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sabato 26 novembre 2022

LA STAZIONE FERROVIARIA DI FORMIA

Quando il 3 maggio 1892 entrò in funzione la Stazione Ferroviaria di Formia, sulla linea Gaeta-Formia-Sparanise, nessuno avrebbe mai immaginato quale importante futuro era destinato a questo piccolo scalo ferroviario con solo due binari. Infatti, il 16 luglio 1922, veniva inaugurato il primo tronco ferroviario da Roma a Formia e la nuova Stazione ferroviaria di Formia sulla “Direttissima Roma-Napoli”, una delle più importanti opere portate a termine dal regime fascista tra il Lazio e la Campania. Da tempo si parlava di una nuova linea ferroviaria che collegasse Roma a Napoli in breve tempo, in alternativa alla lenta Roma-Segni-Cassino-Napoli, già in funzione dal 1863 e che aveva interessato tre differenti amministrazioni statali: Lo Stato Borbonico, il neonato Regno d’Italia e lo Stato Pontificio. Il primo progetto della Direttissima porta la data dell’anno 1871, ma soltanto nel 1907, con apposita legge sulla progettazione di nuove ferrovie, fu affidata all’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato la costruzione della Direttissima. La nuova linea, per la quasi totalità prettamente in rettifilo, con pochissime curve d’ampio raggio, pendenze insignificanti, assenza di passaggi a livello e soprattutto a trazione elettrica, consentiva una maggiore velocità di quella a vapore e avrebbe ridotto di circa un’ora e mezza il viaggio tra Roma e Napoli, portandolo a tre ore, in luogo delle quattro e mezzo della linea Roma-Segni-Cassino-Napoli. I lavori della costruzione della nuova linea iniziarono nel 1907; nel tratto che da Formia conduce al fiume Amaseno, furono comprese le due gallerie più lunghe di tutta la linea, quella di Priverno-Fossanova e quella di Fondi-Sperlonga, di circa 7 km. cadauna. I lavori di traforo delle gallerie durarono 5 anni e furono completati nel 1912, quando il resto della ferrovia era ancora all’inizio. Allo scoppio della prima guerra mondiale i lavori vennero sospesi e ripresero proseguendo a rilento nel 1920. Con l’insediamento del governo fascista venne dato una forte impulso ai lavori che proseguirono con celerità, tanto da ultimare il primo tratto fino a Formia già nel 1923 e concludersi, come preventivamente determinato, nel 1927. L’inaugurazione della stazione di Formia, avvenne alla presenza del re Vittorio Emanuele III, con una fastosa cerimonia presenziata da autorità civili e militari locali e nazionali. 
Fino al completamento della Direttissima avvenuta nel mese di ottobre del 1927, i treni provenienti da Roma, a Formia venivano istradati sul vecchio tratto della linea Gaeta-Sparanise fino a Caserta, per poi raggiungere Napoli sul vecchio tronco ferroviario. L’interessante denominazione Direttissima pare sia opera di un deputato napoletano che, affine ad usare i superlativi, la chiamò così nei suoi interventi di preparazione alla legge ferroviaria, e tanto piacque che ne divenne il toponimo indiscusso. Gli eventi bellici dell’ultimo conflitto mondiale non risparmiarono la stazione ferroviaria di Formia che venne quasi totalmente distrutta, rimanendo inattiva fino al mese di luglio del 1949, quando i lavori di ricostruzione riconsegnarono una nuova stazione più moderna, senza le pensiline di metallo in stile Liberty e con il numero dei binari portato a cinque, tutti a servizio dei passeggeri.
Nel 1926, la Stazione di Formia partecipò al "Concorso Abbellimento Stazioni", ricevendo un'ambita medaglia di vermeil.

Nelle immagini :
Nell'immagine il frontespizio, e uno stralcio su Formia della corografia del progetto originale della direttissima Roma Napoli, il giorno dell'inaugurazione avvenuta il 7 luglio 1922 e il riconoscimento ricevuto nel 1926.

