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giovedì 29 ottobre 2020

UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE

di Salvatore Ciccone

(Quarta ed ultima parte)

 

La chiesa della Madonna delle Grazie nell’illustrazione dell’architetto Charles Percier del 1788, presenta svariate informazioni e spunti sulla sua architettura. Oltre agli aspetti già rilevati è possibile qualche considerazione sulle sue proporzioni, sia pure con molta prudenza in confronto ad una piantina abbozzata. In ogni caso si osserva che il corpo centrale ha una lunghezza doppia della larghezza e ciò corrisponde a quella dell’edificio giunto oggi trasformato che è di circa 10 metri di larghezza e venti di lunghezza. La facciata comprensiva il colmo del tetto risulta una volta e mezza la larghezza; il protiro il doppio della sua base. Meno intuitiva è la misura dei sagrati che però sembra determinata dalla larghezza del corpo centrale più l’incremento di un quarto della larghezza a determinare un quadrato in cui tutta la pianta ne è contenuta in quattro susseguenti: sulla linea del suddetto quarto dalla facciata ricadono i centri dei protiri. 

Il criterio proporzionale evidenzia una progettualità colta del resto riscontrabile nell’aspetto pregevole pur sobrio. Risalta il modello dell’edificio a navata passante, conformata al transito viario nell’originaria esigenza di rivolgere la chiesa secondo il sorgere del sole, ma senza offrire alla vista un lato postico generalmente occupato da un’abside e cioè offrire sui due sensi la sua connotazione devozionale. Però questa forma inconsueta potrebbe relazionarsi ad una finalità di apostolato di tipo monastico, nella cui cultura architettonica si sperimentarono e svilupparono modelli.

Un ordine monastico, oltre l’assistenza ai viandanti, avrebbe avuto anche vantaggi in offerte dal transito commerciale. Una regola particolarmente congeniale ai luoghi frequentati è quella basiliana, dove ogni loro ingresso o passaggio era protetto dalla “Madonna portinaia”. In questa esigenza di porsi al pubblico risalta a confronto la chiesa basiliana del XII secolo a San Demetrio Corone in provincia di Cosenza, dove l’ingresso sulla facciata è stato chiuso per spostarlo sul fianco più frequentato e sormontato da campanile. 

Questa traccia trova ulteriore confronto a Maratea, dove l’antica chiesa basiliana era intitolata alla “Madonna delle Grazie”, poi divenuta santuario di S. Biagio, il protettore del paese, quando nell’anno 732 da una nave riparata per una tempesta fu sbarcata un’urna con parte delle ossa del Santo destinate a Roma e che un prodigio, strane luci sulla nave (i fuochi di S. Erasmo), venne interpretato come la volontà del Santo di rimanere in quei luoghi: l’episodio sarebbe avvenuto a ridosso dell’isolotto di “Santo Janni”, davanti il paese, interessante corrispondenza con la nostra zona. È infatti da considerare che la foce del Fiume di Giànola poteva essere luogo di approdo riparato in parte dal promontorio tanto da richiedere il presidio di una torre detta anche “della Chiaia”; non quindi da escludere che qui vi fosse un piccolo insediamento collegato con la strada che all’estremo incrocio con l’Appia annoverava la chiesa. 

L’ipotesi è concreta vista la permanenza presso Gaeta del monaco basiliano San Nilo (Rossano 910- Tuscolo1004), nel cui cenobio accolse l’imperatore Ottone III di Sassonia, come fu anche presente a Montecassino e nel cenobio greco della vicina contrada di Valleluce. È altresì interessante come il Santo in ritiro nel Mercurion, lungo il fiume Lao tra Calabria e Lucania, scelse come romitorio una caverna dedicata all’Arcangelo S. Michele, in similitudine alla tradizione legata alla grotta di Giànola detta “Fontana delle Sette Cannelle”, secondo la quale fu ricovero di un abate poi fondatore dell’omonimo cenobio sul monte Altino.

C’è dunque materia da approfondire e che probabilmente in parte rimarrà solo nel campo delle ipotesi.

