LE PISCINE ROMANE DELL’ANTICA FORMIAE
di Renato Marchese
"O tiepida Formia, dolce lido marino, ti preferisce ad ogni luogo Apollinare, quando fugge la città del terribile Marte, e vuol deporre ogni molesta ansietà. Né egli ammira così la dolce Tivoli e i recessi ombrosi di Muscolo e del monte Algido, né ama del pari Palestrina o Anzio, o in tal grato desidera la suadente Circe o la dardania Gaeta, né Marica, né il Liri, né la fonte Salace dell’onda Lucrina".
Così Marziale descrive Formia in un suo epigramma, ponendo la bellezza e il ridente clima della città al di sopra di qualsiasi lusinga potessero offrire altre ridenti località laziali.
L’amore delle classi aristocratiche romane per la nostra terra, la mitezza del clima e la vicinanza all’Urbe, favorirono la costruzione di numerose ville lungo il litorale. Le abbondanti sorgenti di acqua dolce, di cui era ricca Formia, sfociando a mare regolavano la salsedine marina favorendo il prolificare di pesci di ogni specie. La miscela dell’acqua dolce con quella marina provocava “l’aquatio”: una vera e propria regolazione della salinità dell’acqua che contribuiva all'abbondante crescita di organismi vegetali di cui andavano ghiotti i pesci.
La pescosità del nostro mare indusse perciò molti signori romani a costruire le piscinae, veri e propri vivai dove si allevavano pesci pregiati.
Né l’incuria del tempo, né gli eventi bellici hanno distrutto queste costruzioni, che ancora oggi possiamo osservare bene, soprattutto quando c’è la bassa marea. La più interessante è senza dubbio quella che affiora sotto la Villa Comunale, al di là della strada litoranea, di forma rettangolare, suddivisa in altri tre rettangoli minori, con ai due lati due grandi vasche di forma romboidale. L’intera peschiera è suddivisa in quindici vasche entro cui l’acqua circolava mediante saracinesche binate collocate nei muri perimetrali; una che consentiva il passaggio dell’acqua attraverso dei fori e l’altra, cieca, da abbassare in caso di mare molto mosso, per proteggere le specie allevate.
Le costruzioni erano possibili mediante la posa in opera di pietre tenute da malta di pozzolana e calce, che a contatto con l’acqua, induriva formando veri e propri muri; ne fa cenno anche Vitruvio Pollione nel secondo libro del suo “De Architectura”, quando descrive la costruzione di moli. Costruire recinti in mare richiedeva un notevole impegno tecnico, architettonico e ingenti spese per la sua realizzazione. Queste costruzioni erano appannaggio della sola ricchissima aristocrazia romana.
É difficile stabilire a chi appartenesse questa sontuosa peschiera, la cui costruzione risale al 90 avanti Cristo. Alcuni storici la addebitano a Licinio Crasso Murena, cognome che gli fu dato per la sua golosità per questo appetitoso pesce; fu il primo a far costruire questo tipo di vivaio ittico.
Altre peschiere ubicate lungo il nostro litorale sono meno visibili: nei pressi del porto Caposele; nel largo della darsena della Quercia (ormai sepolta dal terrapieno di Largo Paone); sulla costa orientale presso la spiaggia di Pescinola e nell’insenatura del porticciolo di Gianola, costruito negli anni Trenta sulla peschiera.
Nelle immagini, sia fotografiche che catastali, la piscina che affiora sotto la Villa Comunale prima del passaggio della litoranea e dopo, la piscina nel largo della darsena, prima di essere sepolta dal Largo Paone e quella dell’insenatura del porticciolo di Gianola. L’ultima immagine è una ricostruzione della piscina nella villa di Nerva, opera dell'archeologo Luigi Jacono.
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