mercoledì 23 novembre 2022

GIÀNOLA: NATURA E ARCHEOLOGIA ESALTATA DAL CEMENTO - di Salvatore Ciccone
Non sono molte ore che il giornalista Saverio Forte ha pubblicato sul suo blog (vedi in calce) una mia esternazione circa le opere compiute nell’area archeologica della “Villa di Mamurra” nell’area naturale protetta di Giànola compresa nel Parco regionale “Riviera di Ulisse”. La notizia porta sul piano della polemica, genericamente assunto come inefficace, un accadimento certamente serio e imbarazzante per il contesto istituzionale coinvolto; pertanto, chiamato in causa, condivido qui la pagina di cronaca per sollecitare la pubblica opinione con alcune mie aggiuntive considerazioni. L’istituzione delle riserve naturali protette, come quella di Giànola, hanno lo scopo di conservare ambiti armonizzati di natura e di cultura, incentivando le attività ad essi congeneri e assicurandoli alla pubblica godibilità come esemplari all’apprendimento di un adeguato rapporto tra sviluppo e ambiente. Il recupero dell’edificio ottagonale sulla sommità della villa romana, motivato dall’esponenziale degrado a seguito del diroccamento nell’ultimo conflitto, è passato attraverso un concorso di selezione dei progetti aggiudicando quello redatto da me insieme al collega ingegnere Orlando Giovannone. Con l’accordo d’obbligo della Soprintendenza Archeologica del Lazio si prefisse l’obiettivo di istituire un cantiere permanente e visitabile per garantire la prosecuzione delle indagini e degli scavi solo al termine dei quali definire il tipo di intervento di parziale ricostruzione e copertura. Nello svolgimento delle opere fu rigorosissimo l’approccio alle opere imponendo due varianti al progetto e limitandole al minimo nel rispetto delle testimonianze nell’area naturale di cui esse costituivano basilari fattori di caratterizzazione: l’area scavata dell’edificio venne coperta con struttura a tubi e giunti “Innocenti” però resa più stabile e duratura. Concluse le opere con successo, invano si è attesa l’apertura al pubblico finché la succeduta Soprintendenza di nuovo ordinamento ha ottenuto di poter gestire tutta l’area centrale della villa, circa 10.000 metri quadrati, recintarla, progettare d’ufficio le opere e di appaltarle con finanziamento del Ministero dei Beni Culturali di circa 800.000 euro. Risultato: Recinzione con pannelli di rete e pesanti cancelli, circa 200 metri lineari di viali di calcestruzzo larghi due metri con piazzole, da ambo i lati cinti da transenne di castagno, alterazione dei livelli dell’antico giardino con scavo del terreno soprastante la cisterna “Trentasei Colonne”, piazzale di accoglienza dominato da avveniristico wc ma per una sola persona, sostituzione della copertura sull’edificio ottagono con un’altra definitiva in putrelle di acciaio…Tutto questo quando prima ci si era limitati come si doveva alla terra battura e alle più invisibili soluzioni, ad una evoluzione di interventi e non ad una mediocre definitiva “musealizzazione”. Devo subito dire che la critica ovviamente non è diretta all’impresa appaltatrice e direi neppure al progettista, ma di certo solo ed esclusivamente a chi e per conto della Soprintendenza con queste opere ha materializzato tutta la sua incompetenza e arrogante insensibilità verso l’area. Tutto questo comunque non sarebbe potuto avvenire se l’Ente Parco avesse preteso il giusto orientamento e vigilato come si doveva sul suo istituto di prioritaria competenza. Pare invece, anzi è stato asserito, che il Parco si è limitato a consegnare l’area alla Soprintendenza e che in essa sono state ottimamente eseguite le opere che ne danno maggior lustro. Se lo scopo dell’area protetta è quella di proteggere l’ambiente e di farne promozione, non so con quale giustificazione si potrà proporre la stesa di cemento al pubblico e alle scolaresche. Il solo rispetto della ‘filiera’ burocratica e le pretese competenze istituzionali non basteranno a giustificare questo danno di fronte all’opinione dei cittadini. Non creda chi ha responsabilità di seppellire questo abominio nella noncuranza generale e piuttosto si affretti a trovare un rimedio assolutamente imprescindibile, anche se costoso, di vero e proprio restauro ambientale.
Le immagini Alcuni tratti di viali e piazzali di calcestruzzo, di “labirinti” staccionati e sconvolgimenti di livelli nella parte centrale della Villa di Mamurra afferente l’edificio ottagonale.

