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domenica 13 novembre 2011

LA LITORANEA






Nel febbraio del 1958 veniva inaugurata la strada statale Flacca, fortemente voluta dall’allora giovane sindaco di Gaeta, Pasquale Corbo. La grandiosa opera finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno arrecò notevoli vantaggi al Comune di Gaeta che fino ad allora soffriva la distanza dalla via Appia. I vantaggi che la nuova arteria portava nella Provincia meridionale non potevano arrestarsi ai confini orientali di Gaeta; da Formia si sollevarono proteste e numerose perplessità. I lavori proseguirono fino alla realizzazione di tutta l’opera, che nel tratto che attraversa Formia viene chiamata Litoranea. Già dal 1951, quando si cominciava a discutere sull’eventuale costruzione di una strada costiera che avrebbe attraversato anche Formia, il Soprintendente alle Antichità dell’epoca, prof. Salvatore Aurigemma, rilevava energicamente che i danni arrecati al patrimonio archeologico sarebbero stati ingentissimi. Già gli scavi avvenuti tra il 1921 e il 1929 per la realizzazione dei lavori di costruzione del secondo tratto di via Vitruvio, avevano portato alla luce scoperte di notevole importanza storica; il nuovo asse viario, prevedendo il passaggio sull’area dove sorgeva la dimora di Cocceio Nerva, inevitabilmente avrebbe provocato la distruzione di alcuni tratti dell’antico e ben conservato “muro di Nerva” ed di altre strutture ciclopiche, costruite in modo parallelo allo stesso muro. Si suggeriva la possibilità di prevedere l’attraversamento di Formia circonvallando a monte l’abitato, progetto, tra l’altro, già ideato dall’architetto Gustavo Giovannoni, impegnato nella realizzazione del Piano di Ricostruzione per la città di Formia. L’Ispettore onorario della Soprintendenza dott. Mario Di Fava, così scriveva : “… I locali naturalmente non vedono che il lato commerciale della rotabile, ma del progetto Giovannoni e della ricchezza del verde (agrumeti e laureti) e di monumenti da distruggere, pare non si voglia tener conto…”. Ci fu anche un esposto avverso la costruzione della strada presentato al Ministero competente da parte di un nutrito gruppo di cittadini formiani. Il Consiglio Superiore delle Antichità il 22 giugno 1954 così motivava il proprio diniego al nullaosta: “…parere assolutamente contrario all’attuazione della litoranea secondo il tracciato proposto dalla Cassa per il Mezzogiorno in quanto esso,svolgendosi a valle dell’abitato, oltre a presentare il grave inconveniente di separare l’agglomerato cittadino dal mare, avrebbe arrecato irreparabile danno all’ambiente paesistico circostante e ai resti archeologici ivi esistenti…”, giudicando favorevolmente la soluzione “pedemontana” prevista dall’architetto Giovannoni: “…assumendo funzioni di via di scorrimento celere al di fuori dell’abitato ed essendo a monte della ferrovia,presenterebbe caratteristiche tali da impedire l’allinearsi di case lungo di essa…”.
L’Amministrazione Provinciale di Latina, ente preposto ad utilizzare i fondi messi a disposizione della Cassa per il Mezzogiorno, non voleva rinunciare alla costruzione dell’opera così come progettata, riuscendo a strappare l’autorizzazione a realizzare il solo tratto di Vendicio, non incluso nell’aerea d’interesse archeologico. Il dott. Di Fava sul quotidiano “Il Giornale d’Italia”, in pieno dibattito titolava un suo articolo “Quello che si vuole distruggere a Formia calpestando Storia, Arte e Civiltà”, sparando a zero contro i progettisti dell’opera e sottolineando la contrarietà delle Soprintendenze e dello stesso Ministero. I politici interessati alla realizzazione dell’opera e l’Amministrazione provinciale di Latina si rendono disponibili a ridimensionare il progetto, promettendo che gli espropri avrebbero interessato anche aree non coinvolte dalla sede viaria, da destinate alla realizzazione di un parco archeologico per la trasformazione in un sito di altissimo interesse culturale ed artistico. L’ipotetica possibilità di avere un viale immerso tra “resti archeologici”, fece capitolare le ultime resistenze delle Soprintendenze. Nel 1955 anche il tratto più interessato da resti archeologici, dalla località Rialto fino al largo Paone, viene autorizzato; ma la somma stanziata per gli espropri riesce a mala pena a coprire le superfici interessate dalla sede stradale. Il Parco Archeologico rimase un progetto mai realizzato. Fu così che con l’astuzia e la tenacia di chi voleva realizzare quest’opera, venne abbattuto una porzione di 12 metri di lunghezza per 3 metri di altezza del “muro di Nerva” per consentire il prosieguo della Litoranea.
Il passaggio al di sotto allaVilla comunale è stato motivo di grandi polemiche. Varie soluzioni furono prospettate per salvaguardare “le piscine romane” site nell’antistante specchio d’acqua. Tra le varie soluzioni era previsto anche un taglio della Villa comunale: soluzione che suscitò la protesta di numerosi cittadini formiani e che fu immediatamente ritirata. Alla fine prevalse il buon senso e il passaggio sotto i giardini pubblici fu realizzato nella soluzione meno impattiva. Giunti al Largo Paone i lavori ebbero un periodo di sosta. La prima soluzione prospettata, immediatamente abbandonata, era un collegamento della Litoranea con la Via Vitruvio, per mezzo di uno svincolo che da Largo Paone conduceva a Piazza Risorgimento per poi riprendere la via Appia. La soluzione adottata fu quella di un viadotto progettato e diretto dall’ing. Giuseppe Carollo, che da Largo Paone si collegava sull’Appia all’altezza della caserma dei Carabinieri. Già nel 1964 il viadotto antistante la torre di Mola, lo stesso che attualmente sta creando grossi problemi alla viabilità, in un pilastro di sostegno la cui fondazione è a mare, subì un abbassamento di oltre 20 centimetri, che impose urgenti interventi di consolidamento.
Nella prima foto la realizzazione dell’ultimo tratto che conduce al largo Paone con il ponte Bruno Tallini appena realizzato, nella seconda una vista aerea del viadotto che collega largo Paone con la via Appia.

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