Cerca nel blog

Etichette

mercoledì 1 febbraio 2023

LA SACRALITÀ DEL MONTE ALTINO: LE STATUE DEL REDENTORE E DELL’ARCANGELO MICHELE - di Salvatore Ciccone
Sabato 28 gennaio a Marànola, nella chiesa della SS. Annunziata, ho partecipato come relatore alla presentazione del libro “L’autore della statua” curato dall’amico da Gerardo De Meo, il quale da molti anni conduce studi sul patrimonio del suo paese con la competenza e la tenacia di stimato artista. Egli ha così tratteggiato le vicende del monumento sulla vetta del monte Altino, della cui imponente statua di ghisa di Gesù Redentore ha identificato lo scultore rimasto occultato per oltre cento anni: era Vincenzo Morricone (1855 – 1922), cittadino di Arpino, che lavorava per conto della ditta Rosa, Zanazio e C. di Roma, finora unica riconosciuta realizzatrice della scultura. Il convegno è parte del calendario dell’anno giubilare in onore di San Michele compatrono di Marànola, la cui statua di pietra alta meno di un metro, comunque gravosa, dal paese viene condotta con la tradizionale “Scalata” a permanere d’estate nel suo santuario sul monte Altino a 1100 metri d’altitudine. Logico è stato quindi contemplare anche un approfondimento su questa statua ben più antica e leggendaria, accomunata all’altra nell’essere stati ignoti gli autori e per identificarsi nel ristretto ambito della significativa cima del monte Altino; ho qui già scritto due post sull’argomento (giugno e settembre 2021) che qui focalizzo su ulteriori acquisizioni. La considerazione sacrale di questo monte risale certamente alla remota Antichità, poiché i suoi profili salienti a più mille metri incentrati all’inconfondibile vetta a forma di capo e in antitesi alla cavità costiera impongono una apparenza emblematica: insieme alla penisola di Gaeta furono certamente distintivi all’identificazione degli approdi. Il nome “Altino” risale alle pergamene altomedievali relative un oratorio di San Michele presente nell’anno 830 e che nel 978 si specifica cenobio “in cilio montis qui vocatur de altino” e cioè “sul ciglio del monte che chiamano di altino”, dove Altino appare determinato come appellativo di una divinità. È attendibile che in epoca romana quel monte possente fosse così indicato come sede del massimo dio Giove: una iscrizione formiana menziona consacrato ad egli un “lucus”, ossia un particolare bosco da individuare in quella zona in passato estesamente alberata. Altino si ritrova come paese in provincia di Chieti, a circa 350 di quota e dove è anche un sito di Sant’Angelo, mentre la città di Quarto di Altino si riferisce ad “Altinum”, una città portuale al limite della piana veneta a circa due metri sul livello del mare, nome dunque che non si rapporta all’altitudine dei luoghi. La “Altinum” romana rimanda la denominazione alla sua omonima e massima divinità con un santuario e un “lucus”: era “Altno” di origine venetica e di non chiara identità, ma per suprema importanza usata come “epiclesi” di Giove. Ciò appare estraneo per distanza dei territori e culture, senonché il popolo degli Aurunci, chiamati Ausoni dai Greci, sono ritenuti appartenenti a quelle popolazioni indoeuropee del gruppo dei Latini-Falisci e proprio dei Latini-Veneti migrate nella Penisola nel primo millennio a. C.; dunque da “Altno” ad “Altinum” romana, risalirebbe l’indicazione di queste vette del territorio degli Aurunci. Sul monte Altino il cenobio di San Michele si trovava nell’ampio speco grondante perennemente acqua e sicuramente già protetta da una divinità pagana, ciò che certamente ha motivato l’imposizione dell’Arcangelo per purificare il luogo e sempre presente laddove caverne e burroni potessero richiamare gli inferi e la manifestazione del demonio. Dell’originaria costruzione nulla è rimasto; essa con pochi muri doveva chiudere le parti più basse dell’anfratto, per l’oratorio e per il rifugio dei monaci. l’edificio di culto giunto nella sua ultima forma settecentesca, proteso con cupola però assai degradato, sullo scorcio del 1800 venne avviato a rifondazione dall’intraprendente monsignor Ruggiero arciprete di Marànola: fu ispirato al Santuario di San Michele del Gargano, chiudendo parte dell’anfratto con una piccola facciata neogotica di pietra intagliata ed inaugurato nel 1895. Contestualmente si provvide al restauro della statua di San Michele di cui il Ruggiero identificò la pietra col peperino dei colli Albani. Venne portata a Roma alle cure dello scultore Giuseppe Blasetti (1826 – 1908) il quale, accreditando la remota tradizione locale, la stimò risalente all’età romana tarda o all’alto Medioevo e adattata alla figura dell’Angelo. Evidente è