lunedì 21 novembre 2022

DILUVI SUL PAESAGGIO DI FORMIA - di Salvatore Ciccone
Di recente nel territorio di Formia si registrano fenomeni alluvionali a corti intervalli e particolare violenza. Le “bombe d’acqua” sono ormai temibili per l’effettiva quantità della precipitazione in un breve lasso di tempo e per concentrazione. È questo sicuramente un effetto dei cambiamenti climatici, tuttavia i fenomeni amplificati evidenziano gli squilibri apportati da una improvvida espansione urbana. Pesanti alterazioni dei livelli del suolo, incremento abnorme di piccole e grandi coperture, distese di piazzali e nastri d’asfalto, raccolgono l’acqua delle piogge senza un commisurato sistema di smaltimento, andando direttamente ad alimentare piccoli scoli e torrenti che inevitabilmente straripano e furiosamente devastano ogni cosa. Al suolo è impedita la sua naturale permeabilità e di assorbire parte delle piogge, capacità tanto più elevata quanto maggiore è la copertura vegetale fino a quella massimamente evoluta a bosco, le cui chiome ammortizzano e distribuiscono nel tempo l’impatto delle precipitazioni. Se così fosse sulle nostre colline e montagne, dai rubinetti non verrebbe acqua terrosa e che è quella che scivola tra le nude rocce intercalate da poca terra, privata di vegetazione da ostinati incendi, che poi si infiltra inquinando le falde… Quanto accade è responsabilità di un modello di società che nello “sviluppo” è discriminante all’ambiente, usando scorciatoie e paradossi tecnologici, negli ambiti di scarsa cultura concretizzato nell’edilizia scadente almeno nei confronti del rispetto del territorio. Così si osserva l’avanzare informe della città sulla terra abbandonata, incolta e bruciata per la quale l’unica soluzione attesa di ricchezza consiste nel ricoprirla di cemento e di asfalto. I fenomeni alluvionali hanno quindi evidenza dove l’uomo vuole strappare alla natura i propri spazi senza osservare le leggi di quella, tanto semplici quanto imprescindibili. Anche nel passato Formia è stata vittima di alluvioni e dissesti idrogeologici. Tra i più recenti sono quelli procurati col passaggio della ferrovia, la cui sede ‘a riporto’ imposta ai piedi del monte di Mola ha impedito il naturale deflusso delle acque fino a causare instabilità di edifici in via della Conca: si dovette consolidare il suolo con una complessa ‘palificata’ di cemento armato. I più anziani ricorderanno le colate di fango che da via Cassio presso il “Cimitero vecchio” giungevano ad invadere piazza Santa Teresa, rimosse poi con improvvisate squadre di spalatori: erano dovute dall’accumulo dell’acqua sul fianco a monte della ferrovia e che in supero si riversava nella strada. Questa parte della città è testimone di più antiche alluvioni, come si è potuto constatare nei vari scavi edilizi all’incrocio tra via Rubino, via Nerva e XXIV Maggio dove i reperti si sono trovati sepolti a considerevole profondità. La possibilità di documentare meglio questa condizione si è avuta con l’apertura della trincea per il collettore fognario in via Vitruvio nel 1998-2000 e che ho seguito per conto della Soprintendenza Archeologica del Lazio. In particolare nella zona della “Quercia” delle strutture romane che contenevano il salto di quota sull’insenatura portuale, si sono trovati colmati con un terreno compatto e scuro spesso circa quattro metri e tutto di composizione omogenea, il quale quindi privo di alterne stratificazioni testimoniava una vera e propria colata di fango. Simile situazione si è manifestata procedendo fino in corrispondenza di piazza Della