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martedì 7 febbraio 2023

DA SPERLONGA-GROTTA DI TIBERIO A FORMIA UNA VIA DALL’ATTUALITÀ ALLA STORIA di Salvatore Ciccone
La realizzazione della via litoranea “Flacca” negli anni 1950, da Sperlonga a Formia provocò l’alterazione di uno dei tratti più belli d’Italia. Quest’opera magnificata certo per le capacità tecniche e realizzative nella pur comprensibile enfasi del progresso post-bellico, ha avuto ed ha effetti diversi a seconda della morfologia e delle diverse situazioni sociali e politiche dei luoghi attraversati. Senza dubbio a tranciare Formia con il nastro di asfalto e cemento fu una precisa e documentata scelta politica degli amministratori. Questi, partecipi di una diffusa disinformazione sulle opportunità economiche, rifiutarono l’alternativa di una via pedemontana ritenuta dirottante i benefici indotti dal passaggio veicolare; in realtà fu una occasione per invalidare i vincoli archeologici e paesaggistici che gravavano sul comparto costiero che impedivano su di esso l’espansione edilizia e ciò fu fatto proponendo alla Soprintendenza il progetto della via come asse di un parco archeologico: assurdo benché approvato, produsse danni diretti sui monumenti; poi via via dissolto il parco è restata la strada che ha ipotecato il futuro della Città. Non fu così a Gaeta, dove la “Flacca” passò a monte dell’abitato; così ugualmente a Sperlonga, che prima capolinea da Fondi si trovò improvvisamente collegata tra Roma e Napoli, aprendo impensabili alternative alla sua prevalente economia agricola e di piccola pesca. Questa nuova opportunità aprì gli occhi agli Sperlongani, allorché nel 1957 si ebbe la scoperta delle spettacolari sculture nella Grotta di Tiberio, negli iniziali scavi su licenza della Soprintendenza condotti dall’ingegnere Erno Bellante impegnato alla realizzazione della via. I cittadini, intere famiglie, impedirono con presidi il trasporto dei reperti a Roma, finché non si decise di conservarli sul posto, associando all’area di scavo della villa imperiale un museo e del quale proprio quest’anno ricorre il sessantesimo anno dall’inaugurazione (1963). Quale fu l’impulso per Sperlonga tutti possono constatarlo insieme alle negatività provocate, a Formia uniche e ineluttabili. Da queste considerazioni è opportuno allargare la visione alla storia della precedente via romana, dalla quale l’odierna ha preso anche impropriamente il nome. Essa è identificata con quella che lo storico Tito Livio (“A. U. c.”, XXXIX, 44) dice realizzata dal censore Lucio Valerio Flacco nel corrispettivo anno 184 a.C.: “E Flacco separatamente [dal collega Catone il Vecchio] alla roccia delle Acque di Nettuno, affinché vi fosse un passaggio per la gente, [fece] la via per i monti Formiani” (Et separatim Flaccus molem ad Neptunias Aquas, ut iter populo esset, et viam per Formianum montem). Finora si è riconosciuto il luogo della “roccia delle Acque di Nettuno” con quello citato dall’architetto Vitruvio (“De Architectura”, VIII, 3): “Così si narra essere stata in Terracina una fonte che si chiamava Nettuno, del quale moriva chi inconsideratamente beveva, e che perciò gli antichi l’avessero ostruita” (Uti fuisse dicitur Terracinae fons, qui vocabatur Neptunius; ex quo qui biberant imprudentes vita privabantus: quapropter antiqui eum obstruxisse dicuntur). Il fatto che a Terracina anche il monte è indicato “Neptunius” e che lì vi sono sorgenti sulfuree, oltre alla caratteristica roccia del “Pisco Montano”, ha fatto sì che l’inizio di quella strada venisse identificato in quel luogo, anticipando di tre secoli la variante traianea della via Appia. In realtà Vitruvio riferisce, nella seconda metà del I secolo a. C., un fatto tradizionalmente accaduto certamente prima dei tempi di Flacco; pertanto Livio, oltretutto più giovane di Vitruvio, non poteva prendere come riferimento topografico una fonte non più esistente, se non leggendaria. Inoltre la via, realizzata per i monti Formiani, non poteva partire da Terracina, con un maggior tratto sul litorale di Fondi rispetto a quello per i monti di Formia; Livio avrebbe poi specificato Terracina come altrove ha fatto (“A. U. c.” XL, 51, 2): “Lepidus molem ad Terracinam ingratum opus...”