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mercoledì 22 dicembre 2021

LE MOLE DI FORMIA: PERMANENZA E RINASCITA DI UNA CITTA’ "Lunario Romano 1995", Mestieri nel Lazio, Roma 1995, pp. 177-194. di Salvatore Ciccone
(terza parte) Il processo di riduzione e riconversione dei mulini doveva già farsi sentire allora per il miglioramento delle tecniche di macinazione, ma fu decisivo con l'introduzione delle macine metalliche. Il mulino a palmenti, benché perfezionato, aveva la caratteristica di schiacciare il frumento in un solo passaggio, detta bassa macinazione, producendo una farina ricca di impurità. Il nuovo sistema a laminatoi e cilindri, definito di alta macinazione, si caratterizza per le macine costituite da coppie di cilindri metallici orizzontali variamente scanalati e procede allo schiacciamento del grano in fasi successive, differenziandone il prodotto fino alla massima purezza e finezza e in quantità giornaliere irraggiungibili dai vecchi mulini. Nel 1904 sorge a Mola, nella contrada “fuori il Ponte” e sulla riva del mare, il primo mulino a cilindri mosso dalla forza del vapore, altra innovazione che svincolava questa attività dalla tradizionale dipendenza idrica oltremodo insufficiente ad azionare i più complessi macchinari. Il fondatore, Domenico Paone, concepisce una moderna industria affiancando la macinazione del frumento alla produzione di pasta alimentare che aveva intrapreso nel medesimo sito nel 1878. La schiacciante superiorità dell'impianto rese inevitabile la chiusura di alcuni mulini, come quello dei fratelli Bove che era sorto tardivamente tra il mulino Nucci e quello a Mirti. Venne acquistato da un napoletano e riconvertito in cartiera alla quale si addicevano le grandi quantità d'acqua e lo sfruttamento della sua forza motrice; tuttavia anche la nuova impresa cessò nel 1914 e l'edificio fu trasformato in civile abitazione. Per non chiudere l'attività i due mulini che facevano capo al formale di via Orto del Re verso il 1920 si fusero nella Società anonima “La Turbina” Molino e Pastificio, facente capo a Salvatore Magliocco. L'impianto si componeva di fabbricati contigui allineati sul versante occidentale della via e si caratterizzava dal mantenimento di una ruota idraulica perfezionata o turbina, mossa dalla maggiore quantità di acqua conseguente alla cessazione di alcuni mulini. Si trattava di una scelta operata nella tradizione sia dei modi che dei luoghi e che oggi si direbbe ecologica, ma il risparmio energetico si pagava in termini di rendimento sulla produzione e nel 1933 la società dichiarò fallimento, il fabbricato sarà adeguato a Scuola Avviamento al Lavoro, oggi Scuola Media Statale M. Vitruvio Pollione. Nel fallimento della società fu trascinato l'altro mulino Magliocco insediato presso la Gualchiera, susseguitosi ai più antichi citati. Era mosso ancora dalla forza dell'acqua dell'omonimo formale e produceva farina integrale con il vecchio sistema dei palmenti. Venne acquistato all'incanto dai fratelli Colella che vi installarono un molino a cilindri. I nuovi opifici caratterizzarono maggiormente il tessuto urbano per la grandezza dei fabbricati, e sulla costa per i lunghi pontili di attracco per mezzo dei quali avveniva il rifornimento di grano e l'imbarco delle paste alimentari. Il più lungo era quello dell'industria Paone, ad essa direttamente collegato, realizzato in ferro e munito di carrelli; vi ormeggiava una propria flottiglia di cui l'unità più grande era l'Immacolata III di 120 tonnellate di stazza. Il pontile della “Turbina” si trovava in prossimità del fabbricato accanto al Castello di Mola e vi si accedeva da via Abate Tosti: era realizzato in legno con rinforzi di acciaio. Altri pontili facevano da risalto, appartenenti ad altre industrie del luogo come quelle di laterizi “La Tiberina”, già di Tito Rubino, e quella di Luca De Meo poi SALID, che ponevano al vertice un'altra tradizione locale artigiana. Mola si configurava ormai come quartiere industriale di Formia e la necessità di adeguate infrastrutture viarie e di approdo si rendeva inderogabile. Oltre alla costruzione del porto nel 1922 si diede mano al raddoppio della via Appia col prolungamento di via Vitruvio fino alle porte occidentali della città e allo scavalcamento del rione Mola. Quest'ultima opera fu effettivamente tracciata nel 1936 in base al piano regolatore redatto dall'architetto Gustavo Giovannoni. Tra l'altro si volle bonificare i terreni dalle acque — imperativo dell'epoca — per restituire salubrità ai luoghi. L'intervento condusse a indiscutibili vantaggi tuttavia produsse una lacerazione nel