Tornando invece all’architettura della chiesa ritrovata, dal disegno del Percier ho tentato uno schizzo restitutivo del modello, dove però agli elementi certi ho omesso di posizionare arbitrariamente il campanile: doveva essere certamente ‘a vela’ e sul versante di Mola, poiché nascosto nella prospettiva di Percier; a filo di facciata o più probabilmente trasversale lungo la parete a monte. Bisogna specificare che abbiamo una forma compiuta di un periodo, ma nulla vieta un edificio più antico, come pure più remoto il supposto abitato rivierasco. 

L’individuazione del sito e della forma della chiesa della Madonna delle Grazie sento essere di grande importanza per la conoscenza della storia e per l’identità del territorio peraltro sempre più rovinato, informe, insignificante e straniante; ciò lo è tanto più per la luce di speranza che vi emana a fronte dell’altrettanto scempio dell’umanità.

 

Immagini:

- Schizzo restitutivo della chiesa della Madonna delle Grazie nell’aspetto veduto da Percier nel 1788, nel verso di sinistra in direzione di Mola (S. Ciccone 2020).

 – Chiesa basiliana a San Demetrio Corone, dove l’ingresso è stato spostato verso il fianco più frequentato.

mercoledì 28 ottobre 2020

UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE

di Salvatore Ciccone

(Terza parte)

Per il ritrovamento della chiesa Madonna delle Grazie è stato determinante il disegno del 1788 dell’architetto Charles Percier, la cui piantina e la vista della facciata si confrontano con l‘entità di un edificio del tutto avulso posto sul bordo della via Appia, in corrispondenza con l’incrocio della cointitolata via. È da sottolineare infatti come in questo genere di sacre costruzioni e non solo, informazioni scritte dai documenti d’archivio non riescono da sole ad individuarne l’esatta posizione né per lo più l’aspetto definito. Dunque questa ricerca ha avuto successo perché quel disegno ha costituito l’anello mancante della catena di informazioni destinata altrimenti a rimanere interrotta[S1] ; non solo, perché l’obiettivo che mi ero posto era quello di identificare il luogo cui il disegno era riferito, per il recupero di una testimonianza di elevato interesse di un periodo del territorio di Formia. 

Il più approfondito esame dell’illustrazione fornisce molte informazioni e spunti di ricerca a partire dalla piantina. Dalla sua prima osservazione si verifica un disorientamento nel confronto con la facciata. Si è infatti tratti in inganno dal parziale ripasso a penna sulla matita, che evidenzia spostato verso la destra della facciata uno dei due opposti protiri, mentre nell’aspetto esso appare sulla sinistra: in realtà si vede come il ripasso a china, anticipato da prove di pennino, dovesse essere eseguito su tutta la pianta ma poi interrotto. Dunque la facciata figurata si riferisce alla parte rimasta a matita. Ad incalzare lo sviamento è il basso muretto su cui sembrano poggiare le colonne del protiro e che quindi non appare corrispondente alla piantina: invece si tratta di una sovrapposizione di due elementi distanti tra loro, cioè tra le colonne, sicuramente per consuetudine elevate su un basso piedistallo quando non su ‘leoni stilofori’, e il muretto che nella piantina recinge il sagrato.

La specularità degli accessi e dei sagrati indica chiaramente che l’edificio fosse affiancato ad una via, come il consimile coevo esempio a Fondi della chiesa di S. Maria del Soccorso (come è stato rilevato da alcuni lettori) pure sulla via Appia, ma nel tratto occidentale dalla città. Qui non si presenta una compiuta recinzione ed è possibile che l’intangibilità del sagrato fosse evidenziata dalla pavimentazione acciottolata; nel nostro caso invece il basso muretto poteva già da solo definire l’area sacra. Per di più le due aree sporgono da un fianco del corpo di fabbrica aprendo dei passaggi, oltre a quelli posti in asse ai protiri, e questo per invogliare al massimo l’accesso sul tratto viario. Pertanto questa particolarità indica che nella parte in basso della piantina corresse la via, ciò che oltremodo confermato nell’aspetto, dove si vede un cippo paracarro nella terminazione sinistra del muretto; quindi la facciata ritratta quella a destra della piantina cioè rivolta verso oriente, da quanto si evince dalle ombre a metà mattina. Ovviamente le apparenze ingannano e nella prospettiva centrale la recinzione sembra contenuta nella facciata, complice anche la copertura data dalla colonna del protiro; si spiega perciò anche l’avanzamento del pioppo sulla sinistra dell’immagine che doveva situarsi sul bordo della strada verso Mola. 

