martedì 15 febbraio 2022
L’AREA ARCHEOLOGICA DI GIÀNOLA: PROMEMORIA ALLA REALTÀ
di Salvatore Ciccone
Da tempo più persone mi hanno fermato in strada ed anche telefonato per chiedermi quando sarebbe stato possibile visitare l’edificio ottagonale della villa di Mamurra nel Parco di Giànola, motivati dall’essere io conosciuto quale architetto incaricato dei lavori colà finalizzati e colui che da decenni studia l’area archeologica.
La ripetuta domanda lecita e anche infarcita di complimenti, nelle ultime settimane ha fatto trasparire una certa inquietudine e anche qualche sotteso disappunto, la qual cosa ha cominciato a preoccuparmi.
Infatti all’inizio si faceva certo riferimento all’intervento di recupero dell’edificio ottagonale, dei quali io l’ingegnere Giovannone eravamo stati incaricati del progetto e direzione lavori, procedimento concluso e che permetteva l’apertura delle visite invero rimasta sospesa; per gli ultimi tempi ci si riferiva evidentemente ai nuovi lavori sulla medesima area dei quali noi siamo rimasti totalmente estranei.
Per capire cosa stesse avvenendo, sono andato ad osservare e farmi capace della situazione per esprimere questa nota di chiarimento, nel rispetto della deontologia professionale concernente le opere di colleghi, anzitutto delineando i prodromi in cui si è realizzato il nostro operato.
Poco dopo l’istituzione del Parco regionale di Giànola e del monte di Scàuri, avutasi nel 1987, il presidente “Mimmo” Villa mi chiamò per varie libere consulenze e poi incaricarmi del progetto di recupero della parte del complesso indicato Cisterna Maggiore, da destinare a centro di accoglienza per i visitatori dell’area archeologica; a ciò si sovrappose l’acquisto di circa nove ettari corrispondenti alla maggior parte dell’antica villa.
L’obiettivo era quello di salvaguardare l’integrità dell’insieme delle strutture, con interventi che consentissero la fruizione e comprensione e la relazione dei vari edifici, conservando la caratteristica d’inserimento nell’ambiente naturale e nel paesaggio formata nei secoli, questo nel rispetto della legge costitutiva dell’area protetta, per realizzare l’uso appropriato delle risorse nelle attività economiche, agricole e turistiche.
Ai vari progetti ed opere messe in campo da vari colleghi, come nella scala coperta “Grotta della Janara” e nella cisterna “Trentasei Colonne”, rimaneva di affrontare il più arduo dei problemi: il recupero del principale e distintivo edificio ottagonale, che diroccato durante l’ultimo conflitto risultava un informe ammasso di macerie con intricata vegetazione. Di esso solo lo studioso formiano Pasquale Mattej, sulla rivista “Poliorama Pittoresco” del 1845, ne aveva documentato le peculiarità e l’enigmatica pianta ottagonale, eminente tra le sparse vestigia attribuite ad un “Tempio di Giano” ma da egli ricondotte ad una villa romana.
Al bando di concorso nazionale indetto dalla Regione, risposi insieme al collega ingegnere Orlando Giovannone con una proposta progettuale e vincemmo.
Ai lavori benché facilitati dalle cognizioni che avevo annosamente acquisite, si pararono difficoltà oggettive, nonché discordanze con la direzione scientifica assunta come dovuto dalla Soprintendenza Archeologica, comunque uniformate in una volontà di rendere il meglio sia riguardo alla testimonianza prevalentemente architettonica che al contesto naturale.
All’inizio dell’intervento, le immediate scoperte di sculture, teste ritratto marmoree di una fase di medio Impero, sono state il principale motivo di rinunzie alle dotazioni tecniche su cui contava il progetto, che avrebbero consentito lo spostamento dei grandi blocchi strutturali e liberare un settore e la sala centrale dell’edificio. Ciò fu comunque fatto limitatamente ai pochi mezzi disponibili e al dirottamento di parte dei fondi sullo scavo non previsto del corpo di fabbrica di collegamento tra l’edificio e la sottostante villa.
Fu quindi messa in opera la programmata copertura della parte centrale dell’ottagono, con sistema reversibile a giunti e tubi zincati, assicurata a terra nel rispetto delle rovine con plinti di calcestruzzo in funzione di zavorra contro le spinte dei vento localmente impetuosi; il resto del cumulo ruderale venne protetto con uno speciale telo impermeabile traspirante ricoperto con uno strato minerale sterile per impedire lo sviluppo di vegetazione.