contesto abitato e di questo rispetto al territorio. La rete dei condotti scomparve fatta eccezione il Gran Formale corrente su un alto muro che, interrotto dalla nuova via, suggerì la creazione di una cascata ornamentale e la cui acqua continuava ad alimentare il rivierasco mulino di Rubino al vicoletto Ponte di Mola. Un'altra mola Rubino rimaneva presso il Maiorino, probabilmente ad uso di frantoio. La persistenza dell'attività molitoria sviluppata in funzione di una forte industria alimentare fa sentire il suo peso anche nell'immagine materiale del quartiere. Nel 1928 il settantenne Domenico Paone con rara munificenza offre alla cittadinanza un'opera pubblica di grande impegno, la creazione di un largo con rotonda centrale nell'ansa della Spiaggia di Mola, che divenne la passeggiata del Rione. Fu un segno di riconoscenza per la considerazione che di lui avevano i cittadini, anche in occasione nell'episodio delittuoso che nel 1919 procurò col fuoco il grave danneggiamento dell'opificio. In quella occasione egli non si limitò a recuperare la raggiunta capacità produttiva, ma rinnovò potenziandolo anche il mulino con macchinari fatti eseguire dall'Officina Meccanica Lombarda. Fino all'ultimo conflitto la tradizionale attività molitoria di Mola si concentra nei due mulini di Paone e dei Colella, ognuno con una lavorazione giornaliera di 150-200 quintali di grano. Nel primo erano occupati una decina di operai, nel secondo, compreso il pastificio, una cinquantina; poi l'indotto di facchini, trasportatori, marinai, artigiani. Ecco allora che quest'industria si poneva in primo piano nell'occupazione del Rione e nell'economia primaria dei produttori della materia prima, dapprima singoli agricoltori, poi i consorzi. Dai territori vicini provenivano per lo più grani teneri, dai chicchi tozzi ricchi di amido: si impiegavano principalmente per i prodotti da forno. Più impegnativo era il rifornimento di grandi quantità di grano duro, dai chicchi allungati e lucidi, ricco di glutine, indispensabile alla fabbricazione delle paste alimentari. Paone lo trasportava dalle Puglie con i suoi motovelieri e dalla Russia per mezzo di un piroscafo che attraccava al suo pontile. In quello stabilimento la molitura in proprio agevolava la preparazione delle miscele di farine specifiche alla lavorazione dei diversi formati di pasta, oltre a controllarne la qualità, il prezzo e assicurarne le quantità necessarie. Questa operosità fu spezzata la domenica del 12 settembre 1943, quando alle 13 tutta la zona del Ponte di Mola fu fatta segno di un violento bombardamento aereo alleato. Totalmente distrutto il pastificio; decine i morti e feriti tra i molani, molti dei quali colti in strada intenti agli ultimi acquisti di derrate. Paone, allora ultraottantenne, vi sopravvisse solo otto giorni a conferma della dedizione e dell'impegno profuso nel suo mestiere. In successivi bombardamenti anche il mulino Colella subì gravi danni, depredato inoltre di oltre 8000 quintali di grano. Dalle macerie polverose, in fedeltà al motto araldico cittadino “post fata resurgo” si ricostruisce la speranza. Il mulino Colella riprese l'attività fino al 1960; oggi è trasformato in appartamenti. Il Pastificio Paone nella ricostruzione non ebbe reimpiantata la molitura per convenienza di mercato e passò in mano ad Erasmo, nipote del fondatore e ai due figli Domenico e Franco; da ultimo trasferito nell’area industriale di Penitro all'estremità orientale del Comune e acquisito da un facoltoso imprenditore italo-argentino. Cessa così la lunga tradizione dei mulini che, residuati da Formia antica, per un millennio ne hanno guidato la rinascita urbana, economica e politica. Eppure il bagaglio di esperienze, la cultura del grano, la laboriosità di questa terra non sembra perduta; rimane insita nell'attuale Pastificio, diffusa in Italia, ed esportata col nome della famiglia e di Formia. Di quella attività millenaria rimarranno il nome di Mola e quelli di vico Gualchiera con qualche pietra; dei siti del Maiorino, delle Forme, del vicolo Ponte di Mola e dell'Orto del Re; la nostalgia per quei vecchi mulini dalle caratteristiche ruote che il progresso ha relegato nella storia, ma che non impedisce di rammentarne e valorizzarne la testimonianza. Nell’immagine il tratto della variante medievale della via Appia nella Spiaggia di Mola verso l’omonima porta poi dell’Orologio (dis. P. Mattej, 1840 ca.): l’insenatura rappresentava la parte più interna del porto romano, rimasta come valido approdo all’attività molitoria di supporto per Gaeta.

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