Riguardo alla forma del protiro, interessante è la copertura a lastrico del resto usuale in queste zone, per stagliare l’arco ogivato. Questo mostra un risalto sull’archivolto con uno stemma in chiave; le colonne hanno capitelli corinzi di forma classica e verosimilmente elementi antichi di spoglio; nella piantina appare l’indicazione di un soffitto con volta a crociera. La struttura è comunque concepita alla sua sola funzione statica e non certamente il resto di un campanile, come ad esempio nella chiesa di S. Maria in Castagneto: i ritti e l’arco ricordano l’accesso alla cattedrale di Gaeta sotto il campanile, ma per quello inglobati in più resistenti piedritti.

La porta di ingresso che si intravede in ombra delinea un ricercato portale con cornice a dentelli, forse anche di recupero, e sopra una lunetta ogivale dove sembra intravedere una immagine. 

Riguardo il lucernario a rosone, sicuramente ad elementi marmorei dell’epoca, si nota contornato da puntini, probabilmente indicativi di una decorazione a ciotoline di maiolica, come nelle parti trecentesche della SS. Annunziata di Gaeta e documentatamente attorno agli archetti della merlatura della Torre del Castello di Mola riferibili alla fine del Duecento: in effetti l’altezza della facciata, più goticheggiante, ne accomunerebbe la datazione. Da notare sotto il rosone le buche pontaie atte all’inserimento dei pali di sostegno dei tavolati per le ricorrenti manutenzioni. Il tetto ha falde poco inclinate, forse così valutate dal basso, comunque ammissibili nelle nostre zone purché coperte con tegole di tipo romano, tant’è che lo sporto è appunto sottile.

Nella piantina nulla si evince dell’interno, forse perché nell’occasione non visibile, ma è certo che l’altare fosse nel vano monte della navata. Invece nello spazio dei due sagrati incuriosisce l’indicazione con dei puntini sulla linea delle colonne dei protiri, come se vi dovessero essere delle colonne a dividere le navate di due cappelle speculari. Vista la forma compiuta dei due avancorpi d’ingresso, questo appunto pare del tutto arbitrario forse nel ricercare posteriormente una ragione ad un impianto così originale. 

Questo è quanto in grandi linee si può ricavare dall’analisi del disegno certamente ben più di quanto ci possono dire ad ora più generici documenti d’archivio. Questo è quanto emerge restando nell’obbiettivo di un recupero alla conoscenza della comunità e alla fede in questo momento più viva.

 

Immagini:

– L’illustrazione di Charles Percier della chiesa identificabile con la Madonna delle Grazie: in basso la piantina dell’edificio a parte ingrandita (da Aldo Treglia, Mola e Castellone di Gaeta oggi Formia, 2014).

- Le due opposte facciate della chiesa di Santa Maria del Soccorso a Fondi.

 

UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE

di Salvatore Ciccone

(Seconda parte)

Dopo la trattazione sintetica della ricerca che ha condotto al ritrovamento della chiesa Madonna delle Grazie, si può ora procedere ad una più dettagliata argomentazione.

Le carte topografiche che hanno rivelato presenza del titolo e posizione dell’edificio rimontano al massimo a quella marittima redatta da Rizzi Zannoni nel 1785, quindi tre anni prima del passaggio di Percier. Questo non implica una coeva datazione dell’edificio, del resto ben più antico da quel che appare, ma per il fatto che in quell’epoca si verifica il salto di qualità nella cartografia verso la più fedele rappresentazione dei luoghi. In questa carta una chiesa è indicata con un simbolo, una croce greca, posto aderente sul lato monte della via Appia in corrispondenza della foce del fiume di Giànola. Espressamente derivata da quella è una carta nautica inglese del 1790, che invece della croce pone un simbolo corografico di un edificio ecclesiale. In entrambe non vi è menzione del titolo che invece compare nell’ulteriore affinamento topografico della carta napoleonica di Tardieu del 1806 con il toponimo “Le Grazie”: l’edificio nella medesima posizione è formalmente specificato con un rettangolo allungato; lo stesso compare nella mappa disegnata da Pasquale Mattej nel 1852, evidentemente su una base topografica borbonica, con in più posta davanti, l’imbocco della via che sappiamo essere intitolata alla Madonna delle Grazie, quindi l’edificio esistente individuato. 

