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giovedì 22 febbraio 2024

RICONOSCERE LA VIA APPIA ANTICA A FORMIA - di Salvatore Ciccone
La via Appia antica a Formia è argomento divenuto ricorrente a causa della richiesta all’UNESCO di promuovere l’intero percorso da Roma a Brindisi come “Patrimonio Mondiale dell’Umanità”. In verità la questione sembrerebbe indiscutibile, per la notorietà di questa strada connaturata alla stessa espansione di Roma e “regina” della estesa rete viaria dell’Impero. Così dovrebbe essere, se il suo tragitto contrassegnato ora dall’antico lastricato ed altre eccelse opere viarie, ora da monumenti sepolcrali riferiti alle antiche città da essa attraversate, fossero testimonianze sistematicamente preservate e visitabili, ma soprattutto se questo “bene” fosse realmente conosciuto e assunto come parte integrante dei “paesaggi” delle singole comunità; questo fatto è invece sporadico e rende una visione frammentaria cosicché si deve perorare la richiesta. Ora tornando Formia, in questa aspirazione di rilievo internazionale, la cittadinanza cosa conosce e di più quale valore assegna a questa strada di oltre 2300 anni e ancora indispensabile? Basti pensare che dal recupero della Tomba di Cicerone nel 1957, in occasione del bimillenario della morte a Formia del celebre oratore (7 dicembre 43 a. C.), nulla più si è fatto e il monumento tra i più caratteristici dell’intero tragitto è rimasto fino di recente incognito. Attualmente una tabellazione indica l’antico percorso in ambito urbano, ma nel tratto orientale erroneamente identificato nella sua variante medievale; invece prevale il riferimento alla “Via Francigena”, quel percorso che dalla Francia giungeva a Roma e che dopo il Mille ha anche riguardato il tragitto verso le sponde pugliesi di imbarco verso la Terra Santa; il progetto intendeva favorire attività turistiche minori e ci può stare, però dovendo segnalare la più antica e concreta strada, invece surclassata. Nella stessa città la via Appia è inconsapevolmente ripercorsa da quella “interna” lastricata con blocchi di basalto dai Borbone e che prima tutta si intitolava via Tullia, da Rialto a Mola, perciò riferita al nome di famiglia di Cicerone, ma che le amministrazioni comunali hanno poi dedicato ad Angelo Rubino, Ferdinando Lavanga, nonché all’Abate Tosti nel tratto di variante medievale: in ogni caso è stata soppressa l’identità dell’ Appia e in particolare nel rettilineo urbano che strutturava la città antica come “decumano massimo”. Dal punto di vista storico-topografico poi, la via che si considera nell’ambito comunale, in realtà attraversava il ben più esteso territorio antico di Formia, dal confine con “Fundi”, Fondi, all’imbocco inferiore della gola di Sant’Andrea, ora nel comune di Itri, per concludersi al territorio di “Minturnae”, Minturno in vicinanza di Scauri, circa al confine attuale. Così l’intero tratto formiano correva per 15 miglia (1 miglio romano = 1478,5 metri), dal miliare 79° al miliare 94° (attuali km. 127,00-149,00), tra i quali l’88° da Roma cadeva sul guado del torrente Rialto, ingresso occidentale della città: qui era il termine di 21 miglia ripavimentate da Caracalla nel 216 dopo Cristo, sovrapponendo al lastricato calcareo quello più duraturo di basalto, come attesta l’iscrizione miliaria riutilizzata nel campanile di S. Giovanni a Monte S. Biagio. Si deve infatti ricordare che la via iniziata nel 312 avanti Cristo dal censore Appio Claudio Centemmano detto Cieco poté raggiungere in soli due anni Capua contro i Sanniti perché semplicemente inghiaiata, seppure su strati di pietrame per assicurarne durevolezza; solo qualche anno dopo venne rivestita con pietra dei luoghi attraversati e dopo oltre un secolo raggiunse Taranto e Brindisi. Ora è opportuno focalizzare le testimonianze di competenza dell’attuale territorio di Formia. Venendo da Itri la