Vittoria, dove già si sapeva che un pari spessore ricopriva le volte di un criptoportico e quasi schiacciato sotto l’enorme peso; invece nel livello più alto della costruzione intercettato dalla trincea, nella colmatura alluvionale delle stanze sono affiorate sepolture con vasellame databile intorno al VI-VII secolo dopo Cristo. Il fenomeno si è ugualmente evidenziato nel parziale scavo dell’anfiteatro compiuto dalla Soprintendenza Archeologica nel 2011. L’edificio è apparso sepolto sotto una analoga ingente massa alluvionale tanto da determinare il verso di frammenti strutturali. I fusti di colonne che componevano il portico di coronamento che proteggeva le gradinate di legno, sono apparse abbattute e dirette verso il mare, come sospese sopra l’ambito dell’arena: trovati anche frammenti dei capitelli, alcuni dei quali “corinzieggianti” in precedenza recuperati sono presso il Museo. Insomma appare chiaro che Formia fu vittima di una eccezionale colata alluvionale sul tipo di quella recente d Sarno, in entrambi i casi per liquefazione e smottamento del terreno dalla montagna a ridosso: il monte di Mola infatti presenta un doppio profilo più acclive nella parte bassa, certamente favorevole all’insorgenza del fenomeno. Quando e perché ciò è avvenuto appaiono interrelati: l’epoca di quelle sepolture annovera fatti storici che sicuramente hanno condotto alla decadenza della Città, dalla guerra Greco-Gotica ai Longobardi. Ciò deve aver condotto all’abbandono e incuria dei terreni o all’incendio di un bosco ceduo, privando il terreno di solidità che a fronte di abbondanti precipitazioni è scivolato invadendo la città; questo sarebbe comprovato dall’abbondanza di reperti non soggetti a spoliazione, evento che potrebbe aver maggiormente determinato il suo declino. Questo suolo soprastante le strutture, stanze e pavimenti, infiltrato dall’acqua delle colline, facilmente si impantanava e si chiarisce perché fu successivamente caratterizzato da estensiva coltivazione degli agrumi, piante cui necessita un terreno costantemente pregno d’acqua. L’area dell’antica città declive verso il mare fu ridotta a giardino persino versando terra sopra le sostruzioni a volta delle ville, uniche ad apparire dal seppellimento sulla riva contesa dal mare. Appare evidente come nel paesaggio, determinato da fattori naturali e umani, le alluvioni siano in ogni modo influenti nella nostra vita e le loro cause necessariamente da prevenire e certo non da incentivare. A ciò vale l’opera di divulgazione e sensibilizzazione nella popolazione attraverso i media, in cui i fatti storici come quelli qui appena accennati costituiscono tangibile prova. Nel raggiungimento di questo obiettivo è l’istituzione delle riserve naturali protette, le quali hanno lo scopo di conservare ambiti equilibrati di natura e di cultura ed anzi incentivarne le attività ad essi congeneri, assicurandoli alla pubblica godibilità e esemplari all’apprendimento di un adeguato rapporto tra sviluppo e ambiente alternativo all’imperante cementificazione; però esso stesso è insidiato da incompetenza e manifestazioni di potere: il principale diluvio sul paesaggio di Formia.
Didascalie delle immagini 1. veduta aerea dello scavo dell’Anfiteatro con l’ingente seppellimento evidenziato dalle opere di provvisorio contenimento. 2. Stanza decorata in finte lastre di marmo (Primo Stile) affiorata dal sedimento alluvionale in via Vitruvio presso piazza Della Vittoria. 3. Veduta della parte centrale dell’area archeologica nell’Area naturale protetta del Parco regionale “Riviera di Ulisse”.

