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sabato 22 aprile 2023

LA VIA APPIA A FORMIA - Una mostra nelle visioni del Grand Tour - di Salvatore Ciccone
Giovedì 20 aprile, nel contesto dell’inaugurazione dell’ufficio Informazioni Assistenza Turistica (IAT – tel. 0771.778386), situato al piano terra del Palazzo Municipale su piazza della Vittoria, è stata aperta una mostra di antiche stampe dalla collezione di Renato Marchese, concernente luoghi attraenti di Formia, esposizione che rimarrà aperta fino al 26 aprile. Il territorio di Formia antica fu beneficiato da innumerevoli rappresentazioni e descrizioni di artisti e letterati sul cammino del Grand Tour, l’itinerario di istruzione che dal 1700 le classi più agiate compivano in Europa con immancabile meta l’Italia. Quei “turisti” venivano affascinati dal paesaggio costellato dai resti della città antica e vivificato da caratteristici costumi popolari, non di meno da quella stessa via romana che per eccellenza il poeta Publio Papinio Stazio nel I secolo designò “regina viarum”, la regina delle vie; così quelli nel percorrerla idealmente ritrovavano il fondamento della cultura umanistica nelle glorie di Roma antica. Le prolifiche visioni si devono alla via Appia, fino a tutto l’Ottocento l’unica strada che attraversava in lunghezza l’abitato e il territorio costiero. Perciò in questa strettoia fu conveniente una porta daziaria nel borgo di Mola che imponeva una sosta correlata al riposo dei cavalli, favorendo il luogo ad una più prolungata e piacevole permanenza. La via Appia è quindi ben più estesa nello spazio e nel tempo, non una antichità obsoleta, ma con una dimensione utilitaria ancora oggi attuale per lo più fedele all’antico percorso per più di 2.300 anni. La via fu il primo tracciato pianificato realizzato dai Romani nella loro espansione verso il Meridione, iniziata dal censore Appio Claudio Centemmano detto il Cieco nel 312 avanti Cristo, il medesimo che costruì il primo acquedotto dell’Urbe. La via da Roma in due anni, passando per Latium adiectum con le città di Terracina, Fondi, Formia, Minturno e Sinuessa, raggiunse Capua nel 314, in 132 miglia; nelle conquiste successive di oltre un secolo arrivò a Taranto e poi si concluse in 370 miglia a Brindisi, il porto sulle rotte per la Grecia e l’Oriente. L’Appia di allora non era quella dell’immaginario attuale, cioè rivestita di blocchi di grigio basalto e affiancata da pini a ombrello, come appare nel contesto della Fontana Romana ad occidente di Formia in località San Remigio, bensì una più modesta strada inghiaiata che però era sapientemente strutturata su strati di pietrame immessi in una trincea per assicurarne il drenaggio e la solidità. Solo nel 295 a.C. venne lastricato il primo miglio e poi nel 292 fino a 11 miglia in blocchi poligonali di pietra lavica, quindi in tratti consecutivi rivestita con il prevalente calcare: nel tratto formiano vi si sovrappose il basalto vulcanico con l’imperatore Caracalla nel 216 d.C., da Fondi per 21 miglia fino all’88°, alla porta occidentale di Formia. Le dimensioni della via si determinarono secondo il corpo umano in uso allora in ogni costruzione, come Vitruvio spiega e geometrizza con l’uomo nel quadrato e nel cerchio, interpretato nel celebre disegno di Leonardo riportato anche sulla moneta da 1 euro. Perciò era precisamente misurata in miglia e scandita da colonne miliari: un miglio corrispondeva a mille passi, il passo era quello doppio compiuto in avanti che conteneva cinque piedi ciascuno di 29,6 centimetri e cioè 1,478 metri, quindi mille passi pari a 1478 metri, poco meno di 1,5 chilometri. La carreggiata minima era stabilita in 14 piedi, circa 4,14 metri, dovuta all’incrocio di due carri ciascuno largo quanto due buoi affiancati e normato con 1 passo più gli spazi utili. La larghezza tra le ruote si trova nelle “ormaie”, i solchi prodotti sul lastricato dal ripetuto passaggio ed è quello che