l’abbaglio, poiché l’impostazione della scultura è palesemente risalente all’età “moderna” e cioè dalla fine del 1400 ad almeno il 1600 e pertanto concepita dall’inizio come immagine di San Michele, confrontabile con la più pregevole statua venerata sul Gargano, di simili dimensioni e realizzata in marmo dall’insigne Andrea Sansovino nel 1507. In questa evidenza sulla base, oltre ad uno stemma e alla traccia dell’epiteto “Angelus / Victor”, è indicativa la sigla “P F” riconducibile a Pompeo Ferrucci, nato a Fiesole nel 1565, artista presente a Roma dal 1605 con una caratterizzata produzione nella ingente decorazione agli inizi del Barocco, iscritto all’Accademia di San Luca nel 1607 e morto nel luglio 1637. Si confronta così il San Michele con varie sue opere, anche ugualmente siglate, di cui la Madonna col Bimbo in marmo di circa il 1630 sull’ingresso del convento delle Maestre Pie in via delle Botteghe Oscure, appare con medesime modeste dimensioni, arti tozzi e segnatamente nella postura con la gamba sinistra rialzata su una pietra. Il peperino dei Colli Albani di cui è fatto il San Michele fa risaltare la sicura presenza del Ferrucci a Frascati con l’altorilievo marmoreo “La consegna delle chiavi”, firmato e datato 1611 e destinato alla Basilica Vaticana, ma poi adattato alla cattedrale suburbicaria di San Pietro tra aprile e maggio del 1612; nella stessa Frascati sono a lui ricondotti anche dei busti classicheggianti di peperino all’esterno di alcune ville gentilizie. La data del 1612 si compara a quanto riferisce il Ruggiero dei lavori per il nuovo santuario, dove sulla parete esterna all’attuale altare di Maria Ausiliatrice comparve sull’intonaco la scritta impressa a fresco “fatta nel 1612”. Questa collimazione di date induce a ritenere lavori di rifacimento nella chiesa rupestre contestuali la nuova statua, di cui il peperino sebbene non pregiato si prestava per resistenza all’umidità e al gelo. Questa circostanza evidenzia la figura Pedro de Onã, vescovo di Gaeta dal 1605 al 1626. Nato a Burgos nel 1560 e voluto a Gaeta da Filippo III di Spagna, era già stato collaboratore e Assistente al Soglio di Papa Paolo V, il committente dell’altorilievo poi adattato a Frascati, potendo perciò aver conosciuto il Ferrucci. A Gaeta egli si distinse come costruttore, zelante verso i competenti uffici vaticani e in attrito con i magistrati civici: eresse la chiesa di San Carlo Borromeo, consacrato quella di San Giacomo nel Borgo e atteso a lavori nella cattedrale in parte a sue spese, tra cui il succorpo. In questa attività di incentivazione degli edifici ecclesiastici è altamente probabile il suo diretto intervento in una azione di recupero della chiesa sul monte Altino e della collocazione del relativo nuovo simulacro di peperino, probabilmente nel 1612. Riguardo al trasporto della statua, si devono considerare gli scambi commerciali tra Gaeta e Roma via mare e poi sul fiume, tra i quali è documentata la destinazione al Porto di Ripetta delle olive in salamoia e dell’olio. La statua dell’Arcangelo Michele, dimostrata opera di Pompeo Ferrucci, si svela come vera e propria testimone del paesaggio, cioè della complessa stratificazione culturale relazionata agli aspetti naturali di questo territorio; da essa si è risalito a remote epoche evidenziando nel segno di religioni diverse la considerazione dell’uomo verso il divino, alla fede, che ora accompagnano tradizioni e identità. Come ha sottolineato il parroco Don Giuseppe Sparagna, queste acquisizioni non infrangono la memoria popolare, al contrario ne aumentano il valore nel vissuto di generazioni di credenti che attraverso quella statua hanno elevato preghiere e ricevuto grazie. La stessa conferenza, nella sobria chiesa trecentesca, con il folto e attento pubblico di fedeli, al cospetto del celebrato simulacro dell’Arcangelo e in riguardo al monumento del Redentore, si è avvertita come partecipato tributo di devozione.
DIDASCALIE DELLE IMMAGINI 1 – La prevalente sagoma del Monte Altino, risaltato nella cavità del golfo chiuso dalla penisola di Gaeta. 2 – La facciata del Santuario inaugurato nel 1895, in sostituzione di una cappella esterna con cupola. 3 – L’uniformità dei canoni compositivi tra la statua di San Michele dell’Altino e quella del Gargano, scolpita da Andrea Sansovino nel 1507. 4 – Rilievo dei contrassegni alla base della statua di San Michele, dove la sigla “P F” riconduce allo scultore Pompeo Ferrucci (1565-1637). 5 – Le simili proporzioni e la particolare postura delle gambe delle statue di San Michele e della Madonna con il Bimbo di Ferrucci (1630) in Roma.

Nessun commento:

Posta un commento