La situazione topografica è esattamente definita nelle mappe catastali risalenti alla fine dell’Ottocento, ma divise tra i due comuni allora di Formia a valle dell’Appia e di Marànola nella parte a monte, territorio questo dove insisteva la chiesa. 

Contrariamente a queste attendibili mappe, nelle prime carte topografiche militari l’edificio non compare e questo perché derivate da una precedente cartografia ‘piemotese’ ancora avulsa della precisa specificazione strutturale, sebbene recuperata negli aggiornamenti di metà Novecento.

Insomma l’edificio rispondente ad una chiesa è chiaramente individuato nelle mappe, in considerazione poi del fatto che davanti ad esso traeva origine la via Madonna delle Grazie che attraversa il sottostante declivio, fino alla spiaggia del mare presso la foce dominata dall’omonima torre sull’appendice del promontorio detta prima anche “della Chiaia”.

Della chiesa certamente si possono avere notevoli informazioni sulle caratteristiche e sulle pertinenze da diplomi o atti d’archivio, ma essi non sono determinanti alla sua individuazione ben precisata dalle mappe e convalidata da altri fattori fisici derivati dalla sua peculiare pianta e di cui tratterò nella prossima parte.

Resta infatti in questa circostanza vivo il sentimento nel ricercare questo sacro edificio alla Vergine delle Grazie, quasi come preghiera di dissolvere le tenebre di questo difficile momento. 

 

IMMAGINI







 

1 – Carta marittima di Rizzi Zannoni del 1785, dove la chiesa è indicata da una croce sul bordo della via Appia.

2 – Carta nautica inglese del 1790, dove la chiesa è indicata nel medesimo luogo della precedente con un simbolico edificio ecclesiale.

3 – Carta napoleonica di Tardieu del 1806, in cui è specificato il toponimo “Le Grazie” e il sottostante edificio rettangolare.

4 – Mappa disegnata da Pasquale Mattej nel 1852 dove si aggiunge la viabilità campestre in relazione al medesimo edificio individuato come chiesa.

5 – Stralcio di mappa catastale del comune di Marànola di fine Ottocento con l’edificio della originaria chiesa sul bordo della via Appia.

6 – Stralcio di mappa catastale del comune di Formia di fine Ottocento corrispondente a quello di Marànola, dove l’edificio individuato corrisponde alla via Madonna delle Grazie.

 


UNA CHIESA DI FORMIA RITROVATA: SANTA MARIA DELLE GRAZIE

di Salvatore Ciccone

 

Dopo le pagine qui dedicate ai rinvenimenti che attestano il tratto scomparso della via Appia presso l’Acquedotto Romano di Mola, in attesa di fornire ulteriori informazioni e soprattutto delle decisioni circa la loro valorizzazione nella cittadinanza, mi preme ora dover riferire di una ricerca che ha dato esiti insperati e che si riallaccia all’Appia quale asse viario su cui si è evoluta e trasformata la cultura di questi luoghi nei secoli.

Tutto è iniziato quando l’amico Aldo Treglia mi ha cointeressato anche per la redazione del secondo tomo del volume “Mola e Castellone di Gaeta oggi Formia – Immagini inedite in biblioteche e musei italiani ed esteri” (Formia 2014). Tra il materiale da egli reperito spesso di persona, diverse immagini si presentavano di grande interesse: alcune chiarivano aspetti irrisolti, altre aggiungevano informazioni del tutto inattese, altre ancora introducevano nuove problematiche identificazioni. Una di queste ultime è quella figurata nella tavola 20 e consiste in un disegno acquarellato eseguito dall’architetto Charles Percier di passaggio per Mola nel 1788, personaggio di rilievo, autore tra l’altro con il collega Fontaine del celebre volume ad incisioni sulle grandi ville che dal Rinascimento costellarono il sacro suolo di Roma e molte delle quali distrutte nelle speculazioni edilizie post-unitarie. Dunque una personalità non certo approssimativa o di scarsa attendibilità ha tramandato un’immagine di grandissimo interesse, ben oltre la storia locale per quella stessa dell’architettura, tant’è che egli ne fu attratto a ritrarla: la facciata di una chiesa rurale con sottoposta sintetica piantina; in alto la scarna dicitura “entre mola de gaeta et le garigliano” cioè tra Mola di Gaeta e il Garigliano che rappresentava un ambito ben vasto ove identificare il monumento, peraltro finora non altrimenti documentato. Era quasi certo che si dovesse trovare lungo la via Appia vista anche l’indicazione a metà strada da quell’abitato e il fiume, quindi nella zona di Scàuri; riguardo a ciò invece un altro disegno del Percier pubblicato nello stesso volume (pag. 59) illustra la fontana romana presso S. Remigio all’ingresso occidentale di Formia, e con la dicitura “entre fondi et mola di gaeta”: quindi non a metà strada tra le due località, ma piuttosto il versante del tragitto. 