ancora determina lo scartamento dei binari ferroviari europei di circa 143 centimetri. Nel centro urbano di Formia la via oggi si distingue per il lastricato di moderni blocchi squadrati di basalto vulcanico e si identifica con i nomi di Via Rubino e via Lavanga, dalla parte superiore occidentale di Rialto a quella inferiore orientale di Caposelice-largo Paone. Questo tratto si sovrappone alla via romana, reperita in scavi contingenti, e che costituiva il principale asse viario su cui si strutturava l’impianto della città romana: il “decumanus maximus” che la percorreva da est a ovest tangente il porto, importante nodo di scambio militare e commerciale. Inizialmente la via doveva passare a monte della potente cinta muraria poligonale e solo dopo il 188 a. C., con l’acquisizione della piena cittadinanza romana, fatta attraversare nello “oppidum” nella necessità di un rito di rifondazione in “urbs” incentrata sul Foro; da ciò si ebbe l’impulso di opere pubbliche e la elezione di centro privilegiato di villeggiatura. La via Appia si rappresentava anche nel rituale funerario, in processioni mortuarie, aree per l’incinerazione o “ustrina”, sepolture, monumenti sepolcrali dei personaggi eminenti presso le ville e più accalcati in vicinanza delle città, tale così da renderne mesto il transito. Il tratto formiano della via Appia è emblematico con la Tomba di Cicerone, attribuibile al celebre personaggio qui ucciso presso la sua villa il 7 dicembre del 43 a. C. Presso l’altro elemento significativo della Fontana Romana, è un sepolcro di recente scavo riconducibile ad un Marco Vitruvio, forse l’autore del trattato di architettura dedicato ad Augusto e che si ritiene più probabilmente originario di Formia. Nel tratto orientale della città, la via Appia proseguiva a monte dell’attuale borgo di Mola, ripercorsa da via della Conca, ma interrotta nel prosieguo: è rintracciabile al termine dell’acquedotto romano, dove recentemente è affiorato un tratto della massicciata, quindi con altre tracce fino all’attuale piazza Risorgimento. La via interna al Borgo risale al Medioevo quando il tratto romano sul pianoro superiore venne impantanato e deviato per scopi strategici sul castello angioino di fine Duecento dominato dalla grande torre circolare. La via Appia nel Regno di Napoli venne restaurata durante il dominio spagnolo dal 1568 e chiamata “Strada Regia”, opere contrassegnate da monumenti commemorativi: uno è quello in rudere presso il coevo Ponte di Rialto. In quell’occasione accanto al Castello di Mola sorse la porta daziaria detta “degli Spagnoli”, quella che determinò la sosta obbligata dei viaggiatori in un generale rifiorire di attività. La più recente costrizione del traffico determinò la parallela costiera di via Vitruvio realizzata in due fasi sullo scorcio dell’800 e nel primo 900 anche nel prolungamento orientale di via Emanuele Filiberto, presso la zona industriale di Mola. Come la via Appia è stata portatrice di sviluppo, così è stata di rovina. Dopo le distruzioni del secondo conflitto, i progressivi condizionamenti veicolari hanno trovato soluzione sommaria negli anni 1950 con il passaggio della variante Appia litoranea, declassando definitivamente l’antica Appia oltre che nel nome e sottomettendo al traffico il paesaggio costiero che distingueva la città, che tanto aveva ispirato e che tanto poteva promuovere. L’esposizione di antiche stampe e disegni vuole reclamare un recupero di identità di Formia verso una nuova visione e prospettive future della città. Il prossimo inserimento della via Appia nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO, influenzerà una parte consistente del territorio di Formia, rappresentando un impegno irrinunciabile nelle sue potenzialità.
Nelle immagini: un momento dell’inaugurazione della mostra a quattro incisioni all’acquaforte opere dell’architetto Luigi Rossini datate 1835.

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