Cerca nel blog

Etichette

giovedì 25 gennaio 2024

VITRUVIO IN DUE NINFEI A FORMIA - di Salvatore Ciccone
Nello scorso articolo ho trattato del sepolcro recentemente scoperto a Formia sulla via Appia, dal quale si è dimostrata provenire l’iscrizione di età augustea del titolare, un Marco Vitruvio, riutilizzata nel vicino ponte di Rialto risalente al 1568 e che ha indotto i classicisti a ritenerla riferita all’architetto di Cesare e che ad Augusto dedicò il suo celebre trattato sull’Architettura, pertanto facendo ritenere questa città la sua più probabile patria. Per la restituzione grafica del sepolcro ho fatto riferimento al criterio proporzionale analogo a quello impiegato in uno dei due cosiddetti ninfei di tarda età Repubblicana nella prossima zona costiera, architetture che presentano riscontri con l’opera di Vitruvio. Si tratta di due originali sale voltate articolate da colonne in una vasta residenza romana compresa nella Villa del principe di Caposele, divenuta nel 1852 luogo di vacanza di re Ferdinando II di Borbone, oggi proprietà Rubino; entrambe hanno sul fondo un vano a nicchia con fonte sorgiva e per questo ricondotte al tipo dei ninfei. Nella pianta le due sale si distinguono dai prevalenti ambienti uniformi di sostegno di un originario piano residenziale, elevato dall’attuale giardino di circa metri 7,50 e già ridotto in orto pensile, che ricalcano l’andamento di una rupe ai cui piedi scaturisce la sorgente; la fronte rettilinea degli ambienti si elevava di circa 2 metri da una vasta peschiera antistante, i cui resti furono interrati dai Borbone nell’ampliamento del giardino. Il “ninfeo minore” ha una pianta su matrice quadrata che forma un ambiente principale scandito da quattro colonne doriche, approfondito in una nicchia con fontana. La parte principale è ricostruzione dei Borbone da un’unica colonna e volte perimetrali superstiti, riproponendo un soffitto centrale a padiglione sospeso su lunghe piattebande. La decorazione generale a pietre spugnose richiama una grotta cui si aggiungono effetti pittorici e illusori: nella volta a botte della nicchia con scomparti a sassolini, conchiglie e paste vitree; nelle pareti a stucco con porte inquadrate da motivo architettonico; sulla colonna in un residuo di mosaico a riquadri. Il “ninfeo maggiore” ha pianta sviluppata su matrice rettangolare, con al centro un’ampia volta a botte scandita da lacunari o cassettoni, sostenuta su ambo i lati da quattro colonne doriche di pietra a stucco che spaziano su navate laterali; il fondo ha un vano occupato da fonte in vasca e decorato con pitture ‘egittizzanti’; all’opposto verso l’esterno si allunga una “fauce” di accesso. Nel pavimento di mosaico bianco punteggiato di marmi policromi, si trova al centro una vasca rettangolare o “impluvium” corrispondente all’apertura che esisteva al centro della volta o “compluvium”, di questa la ricostruzione borbonica annullò il risalto delle membrature nei giochi di luci ed ombre, nonché la ventilazione ascensionale. Tra le due sale, la volta di un ambiente reca i resti di intonaco a scanalature per convogliare l’acqua di condensa di un ambito termale del quale è tramandata la presenza di dispositivi di riscaldamento delle pareti. Ciò richiama l’abbinamento usuale di “balneum” con “triclinium” o sala da pranzo, della quale nello sviluppo a colonne, Vitruvio (“De Architectura”, VI, 3, 9) la nomina “oecus” e ne classifica tre tipi tra i quali il tetrastilo e il corinzio e che, dal greco “oikos”, casa, si deduce assimilati al nucleo della casa romana e di quella greca corinzia. Pertanto si devono propriamente riferire al “ninfeo minore” un oece tetrastilo e al “ninfeo maggiore” un oece corinzio, qui complementari così come nella trattazione vitruviana, seppure aggiunti adeguatamente di una fontana. Questa coincidenza risalta più specificatamente nel “ninfeo maggiore” che si riconosce nella descrizione dell’oece corinzio data da Vitruvio (VI, 3, 9): “I corinzi hanno le colonne che posano su di un podio o a terra, e sopra hanno epistili e cornici o in opera nella muratura o di stucco, di poi sopra le cornici, dei lacunari curvi che girano interrotti alle reni”; quest’ultima espressione allude ad volta di muratura a pieno centro, dove le reni sono le porzioni poco superiori ai piani d’imposta che non generano spinte laterali, per il resto ridotte dall’alleggerimento dei lacunari. Maggiori evidenze sul genere delle due sale si acquisiscono nello studio delle proporzioni. L’oece tetrastilo ha la pianta inscritta in un quadrato che comprende lo spessore del muro frontale, come pura quadrata è la nicchia, rivelando il criterio proporzionale dal teorema di Platone a quadrati concentrici tramandato da Vitruvio (IX, pref., 4-5): il quadrato principale della sala è di lato 25 piedi che nella serie concentrica trova nella sua metà di 12,5 piedi il lato della nicchia, traducibile in 25 palmi (1 palmo = m 0,074), cioè corrispondente al numero di piedi del quadrato maggiore. Anche l’alzato riscontra le regole stabilite da Vitruvio: la colonna di ordine dorico di altezza 14 volte il raggio di base (IV, 3, 4), qui di metri 4,14 su raggio di 1 piede; l’altezza della sala quadrata pari alla somma della larghezza con la sua metà (VI, 3, 8), qui presa tra i limiti interni delle colonne dà metri 5,85 in difetto di 15 centimetri, ma rispetto alla volta ricostruita. Nell’oece corinzio, la pianta risulta composta di tre rettangoli di diversa dimensione ma di medesima proporzione regolata da un segmento comune di 7,5 piedi ossia 30 palmi, che è il numero in piedi della lunghezza della sala colonnata: in questo segmento si deve perciò individuare il modulo che nel rettangolo maggiore scandisce la lunghezza in cinque parti e la larghezza in quattro, stabilendo una comune proporzione di 5:4. Il modulo poi decuplicato collima la lunghezza totale della sala con 75 piedi o 300 palmi, mentre la larghezza massima tra le pareti delle navate è di 37,5 piedi o 150 palmi, quindi rispettivamente di moduli 10 e 5 ribadendo il rapporto 1:2 prescritto per i triclini. Da ciò risalta pure come lunghezza totale dell’oece tetrastilo, di 37,5 piedi o 150 palmi, è la metà di quello corinzio dimostrando l’unità progettuale delle due sale. Anche nell’oece corinzio l’altezza confronta la proporzione prescritta da Vitruvio per i triclini, media della somma tra lunghezza e larghezza, qui in presenza delle colonne nel rapporto 1:2 della pianta la lunghezza effettiva di piedi 30 e larghezza la sua metà dà 3 moduli pari a 22,5 piedi (metri 6,65), in altezza coincidente al fondo dei lacunari di effettivo soffitto. La ragione del modulo di 7,5 piedi nel rapporto 5:4 dei rettangoli della pianta, si ha quando la misura viene convertita nel diretto multiplo del piede che è il cubito equivalente a 1,5 piedi (metri 0,445) e che ne assomma appunto 5; al contrario il numero 4 del rapporto dato in cubiti equivale a 6 piedi. A ciò Vitruvio (III, 1, 1-9), riguardo alle proporzioni degli edifici assimilate al corpo umano, fa corrispondere l’altezza e la larghezza con le braccia distese ad un quadrato proprio di 6 piedi di lato; inoltre inscrive il corpo in un cerchio con centro nell’ombelico a toccare le estremità degli arti divaricati. Al cerchio non dà una dimensione, ma dandogli il diametro di 7,5 piedi e cioè 5 cubiti, esso è tangente la base del quadrato e tocca i due angoli opposti, nel quale si verifica la collimazione con le membra. È quindi configurato uno schema di “symmetria” dimensionato dal cubito in cui si individua il modulo della sala, verificato dal fatto che in quella combinazione geometrica si inscrive perfettamente la pianta collimandone i punti principali. Dunque l’individuazione del criterio proporzionale dell’oece corinzio di Formia ricondurrebbe all’autentico schema geometrico dell’uomo vitruviano, che sicuramente non può corrispondere a quello celebre di Leonardo basato su numeri irrazionali, a decimali infiniti, non modulabili nell’Antichità e non confrontabili all’allora sistema di misura. La decifrazione architettonica dei due oeci trova così con opera di Vitruvio una stringente serie di correlazioni fino a risalire allo schema basato sul corpo umano. Ciò mi ha inoltre consentito una innovativa interpretazione della perduta basilica a Fano, da egli concepita e descritta, secondo la stessa somiglianza con gli oeci corinzi. Queste circostanze si possono ricondurre ad un medesimo autore, rafforzando di Vitruvio la presenza a Formia e che in aggiunta alle altre consistenti testimonianze ne rendono più probabile l’origine. Pertanto questi oeci, architettonicamente già riconosciuti basilari ed ora di tangibile correlazione alla sua opera, si presentano eccezionali come documenti di riferimento e risorsa culturale, ad identità ed onore della cittadinanza. ****** Per un’ampia bibliografia sull’argomento: S. CICCONE, Sale con volte su colonne al tempo di Vitruvio: gli esempi originali di Formia, “Formianum” VI-1998, Marina di Minturno 2002, pp. 11-29; AA. VV., Vitruvio opera e documenti, “Formianum” VIII-2000, Marina di Minturno 2009. Una sintesi più recente dello stesso autore è nella rivista “Lazio ieri e oggi”, anno LV, n. 7-9, 2019, pp. 250-56.
Nelle immagini: Veduta verso settentrione della Villa Caposele dal porto omonimo e planimetria dell’area archeologica: nella linea rossa la sostruzione voltata; A – “ninfeo maggiore”; B – “ninfeo minore”; il “ninfeo minore”, propriamente oece tetrastilo, nella parziale ricostruzione borbonica e nella antecedente illustrazione di Pasquale Mattej (“Poliorama pittoresco”, IX -1845); pianta dell’oece tetrastilo basata sullo schema di simmetria dal teorema di Platone, a destra (CICCONE 1998); il “ninfeo maggiore”, propriamente oece corinzio, con la volta ricostruita dai Borbone e con gli effetti di luce dall’originario compluvium, nell’incisione di LUIGI ROSSINI (Viaggio pittoresco da Roma a Napoli, Roma 1839); pianta dell’oece corinzio con a destra il diagramma dei rettangoli costituenti in cui si individua il modulo (CICCONE 1998); schema di “symmetria” vitruviano del corpo umano commisurato al piede (B) e al cubito (A), nel quale si inscrive e coincide la pianta dell’oece corinzio (CICCONE 1998-2000).

1 commento:

  1. Carissimo Salvatore , solo tu e ribadisco solo tu, puoi darci ed illustrarci queste ricchezze formiane con proprietà professionale, ricchezze e didettagli. Grazie sempre per i tuoi doni , ci regali emozioni e conoscenze.

    RispondiElimina