Statale devia dall’antico rettilineo per sottopassare la ferrovia Roma-Napoli, accanto la quale (km. 136,500) affiora un tratto basolato con “in situ” il miliario LXXXV di Nerva, imperatore dal 96 al 98 dopo Cristo, elevato su piedistallo risalente ai lavori viari degli anni 1930. Tale presenza è per lo più sconosciuta e del tutto ignorata, resa dal traffico di insicuro accesso, nonché in deplorevole abbandono e degrado. Giungendo sulla pianura in vista del mare, dove incrocia la via Canzatora, antica diramazione verso il “Portus Caietae”, domina la visuale il rudere turriforme della Tomba di Cicerone (km. 139,200). Il sepolcro è compreso in un’area funeraria recintata rettangolare di oltre 5.000 metri quadrati e presenta una struttura a pianta quadrata in blocchi calcarei con lato di circa 17 metri che comprende una cella circolare e a cui si sovrappone un fusto cementizio con altezza totale di circa 19 metri. Recenti studi restituiscono al monumento di prima età augustea un rivestimento di marmo, superiormente in forma di tempio circolare con semicolonne sormontato da statua equestre di bronzo dorato, alto in tutto 100 piedi romani, metri 29,50. Inoltre si è evidenziato che il recinto sulla strada lungo oltre 85 metri ha implicato la modifica in piano di un più lungo tratto della via Appia, ciò ammissibile solo per determinazione pubblica e che avvalora la tradizione risalente almeno al X secolo che attribuisce il monumento e la zona a Cicerone. Inoltre nel recinto venne sepolta parte di una via lastricata che giungeva al litorale di Vindicio separando due ville, delle quali i resti in proprietà Lamberti sono nella stessa striscia di terreno con il sepolcro, interrotta dalla via litoranea. Ciò confronta le fonti antiche sul “Formianum” di Cicerone che lo dicono esteso per un miglio dal mare in altura, dove in effetti sono i resti di una villa rustica e dall’Appia si scorge il rudere indicato dalla tradizione Tomba di Tulliola, la figlia di Cicerone, dalla quale proviene una statua funeraria femminile ora presso il Museo Archeologico di Formia. In prossimità dell’ingresso di Formia (km. 140,500), la via Appia si allargava con tratto basolato in curva a comprendere una fontana, composta di una lunga parete in opera quadrata modanata con aderente al centro l’abbeveratoio alimentato da due maschere forse di Acheloo, divinità fluviale: la fontana risale al rifacimento viario di Caracalla, poiché sorta sul nuovo livello della strada, mentre il più antico lastricato calcareo è stato rinvenuto negli anni 1930 a circa metri 1,20 di profondità. Molti basoli accantonati sono stati illecitamente asportati dal lastricato sotto l’attuale carreggiata durante la posa di un impianto, mostrando tutta la fragilità di questa nobile strada nelle dinamiche attuali. La fontana è preceduta sul lato monte dai resti di sepolcri, dei quali evidente è quello a forma di torretta ottagonale a fasce sovrapposte di laterizi e blocchetti di calcare, “opus vittatum” di epoca imperiale. Poco prima, meno visibile, è di recente scavo il nucleo cementizio di un sepolcro, nel luogo di provenienza di iscrizioni di liberti della “gens Vitruvia” e di quella di età augustea di un Marco Vitruvio, dagli umanisti riferita all’autore del celebre trattato di architettura e riutilizzata nel Cinquecentesco Ponte di Rialto, 500 metri oltre la fontana. Da questo contesto sono venuti in luce sepolture con corredi funerari, mentre lo studio della struttura ha ipotizzato un sepolcro in forma di altare con fregio dorico: per paradosso i due ruderi vengono fatti ricoprire da rampicanti. In ambito urbano la via Appia ripercorre le vie Rubino e Lavanga per circa un chilometro e costituiva il decumano massimo della città. In corrispondenza del Foro (piazze Buonomo e Mattej), incrociava l’ortogonale cardine massimo (vie Castello e Gradoni del Duomo del medievale