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mercoledì 17 gennaio 2024

VITRUVIO A FORMIA di Salvatore Ciccone
Vitruvio fu l’autore del “De Architettura libri decem” (I dieci libri dell’architettura) dedicato all’imperatore Ottaviano Augusto e redatto tra il 27 e il 23 prima di Cristo. Come egli scrive in prefazione al primo libro, era stato nell’esercito di Giulio Cesare come sovraintendente alle macchine belliche e, ormai anziano, ottenne un vitalizio da Augusto tramite la sorella di questi Ottavia; in riconoscenza all’imperatore, raccoglie le sue cognizioni di architetto nel trattato, quale sussidio ai programmi di rinnovamento edilizio da quello intrapresi. Egli dimostra le conoscenze della disciplina e gli espedienti di mestiere, concretizzati nel quinto libro nella basilica da lui progettata e diretta nei lavori a Fano, evidentemente l’apice professionale convenientemente di ambito pubblico. Della diffusione del trattato si ha riscontro nell’opera di Frontino e nel compendio di Faventino, mentre Sidonio Apollinare nel V secolo indica Vitruvio come esponente dell’architettura. Il testo serbato nelle biblioteche monastiche ricomincerà a circolare nel Trecento; ritornerà alla ribalta con Leon Battista Alberti, affermandosi come uno dei cardini del Rinascimento, basilare nell’interpretazione dell’architettura classica, dell’arte del costruire e dello stesso mestiere dell’architetto, fino all’Ottocento. Eppure di Vitruvio è ignota la terra natale, nonché la veridicità dell’intero nominativo, Marco Vitruvio Pollione. Varie le identificazioni delle origini: Fano per via della Basilica, Fondi per quel Marco Vitruvio Vacco a capo della rivolta contro Roma nel 330 a.C.; quindi per le iscrizioni a Roma, Verona e in Numidia su un edificio pubblico finanziato da un Marco Vitruvio Mamurra, per il quale l’architetto creduto lo stesso ricchissimo formiano Mamurra, capo del genio militare e amico di Cesare, ipotesi destituita di ogni fondamento. Tuttavia la patria più accreditata è Formia, per il numero di iscrizioni seconda solo a Roma e perché in esse sono menzionati sia personaggi gentilizi, sia i liberti e in un arco di tempo che va almeno dal I secolo avanti Cristo al terzo dopo Cristo. Di recente lo studio di alcuni monumenti formiani rivela interessanti legami con il trattato. Nei cosiddetti Ninfei tra i resti di una residenza in Villa Caposele (oggi Rubino), si è risaliti al criterio modulare strettamente correlato ai concetti della “symmetria”, identificati nel famoso schema proporzionale dell’uomo nel cerchio e nel quadrato ripreso da Leonardo: le stringenti corrispondenze nella datazione dei “Ninfei” possono ricondurre allo stesso Vitruvio e ad avvalorare la sua origine formiana. Tra le numerose epigrafi, particolare è quella funeraria di un Marco Vitruvio, più volte menzionata dagli studiosi del passato, il cui blocco si trova riutilizzato nelle spalle del ponte di Rialto datato 1568, all’ingresso occidentale della città. Essa si trova inizialmente citata in una imprecisa trascrizione di Leandro Alberti nella sua “Descrittione di tutta Italia” edita a Bologna nel 1550: “[…] vicino a Mola, ove si veggono molti vestigi d’antichi hedifici et anche molti marmi spezzati, nelli quali leggonsi molti epitaphi antiqui, delli quali ancun io descrivero, come vidi passando quindi per andare a Napoli. Et prima si vede una tavola di marmo posta nelle mura di un nuovo edificio, lunga piedi sei, e larga uno e mezo in due parti spezzata, in cui sono scritte queste parole. EX TESTAMENTO. M. Vitruvii Menpiliae hoc Monumentum. Her. E. N. M. Poi in un’altra tavola di quattro piedi per lato. Q. Cisuitius. Q. L. Philomusus an. Mor. Cisuitius. Q. L. Philomusus. M. N. M. Vitruvius. M. L. De. Vitruvius e Vitruviis Chreste. M. Vitruvius. S. M. L. Fratrem.”. Della prima iscrizione Pasquale Mattej a metà Ottocento documenta sotto il ponte due distinti testi parziali, così successivamente integrati da Mommsen (CIL X, 6190): A) “M . VITRVVIVS (…)”, non riportato dall’Alberti, titolo a caratteri “capitali” di età augustea alti cm. 24; B) “EX . TESTAMENTO arbitratu / M . VITRVVI . M . L . APELLAE . ET (…) / HOC . MONVMENTVM. HEREDEM non sequitur”, quello inizialmente documentato, a lettere più piccole, oggi coperta da un gradone cementizio: il testamento concerne il sepolcro di un Marco Vitruvio eretto da un suo liberto M. Vitruvio Apella e non destinato ad eredi. Grazie alla stessa documentazione di Mattej, presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, ho potuto identificare il sito di provenienza delle epigrafi: in alcuni disegni ritrae un tratto della via Appia prossimo al ponte, dove ai piedi di un casolare cinquecentesco sono i resti di due monumenti funerari contigui, uno in “opus quadratum” ed uno in reticolato con cantoni a blocchetti di calcare e laterizio; di questo in un appunto si specifica l’epigrafe rimossa alla fine del Settecento dal principe di Caposele e collocata nel lapidario all’ingresso della sua villa. Queste indicazioni trovano conferma nel 1997, allorché sul quel tratto dell’Appia (attuale via G. Paone) prossimo alla Fontana Romana e ad un sepolcro a torretta