La recinzione dell’area era stata realizzata con la più semplice rete romboidale e paletti di ferro, di comune uso e poco visibile già sulla media distanza. I percorsi poi furono compiuti con semplice fondo inghiaiato e transenne di castagno, nella parte verso il mare lasciando libero il passaggio con la parte occidentale della collina, per i visitatori oltre che agli operatori del Parco e a mezzi di pronto intervento in caso di incendio.
Queste procedure furono tutte progettate, concordate e sottoscritte dalla Soprintendenza nella visione di realizzare un cantiere archeologico visitabile, dove il sistema provvisorio di tettoia si sarebbe potuto ampliare al progredire degli scavi e, una volta acquisita più ampia cognizione dell’edificio e dello stato delle strutture, sostituirlo con un progetto di ricostruzioni e più specifiche protezioni.
Era questa non solo una procedura scontata per qualsivoglia area archeologica ma di più si imponeva in questo caso, poiché il cumulo informe di strutture abbattute anche dopo lo scavo era appena intellegibile e certamente non oggetto di una definitiva musealizzazione con una pretenziosa copertura qualificata, tra l’altro preclusiva al proseguimento degli scavi. Ugualmente la recinzione non poteva essere autoreferenziale, così pure i percorsi ed altri elementi di arredo, altrimenti antagonisti di questo peculiare paesaggio armonizzato dalle strutture e dalla natura, scopo preminente delle opere di conservazione.
Anche in ciò si fece in modo di non alterare i livelli del terreno, in particolare nella parte a valle del collegamento tra l’edificio e la villa, dove sul pianoro si accertarono le tracce di un portico a emiciclo di circa 18 metri di raggio, il cui spazio racchiuso era delimitato lungo diametro verso il mare da un basso muro con al centro i gradini di transito: su questo piano vennero infatti in luce i resti di una chiesa con resti decorativi di IX secolo e circondata da un cimitero.
Questo fu il risultato difficilmente raggiunto facendo combaciare tra loro diverse “anime” e istituzioni nella necessità di indagine, conservazione, tutela, fruizione e del delicato aspetto paesaggistico, procedendo per gradi e nel tempo per acquisire le più adatte soluzioni nel migliore equilibrio: un procedimento teso minimizzare gli elementi aggiuntivi nella maggiore soddisfazione delle attese.
Malgrado queste solide motivazioni proiettate a futuri maggiori sviluppi, di quelle opere accessorie non esiste più traccia: questo è quello che si constata recatomi sul posto e che deriva dai seguenti fatti succeduti.
Mentre il Parco procedeva ad aprire il monumento alle visite, la Soprintendenza Archeologica ha assunto l’integrale conduzione dell’area, con nuovo progetto e opere finanziate dal Ministero per i Beni, Attività Culturali e Turismo, smantellando quanto era stato realizzato, principalmente con la sostituzione della copertura sull’edificio ottagonale, recintando tutto il comparto a chiuderne l’area fino a comprendere la scala voltata “Grotta della Janara” e la Cisterna “Trentasei Colonne”, interrompendo la naturale continuità del Parco.
L'ordine di questi nuovi lavori, ancora non terminati, oltre a disattendere l’aspettativa di una ulteriore indagine in quell’edificio, si evidenziano incomprensibili a fronte del disfacimento dei ruderi della parte più bassa e prossima al mare, con mosaici e intonaci decorati alla mercé degli agenti naturali e di chiunque, verso i quali invece necessita il più tempestivo intervento.
Dunque ora non si può che fermarsi ad osservare fuori il recinto e i più robusti cancelli di ferro, limite ad ogni altra constatazione.
Per quanto ci riguarda rimane la certezza di aver bene operato e con il massimo scrupolo e di ciò contiamo nel ricordo che qui si vuole trasmettere e perpetuare a confronto della realtà.
Nelle immagini: Planimetria della villa romana con schema di orientazione delle parti: 1. edificio ottagonale c.d. Tempio di Giano (musaeum - sepulcrum); 2. canale ornamentale (euripus); 3. cisterna ‘maggiore’; 4. plesso invernale e castellum aquae; 5. cisterna c.d. Trentasei Colonne; 6. scala c.d. Grotta della Janara; 7. fontana; 8. balneum; A. chiesa altomedievale; B. basamento Torre di Giànola. (Arch. S. Ciccone 1990). La copertura provvisoria a protezione della parte scavata dell’edificio ottagonale non più esistente, l’ingresso presso i resti di una abside e l’interno della sala ottagona centrale (foto Arch. S. Ciccone 2018), l’attuale recinzione nella parte inferiore dell’area di intervento della Soprintendenza Archeologica.
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