertura di via XXIV Maggio e aree finitime, per lo più appartenenti ad un arco monumentale, determinato dalla presenza dei cunei dell’archivolto, caratterizzato da ordine architettonico e da una cubitale iscrizione dedicatoria. Di questo arco si ha traccia nella toponomastica medioevale, allorquando questa zona ai piedi del colle ‘Cascio’ veniva chiamata “luarcu”.

I reperti rimossi furono principalmente accumulati con una certa suggestione in piazzetta Municipio, ai quali si aggiunsero quelli “scaricati” nel piazzale delle Poste; in anni più recenti, per il restauro dell’edificio comunale, dalla piazzetta vennero distribuiti disordinatamente nella Villa Comunale, quindi nel rifacimento di questa “ammucchiati” nell’area del campo sportivo insieme ad altri tolti dal giardino di piazza della Vittoria, pure in rifacimento e poi sparpagliati nell’adiacente parco della Scuola Nazionale di Atletica Leggera del CONI. Nel frattempo i reperti nel piazzale delle poste, per la costruzione del parcheggio coperto, vennero trasferiti al Parco Antonio De Curtis nella periferia orientale di Giànola: di questi una piccola parte era stata già distolta e malamente disposta a lato di via Tullia e da qui oggi nel recente parcheggio adiacente il lato mare del Castello di Mola. 

Questo frammenti, più di novanta, in quanto erratici non sono stati mai considerati nel loro valore artistico e documentale e neppure in relazione ai contesti di provenienza, quando invece essi rappresentano monumenti di grande interesse e potenzialità culturale.

Di fatto i reperti ora giacciono in tre luoghi tra loro distanti della città: nel parcheggio del Castello di Mola, n. 9 pezzi in pietra calcarea; nel parco del CONI, n. 55 pezzi in pietra calcarea e marmi vari; nel Parco De Curtis, n. 28 pezzi in pietra calcarea. Alcuni gruppi di reperti sono sicuramente congruenti ed identificabili, quelli della piscina di Nerva e in maggior numero quelli dell’arco; con altra parte anche pregevole al momento di dubbia provenienza, restano promiscuamente accostati e incomprensibili nella loro specificità monumentale, oltretutto la parte conservata nel CONI non liberamente fruibile. Alcuni di questi reperti, quelli marmorei di maggior pregio sono poi stati usati come ornamenti da giardino nella Villa comunale…Dopo averli puliti con idrosabbiatrice!

Da questo excursusappare indubitabile come questi reperti archeologici anche finemente scolpiti e quindi di valore estetico siano stati malamente sopportati nell’avvicendamento delle varie Amministrazioni e trasversalmente alle specifiche ideologie politiche. Scomodi, tanto da essere allontanati oltre che dai contesti di provenienza, da quegli ambiti che avrebbero potuto costituire una occasione ideale di esposizione e fruizione turistico-culturale quali la Villa Comunale e la Piazza della Vittoria.

Vano è stato ogni tentativo di dare un compimento a questa Odissea anche tollerata dalle competenti autorità, in considerazione del danneggiamento nella movimentazione dei pesanti blocchi. 

Non è tollerabile oltre questa situazione, come pure le decisioni della Soprintendenza avulse dalla cittadinanza in merito ai recenti ritrovamenti presso l’Acquedotto Romano e in quelli del Lapidario di Villa Caposele oggi Rubino. E questo quando una città vicina come Gaeta sta esemplarmente valorizzando ogni testimonianza del passato materiale e immateriale per riconvertire e incentivare la propria economia; ancor più nell’attuale emergenza con la costatazione della debolezza e della nocività delle attività di facile profitto. 

Una proposta è rappresentata dal Progetto Arianna presentato dal locale Archeoclub che nel filo del mitico personaggio intende restituire alla Città questi monumenti reintegrati in specifici spazi espositivi in tutto la loro valenza culturale. Gli elementi riconducibili all’arco monumentale sono forse testimonianza pari se non maggiore del Cisternone romano nel rione di Castellone, opera eccellente d’ingegneria idraulica sotterranea ma priva di una immagine espressiva della civitas.

La prossima Amministrazione di Formia, qualunque essa sia, ne prenda esempio e si presti doverosamente alla tutela e ad una esigente valorizzazione di queste testimonianze, considerando insieme ad esse le risorse umane di cultura e competenza a cominciare da quelle presenti sul suo territorio.

 

IMMAGINI

 1- Un gruppo promiscuo di elementi architettonici di epoca romana nel Campo CONI.

 2 - Una base, un capitello e sul fondo un elemento di semicolonna dell’arco monumentale presso il Castello di Mola.

 3 - Elementi dell’arco monumentale nel Parco De Curtis: in primo piano due cunei dell’archivolto. 

 4 – Disegno di Pasquale Mattej eseguito nel decennio 1860 nella sua opera manoscritta “L’Ausonia…” conservata nel fondo a suo nome presso la Biblioteca Vallicelliana in Roma.  Rappresenta elementi architettonici lapidei con dedica onoraria, trovati poco sotto l’attuale via Rubino all’incrocio con l’allora via Cascio, circa l’attuale via XXIV Maggio. Sono riconducibili a quelli reperiti verso il 1970 nello stesso luogo e ascrivibili ad un arco monumentale.

5 – I medesimi reperti iscritti quando erano posizionati in piazzetta Municipio ed ora variamente collocati in zone distanti dal centro cittadino.

 
















mercoledì 3 febbraio 2021

I COLLI SI RIVESTONO DI PAMPINI E VI SI EDUCAN GLI ULIVI


“Là dove il terreno più abbondante si depositava nelle sinuosità del suolo e nelle piccole valli, ivi annua biondeggia la messe, i colli si rivestono di pampini, vi si educan gli ulivi ed ogni maniera di piante fruttifere. E aggiungi, che questa natura stessa selvaggia del sito lo rende il più favorito de’ cacciatori, che sulla pesta delle timidi lepri, o al volo insidiano le quaglie che nell’opportuna stagione ivi soffermansi a stormi, vi si traggono volentieri.”

Così Pasquale Mattej descriveva la nostra terra nel 1846.