Castellone,) tangente ad occidente i resti del teatro (vico Teatro) e connesso all’arce cinta da mura poligonali (VI-IV sec. a. C.), in piazza S. Erasmo con porta sulla via originaria. Il tratto terminale del decumano (via Lavanga, trav. via XX Settembre) era interessato all’anfiteatro, risalente alla prima età augustea, opportunamente situato in vicinanza della insenatura portuale oggi colmata (largo D. Paone), aggirata a monte dalla via dove appunto resta il nome Caposelice cioè il capo del rettilineo selciato, aspetto che rappresenta il fatto più notevole della topografia della via Appia nell’antica Formia. Infatti fino di recente si è ritenuto che la strada ripercorresse quella del borgo di Mola, cosa inammissibile per il percorso contorto e promiscuo agli approdi. Essa invece svoltava e percorreva l’attuale via della Conca, interrotta in via Maiorino, ma che proseguiva passando vicino l’acquedotto su arcate del II-I secolo avanti Cristo il cui serbatoio terminale presenta un lato sghembo in quanto allineato alla carreggiata certamente come prospetto di una fontana pubblica. Recentemente in uno scavo condotto nei suoi pressi è affiorata la massicciata viaria disfatta, in questa zona acquitrinosa contenuta da muro poligonale; nello stesso luogo è inoltre documentato il sepolcro della gente Cesia (iscrizione presso il Museo) e affioramenti di basoli del selciato. È probabile che a fine Duecento la costruzione nel borgo del castello angioino o Torre di Mola per motivi strategici determinò la cancellazione del tratto che lo aggirava e allagato il suolo. Oltre la piazza Risorgimento, La via Appia prosegue con tipici rettilinei ad oriente ricalcata da quella moderna. In località S. Pietro (km. 144,600) è fiancheggiata a monte dall’imponente nucleo cementizio parallelepipedo di un sepolcro detto Torricella, identificabile nel tipo ad edicola e alla prima età augustea, ma di titolare incognito, probabilmente pertinente ad una villa; è comunque l’elemento distintivo del tratto orientale fino all’antica “Minturnae” sul fiume Garigliano. Oltre il sepolcro (km. 145,350), nel 1998 venne in luce parte del lastricato, mentre nel lapidario di Villa Caposele (Rubino), una colonna miliare reca il 92° miglio ricadente presso l’incrocio di via Gianola (km. 146,900) e attesta un rifacimento della strada nell’impero di Massenzio tra il 307 e il 312. Queste le principali evidenze del tragitto formiano della via Appia antica e le minime conoscenze per considerarne il valore, le problematiche conservative e una valorizzazione della via, intrecciate all’attuale uso che ora ne rende difficile una adeguata fruizione. Si deve quindi auspicare una maggiore consapevolezza insieme alle specifiche competenze, poiché altrimenti l’assegnazione della via Appia a Patrimonio Mondiale dell’Umanità non recherà che vani benefici alla cittadinanza.
Bibliografia essenziale S. Ciccone, Origine e sviluppo della viabilità nel territorio antico di Formia, in “Storia Illustrata di Formia”, Sellino Editore – Comune di Formia, vol. I, p 83 segg., Pratola Serra 2000. Idem, Il sepolcro formiano di Marco Vitruvio, in “Formianum” VII-1999, p. 45 segg. Idem, Osservazioni sull’architettura della Tomba di Cicerone a Formia, in “Formianum” IX-2001, p. 11 segg. L. Quilici, Santuari, ville e mausolei sul percorso della via Appia al valico degli Aurunci, in “Atlante tematico di topografia antica, Acta 13 – 2004, p. 441 segg.
Didascalie delle immagini 1 - Miliare di Nerva sulla via Appia presso il confine con Itri. 2 – Ricostruzione della Tomba di Cicerone (Ciccone 2001). 3 – Resti del sepolcro di Marco Vitruvio con corrispondente ricostruzione (Ciccone 1997). 4 - La Fontana Romana e i pozzi sul precedente lastricato negli anni 1930 (da Quilici). 5 – Il sepolcro detto Torricella in contrada S. Pietro. 6 – Affioramento del lastricato della Via Appia sul tratto orientale.