. Non rimane che pensare le Acque di Nettuno in un altro sito prossimo al territorio di Formiae. Sul versante opposto del monte Ciannito e alla Grotta di Tiberio, si presenta un terrazzamento sostenuto da un muro megalitico, incluso in una successiva villa romana di età repubblicana; uguale situazione si ha nella villa detta “Grotte Salse”, all’estremità occidentale della piana di S. Agostino. Essendo queste mura risalenti all’età preromana e perciò antecedenti la via di Flacco, è probabile che i due insediamenti originari fossero al termine di due distinti percorsi, uno dalla parte di “Caieta” per la valle di S. Agostino e di Longato, l’altro dalla parte di “Fundi”. Da questi due capi le insuperabili falesie che sbarravano il transito costiero potevano essere solo superate aggirandole superiormente: dalla villa oltre il monte Ciannito salendo con una via ancora distinguibile; dal capo delle “Grotte Salse” per il “canale Pecorane”, testimonianza del transito delle greggi verso il mare. Riguardo alle “Acque di Nettuno”, vi sono ricchissime sorgenti ai piedi del promontorio sperlongano come nell’area della Grotta di Tiberio; queste in origine confluivano in un lago costiero, dove realmente si inserivano la villa imperiale e quella prossima, acque che dovevano ispirare una specifica divinità. Se la villa imperiale era certamente ubicata nell’antico territorio di Fondi, è anche vero che il confine con quello formiano era prossimo e ripercorso nel Medioevo da quello di Gaeta; infatti ricadeva al termine del lido ad oriente del monte Ciannito, dove si erge imponente la roccia “Bazzano”, conformazione d’erosione simile al Pisco Montano di Terracina. È quindi lecito pensare che Livio si riferisse a queste fonti e a questa roccia come probabile confine tra “Fundi” e “Formiae” per indicare l’inizio di questa via e appunto condotta per “Formianum montem”, per congiungere due percorsi ciechi e di disagevole raggiungimento dalla via Appia. Dunque Lucio Valerio Flacco avrebbe realizzato non una strada da Terracina a Formia, a coprire una distanza di oltre 40 chilometri (27 miglia romane; 1 miglio = m. 1478,5), ma un ben più breve tratto di circa 3 chilometri lungo le falesie (2-2,5 miglia), temerariamente condotto a strapiombo sul mare con arditi muri a secco e perfino con un tratto in galleria, utilizzando una caverna nella Punta Capovento. Ad ulteriore conforto di questa tesi si deve rilevare la mancanza di tracce viarie nel più lungo tratto, per natura pantanosa e necessario di notevoli opere di sostegno, nonché di colonne miliari. Quanto alla parte nel tratto formiano antico, doveva già esistere il percorso diramato da quello a servizio del porto naturale di Caieta, di cui l’incrocio è presso la chiesa di S. Maria di Conca, probabilmente adeguato alla nuova comunicazione col versante fondano. Questa interpretazione fornisce inoltre nel territorio della villa imperiale una più completa visione dell’antica topografia dei luoghi, dove l’abbondanza delle sorgenti che si univano al mare, mediate dai laghi costieri, giustificherebbero il nome di “acque” di Nettuno, poi prevaricato da quello della “Spelunca”, quando questa venne elevata a spettacolare ninfeo della villa di Tiberio, dove avvenne il catastrofico crollo che per poco non uccise lo stesso imperatore (Tacito, “Annales” IV, 59) riadattato ulteriormente arricchito con nuovo significato probabilmente dall’imperatore Domiziano. Queste acquisizioni sull’antico, conferiscono legami ideali tra la villa di Tiberio e la catena di ville litoranee di cui eccelleva il territorio formiano, non di meno per le “piscinae” che nella “Spelunca”, oltre alle particolarità tecniche, la figura circolare rappresentava il circuito celeste dove le sbalordenti sculture sulle gesta di Ulisse si rapportavano in analogia a miti fissati nelle costellazioni. Quanto all’attualità non resta constatare come a Formia agli irreparabili danni arrecati dalla via moderna, nulla è stato compiuto per recuperare l’enorme patrimonio da essa attraversato per risarcire il paesaggio almeno sul piano morale e culturale. Le mie argomentazioni sull’antica via Flacca, sul paesaggio costiero originario e sull’interpretazione della Grotta di Tiberio, sono state pubblicate negli Atti del Convegno “Formianum” IX-2001, Caramanica Editore 2021, ISBN 978-88-7425-326-5 e presentate insieme al volume nel 2022, a Formia per l’Associazione Koiné presso l’Archivio Storico - Castello di Mola il 17 marzo, il 14 maggio per il Museo Civico – Castello Caetani di Fondi.
DIDASCALIE DELLE IMMAGINI 1 – La Grotta di Tiberio e il tratto di costa attraversato dalla via realizzata dal Lucio Valerio Flacco. 2 – Il tratto litoraneo presso Sperlonga distinto dalla roccia “Bazzano”, antico confine di Formia. 3 – Un tratto dell’antica Flacca sostenuto con muro a secco sotto la falesia di monte “Vannelamare”. 4 – L’antica strada per il porto di “Caieta” presso S. Maria di Conca: oltre a destra la diramazione della “via Flacca”. 5 – Via Olivella sulla spiaggia di Vindicio, tratto terminale della antica “via Flacca”: a sinistra nel muro sono riutilizzati gli antichi basoli scuri della pavimentazione.

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