Su questo presupposto la chiesa illustrata si poteva trovare in prossimità di Mola e lungo la via Appia. Il sito era sicuramente campestre, visto che dietro l’edificio si impongono le alte ombre di un pioppeto. L’alta e scarna facciata è culminata dal doppio spiovente del tetto, ingentilita da un rosone e articolata da un protiro ad archivolto acuto sostenuto da colonne per proteggere l’ingresso, spostati su un lato: elementi che da queste parti riconducono all’architettura romanica e la soluzione dell’arco rievocante quello dell’accesso alla cattedrale di Gaeta sottoposto al campanile, iniziato nel 1148. Ma nella piantina si scopre la specularità della soluzione nelle opposte facciate, a ripetere dell’edificio la denotazione e favorirne l’accesso evidentemente lungo il transito della via Appia, questo ciò che dovette attrarre il Percier. 

Ora per identificare il luogo mi sono voluto avvalere dell’altro amico ricercatore Giacinto Mastrogiovanni, sempre disponibile ad offrire la sua documentazione oltremodo necessaria in questo tempo in cui sono impossibili le frequentazioni di uffici e istituti. Quindi per teleinformatica ci siamo scambiate informazioni e opinioni, dalla cartografia a partire dal Settecento fino alle mappe catastali di fine Ottocento. In verità conoscevo una chiesa sul tratto orientale dell’Appia, evidenziata sulle carte con una croce oppure con un edificio ecclesiale e questo ricadeva nella zona tra Ponteritto e S. Croce, dove pure si rimarca il toponimo “delle Grazie” e le vie “Madonna delle Grazie”, zizzaganti il declivio verso la foce del fiume di Giànola. Era chiaro che in quell’area vi fosse una chiesa con quel titolo, ma ciò non bastava ad identificarla con quella segnata e tantomeno con quella illustrata da Percier. Emergeva però che la chiesa posizionata sul lato monte della consolare doveva essere in corrispondenza dell’incrocio tra questa e la via omonima e così identificata lungo tutto il suo percorso, punto dove era ed è individuato un edificio di preponderante lunghezza. 

A questo punto è stata determinante la mia analisi della pianta, nella quale il corpo principale della navata si presenta rientrante rispetto ai due sagrati speculari evidentemente ravvicinati ad una via, peculiarità che si ritrova nelle mappe catastali e nella presente realtà in un edificio con le recinzioni del terreno pertinente. La struttura oggi abbandonata non lascia minimamente trapelare la sua origine, essendo per uso di abitazione con sottostanti locali una trentina d’anni fa a trattoria, eppure il volume principale ben si confronta con l’immagine tramandata. È probabile che con l’invasione francese avvenuta un decennio dopo il passaggio di Percier, la chiesa abbia subito la sorte di tante altre, devastate se non ridotte in stalla come quella di S. Teresa e di altre importanti di Roma; successivamente questi edifici passarono nel demanio pubblico e poi con il ritorno dei Borboni in parte non restituiti, venduti a privati e trasformati.

Tornerò successivamente sull’argomento con i singoli elementi di documentazione e di analisi, ma l’aver ritrovato questa chiesa alla Vergine che dispensa Grazie è oggi in questo difficile momento significativo, per credenti e non, perché la madre è sempre per ognuno di noi il riferimento fondamentale della vita e dell’amore, di protezione nel momento del bisogno. 

 

IMMAGINI

 

1 – L’illustrazione di Charles Percier della chiesa identificabile con la Madonna delle Grazie: in basso la piantina dell’edificio (da A. Treglia, opera citata).

 

2 – 3 – Due scorci dell’edificio attuale stratificato su quello antico riportato dalla cartografia, originato sulla chiesa della Madonna delle Grazie.