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mercoledì 17 aprile 2024

LA FONTANA ROMANA A FORMIA: QUELLO CHE NON APPARE - di Salvatore Ciccone
Con l’avanzare dell’età ripenso ai miei studi di architettura e alle origini di un personale percorso che radica nella mia terra e in una propensione di andare oltre ciò che appare. Così ho trovato il mio primo articolo nelle pagine della “Gazzetta di Gaeta”, rivista mensile ideata e diretta da Gaetano Andrisani (+ 2010) riprendendo nel 1973 la testata borbonica: il numero è datato 25 aprile 1974, dunque esattamente cinquant’anni orsono; s’intitola “La Fontana di S. Remigio” e si svolge in una sola pagina pur di ampio formato e alla quale si rimanda per la descrizione (fig. 1). Allora frequentavo il quarto anno del Liceo Scientifico E. Fermi di Gaeta e ricordo come durante una lezione di storia dell’arte, il prof. Salvatore Dell’Anno propose agli studenti la possibilità di pubblicare sulla rivista una sorta di tesina su qualche aspetto storico-artistico del territorio del Golfo. Fui l’unico ad aderire, con entusiasmo ma anche con l’ansia di un esordio pubblico, benché partecipe dell’Archeoclub di Formia fondato nel 1973. Senza dilungarmi oltre, da quell’articolo fui mosso alla conoscenza del patrimonio storico di pari al condividerlo pubblicamente, con studi non per questo banali ed anzi protesi oltre le comuni apparenze. Da allora, articolo su articolo ho percorso varie opportunità editoriali soprattutto a Roma, già frequentandovi la Facoltà di Architettura. Oggi compio cinquant’anni di questa attività, con decine e decine di lavori sul territorio di Formia e non solo, talvolta rinvenuti da amici come rari reperti, citati, ma anche copiati o deliberatamente taciuti, errori compresi; sì errori, perché è inevitabile farli se ci si vuole afferrare realtà lungamente oscurate dal tempo. La Fontana Romana è un raro monumento del genere, ancora di più se si considera che ha mantenuto fino agli anni 1970 attiva la sua funzione per uomini e animali lungo il tragitto della via Appia, “la regina delle vie” realizzata dal censore Appio Claudio il Cieco da Roma a Capua dal 312 al 310 prima di Cristo: ma quando fu realizzato l’abbeveratoio? Spontaneamente si potrebbe pensarlo coevo o di poco più recente, comunque d’età repubblicana. Invece, conoscendo approfonditamente la storia della via (cognizioni che io all’epoca non possedevo), risulta che esso è almeno di 500 anni dopo, in pieno Impero. Infatti la via in principio era “glareata” ossia inghiaiata su profonda massicciata drenante, solo qualche anno dopo iniziata ad essere lastricata con le pietre dei luoghi attraversati: dunque il tratto formiano con calcare, non con il grigio di basalto lavico che caratterizza l’antica via proprio davanti la fontana. Di quest’ultimo si sa l’epoca esatta, il 216 dopo Cristo e l’autore, l’imperatore Caracalla, quello che ordinò le imponenti terme a Roma: ciò è noto da una sola iscrizione su colonna miliare murata nel campanile della chiesa di S. Giovanni a Monte San Biagio, dove si afferma che “la pavimentazione di pietra bianca rovinata” fu sostituita con “nuova selce” per 21 miglia (circa 31 km), come desumibile dalle relative indicazioni dal miglio 67 fino al miglio 88 che cadeva sul guado del fossato Rialto all’ingresso di Formia, quindi al suo finire comprendendo la fontana. Ciò non sembra dare alcuna indicazione se non si considerasse la modalità della ripavimentazione che acclara lo spirito pratico dei Romani, cioè sovrapposta alla precedente alzando anche più di un metro il livello. Il fatto si è provato quando verso il 1935 per addolcire la curva della strada su progetto dell’architetto Giovannoni, si rinvennero un ponte e l’antico lastricato calcareo sotto quello lavico, visibile in due buche oggi colmate (fig. 2). Quindi la liscia parete a blocchi squadrati di contenimento all’abbeveratoio, mostra la parte rifinita della cornice di base partire dai basoli vulcanici, ai quali non poteva che essere almeno contemporanea: la monumentalità della fontana si giustificherebbe a celebrare la conclusione della ristrutturazione viaria. In tutta la fontana diversi elementi con frequenti inesatte giunzioni, mostrano fori di fissaggio di un diverso loro impiego e perciò provenienti da una precedente altra costruzione; inoltre la vasca, anche se di consueta la semplicità, stride con la finitura della parete alla quale è palesemente adattata scalpellando la cornice basale. L’acqua fluiva tramite due mascheroni circolari (fig. 3) di cui solo quello orientale ancora interpretabile, mentre l’opposto è molto consunto perché scolpito su pietra arenaria dorata locale, anomalia che si accompagna alla riproduzione di tratti di cornici: la diversa dimensione e colore delle maschere mi portò a ipotizzare che rappresentassero il sole e la luna; in realtà quella distinguibile mostra capelli e barba in forma di flutti che riconducono ad Oceano, mitologico padre delle acque. Nella parte superiore della parete, dietro il muro cementizio, si trova il serbatoio voltato di accumulo e decantazione lungo e largo quanto la vasca (circa metri 5 x 1), che fino ai primi del Novecento alimentava la fonte, prima che lo fosse dall’acquedotto pubblico. Il serbatoio si raggiungeva per le ispezioni da una scaletta sull’anta orientale della parete e poi sopra questa con un’altra circa centrale, dove sembra apparire una nicchia forse parte di un fastigio congruo al monumento: si rappresentano già in una incisione del Rossini del 1839 (fig. 4), dove inoltre compaiono tre mascheroni, palese espediente correttivo. Nel serbatoio terminava uno stretto speco coperto da volta che di allungava circa 300 metri a monte, in parte scavato in roccia con varie diramazioni laterali, intervallato da torrini di sfiato e di ispezione, evidenziati come “lanternini” in una mappa del Mattej (fig. 5). Si trattava di un sistema di captazione “a radice”, tale da intercettare l’acqua di una vasta area sotterranea. Quello che appare di un monumento è sempre parte di una più complessa realtà, di architettura e di storia, quale più completo valore di una testimonianza di civiltà: ciò risalta in questa fontana, insieme alla necessità di un ripristino dell’elemento vitale connaturato alla sua funzione perciò trasmessa per diciotto secoli.
Bibliografia: S. CICCONE, La fontana di S. Remigio, “Gazzetta di Gaeta”, 25 aprile 1974, p. 3 (67); IDEM, La via Appia nell’evoluzione del sistema urbano di Formia nell’Antichità e nel Medioevo, “Formianum”, Atti del Convegno II-1994, Marina di Minturno 1995, pp. 43-55; L. QUILICI, Santuari, ville e mausolei sul percorso della via Appia al valico degli Aurunci, “Atlante Tematico di Topografia Antica”, Atta 13-2004, pp.532-537.
Didascalie immagini 1 – L’articolo pubblicato nel 1974 sulla Gazzetta di Gaeta. 2 – Scavi del 1935: basolato calcareo sotto quello lavico di età imperiale (da Quilici). 3 – I mascheroni a confronto, l’occidentale su arenaria (sinistra), l’orientale su calcare. 4 – La fontana nell’incisione di Rossini con le due scale di accesso al serbatoio (1839). 5 – Stralcio della mappa di Mattej (1868): la fontana e i “lanternini” dell’acquedotto (frecce).