ottagonale, la creazione di un passaggio attraverso un vecchio muro di contenimento ha fatto affiorare una struttura funeraria sulla quale è intervenuta la Soprintendenza Archeologica. L’elemento resosi evidente nella sezione del dislivello, consisteva nel grosso nucleo cementizio di un monumento a pianta quadrangolare in origine rivestito di blocchi lapidei, recinto sul lato monte con un muro in “opus reticulatum” di prima età augustea, similmente replicato sul lato occidentale per altro ambito funerario. Queste aree hanno restituito diverse olle cinerarie protette dal terreno con pance d’anfora capovolte, i cui puntali fungevano da segnacolo; dall’area relativa il monumento, affiorarono anche le inumazioni sovrapposte di un uomo, di una donna e di due bambini. I contenitori delle ceneri e gli elementi di corredo, balsamari, lucerne ecc., vanno dalla fine del I secolo a.C. al II d.C., congruenti a monete, gli “oboli di Caronte”, di età giulio-claudia, flavia e di Adriano; reperti conservati ma non esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Formia. Ciò che resta del monumento sembra non offrire appigli alla restituzione della sua forma. In realtà l’analisi costruttiva, metrologica e tipologica mi hanno consentito una ipotesi della sua architettura. Il nucleo in “opus caementicium” di pietre calcaree è in strati alti m 0,60 (2 piedi romani; 1 piede = m 0,2957), indicando la pari altezza degli elementi del rivestimento lapideo, poiché all’interno vi si eseguivano i progressivi getti cementizi, coesi tramite lo spargimento di minute scaglie calcaree derivate dalla lavorazione dei blocchi perciò di pari materiale: queste indicazioni sono congruenti ai reperti documentati sotto il ponte, tra i quali un pezzo di fregio dorico in cui si presenta un fiore con quattro foglie dagli apici ritorti e un tortiglione centrale che richiama il bocciolo di una viola, insieme alle rose fiori specifici del culto funerario. La struttura del sepolcro ha pianta quadrata e dalle impronte lasciate dai blocchi è riferibile al modello dell’altare a fregio dorico introdotto dalla fine del II secolo a.C., contenente una cella di contenute dimensioni. La pianta della struttura, compreso il recinto in “opus reticulatum”, è un quadrato di lato m 5,90 cioè 20 piedi e che sostanzia la proporzione del monumento con lo schema geometrico di Platone del rapporto √2 costituito da quadrati concentrici o in equivalenza alterni a cerchi, come appunto verificato in uno dei “ninfei” in Villa Caposele. In questo schema si ottengono coincidenze con le tracce sulla struttura, fornendo indicazioni anche per le altezze del monumento: il basamento o podio risultava alto di 10 piedi (m 2,97), quella complessiva di 28 piedi cioè m 8,28 di cui l’altare di 18 piedi (m 5,32). Nel modello ricostruttivo trova pure congrua collocazione l’iscrizione del “patronus”, che prima di svincolato valore documentale, ora si identificava con il monumento riaffiorato. In base ai vari esempi, l’epigrafe “capitale” si colloca bene al centro dello zoccolo dell’altare, mentre la disposizione testamentaria è adeguata sulla fascia del podio; invece lo scomparso epigrafista Lidio Gasperini le riconduce entrambi all’altare. Resta aperto il problema dell’identità di questo Marco Vitruvio, già ritenuto quello autore del “De Architectura” ed ora più probabile in concordanza alle informazioni scaturite dal sepolcro, fatto questo di eccezionale significato tuttavia ancora misconosciuto: così è il sepolcro, volutamente in via di occultamento con vegetazione rampicante in violazione alle norme manutentive del monumento vincolato; nondimeno è il Ponte cinquecentesco con i suoi frammenti epigrafici; quindi il principale corso cittadino intitolato a Vitruvio non reca che generiche targhe. A ciò, altre città tentano in ogni modo di attribuirsi la natalità di Vitruvio e con vane congetture; Formia invece continua ad ignorare i documenti materiali di quello che fu uno dei principali artefici della cultura occidentale.
Bibliografia - NICOLETTA CASSIERI, Nuove acquisizioni sul culto funerario nel Lazio meridionale: un sepolcro lungo l’Appia a Formia e un sarcofago cristiano a Fondi, “Formianum” VI – 1998, ed. 2002, p.33 segg. - SALVATORE CICCONE, Il sepolcro formiano di Marco Vitruvio, “Formianum” VII-1999, ed. 2007, p.47 segg. - AA. VV., Vitruvio opera e documenti, “Formianum” VIII-2000, ed. 2009.
Immagini: 1 – L’area funeraria di Marco Vitruvio sulla via Appia, come è oggi ricoperta da edera, e come ritratta da Mattej nel 1847 (Bibl. Vallicelliana, Roma). 2 – Blocco epigrafico alla base della spalla del Ponte di Rialto con disegno integrativo del titolo. 3 - Sepolcro di Marco Vitruvio, vista dei resti verso oriente e dalla parte superiore. 4 – Sepolcro di Marco Vitruvio, disegno restitutivo (CICCONE 1999): in basso a destra, proporzione teorica della pianta sullo schema in rapporto √2 a sinistra determinante l’effettiva posizione regolarizzata delle parti; sopra, alzato frontale secondo il criterio modulare; a destra, sezione trasversale con vano della cella e in tratteggio il nucleo esistente.

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