sabato 12 novembre 2022

ULTERIORI CONSIDERAZIONI SUL PAESAGGIO DEL “FORMIANUM” - di Salvatore Ciccone
Nel precedente articolo ho spiegato il significato di paesaggio in relazione alla parte del territorio individuata come il “Formianum”, cioè la villa o tenuta di Cicerone dove egli trovò la morte il 7 dicembre del 43 avanti Cristo. Il sito comprenderebbe parte del litorale di Vindicio, della retrostante piana di Pontone e della immediata altura dell’Acervara, separata dalla via Appia dove si staglia il rudere del sepolcro tramandato a suo nome. Qui testimonianze archeologiche concernono l’antica viabilità, opere idriche e approdi relativi a resti di residenze costiere di cui una eccelle in rapporto con il sepolcro e con la sovrastante collina. Ho evidenziato la differenza tra paesaggio e panorama, il primo insieme di fattori ambientali e culturali, di cui il secondo è l’ampia parte visibile. Questa cognizione è importante soprattutto di fronte alle convulse trasformazioni attuali, che vengono imposte devastando il retaggio culturale e mortificando i panorami: infatti in relazione ai guasti visuali di un sito, subentra la logica del declassamento per avallare interventi di più ampio e definitivo disfacimento. Ciò è errato, in buona fede, ma in molti casi voluto in una logica che vuole forzatamente imporre ed anzi sfoggiare potere dove nessuno oserebbe e dove la legge stabilisce. Anche quando un panorama fosse stato rovinato, il paesaggio potrebbe conservare buona parte delle componenti valoriali potenzialmente integre, risorse ancorché sotto specifica tutela da utilizzare sia all’incremento culturale che al miglioramento economico della comunità locale; comunque quest’ultima finalità non va assunta come esclusiva. Detto questo, rivediamo il problema di quest’area di grande pregio che nel passato ha destato ammirazione, ispirato artistiche espressioni di cui solo alcune già presentate, e che oggi si trova in un accavallare di contingenze pregresse, nell’accrescimento di attività e sovraccarico viario, ulteriormente gravato dall'accrescimento del finitimo porto di Gaeta. Tale circostanza non permette di questo importante tratto della via Appia antica, un adeguato utilizzo sul piano turistico al punto che è arduo fermarsi presso la Tomba di Cicerone o alla successiva Fontana Romana verso Formia, di percorrerlo cioè come si conviene in sicurezza e in condizioni confacenti per recepirne i valori di indiscutibile importanza. Tra le altre presenze culturali proprio in vicinanza della Fontana si erge un sepolcro a torretta ottagonale e ne sono stati posti in luce i resti di un altro che si riconnette a famose iscrizioni tra cui quella di un Marco Vitruvio, molto probabilmente riconducibili al celebre architetto di Cesare ed Augusto: purtroppo questo sepolcro, vincolato ma inosservato, è fatto volontariamente inghiottire da edere poiché ritenuto di aspetto indecoroso… Come si vede, ai problemi indotti dallo sviluppo si registra una generalizzata assenza di consapevolezza del patrimonio identitario, con l’effetto di accelerare i fenomeni di depauperamento sulla media e lunga prospettiva. Pertanto il soddisfacimento delle necessità indotte dalla produzione sul territorio deve partire dal riconoscerne tutte le potenzialità in modo da stabilire che interventi non solo non siano lesivi, ma rappresentare l’opportunità per ulteriormente preservarne le peculiarità e utilizzare al meglio le componenti: una “coltivazione” del paesaggio per tramandarlo con valori acquisiti; un processo che altrove stabile rende ricche e rinomate fino le più piccole comunità. La soluzione per ottenere dallo sviluppo benefici per il “Formianum” e il connesso tratto monumentale della via Appia, sta nello stabilire la gerarchia dei percorsi veicolari che devono distinguersi tipologicamente e pertanto finalizzati alle specifiche necessità. Il problema attuale è che il traffico delle merci è commisto a quello delle autovetture e costretto a transitare pericolosamente verso Formia sulla via Appia-Cicerone e per via Vindicio collegarsi alla Litoranea “Flacca”; non di meno lo è quello tramite via Canzatora che separa Formia da Gaeta. Ora sarebbe inconcepibile la soluzione di un ulteriore raccordo che connettesse direttamente la Flacca dal confine di Gaeta alla via Appia in prossimità della Tomba di Cicerone, senza risolvere ed anzi rendere più critico il traffico proprio in corrispondenza del celebre monumento, magari con la pretesa di porlo in maggiore visibilità, ma che lo lederebbe irrimediabilmente insieme al suo ambito campestre, dopo il passaggio della Litoranea di nuovo amputato nella sua distesa continuità verso il mare. A scongiurare questo minacciante scenario, la soluzione esiste già ed anzi è stata realizzata recentemente sia pure in maniera approssimativa ed è la ‘bretella’ che dall’Appia presso i “25 Ponti” passa tra il monte Conca e monte Lauro per biforcare nella via di Arzano diritta al nuovo porto di Gaeta e in quella verso la Piana di Sant’Agostino; si tratta solo di riadeguarne la carreggiata e alcuni passaggi del tracciato commisurati in funzione dello scalo marittimo. I vantaggi sarebbero immediati, non solo per il territorio di Formia, ma anche per larga parte di quello di Gaeta poiché questo percorso potrebbe svincolarla di gran parte del traffico sulla costiera di uso turistico e propriamente urbano, con una variante dalla stessa Piana litorale. Tale bretella verrebbe convenientemente allacciata alla progettata viabilità pedemontana dalla zona di “Piroli” ai “25 Ponti” e da qui verso Formia tutto il tracciato della via Appia risulterebbe sgravato del traffico pesante insieme agli odierni collegamenti con la litoranea. A seguito di ciò sulla via Appia, dall’incrocio Canzatora verso Formia, diventerebbe attuabile una percorrenza privilegiata a prevalenza pedonale e ciclabile, con aree di sosta adeguate ai torpedoni turistici; il paesaggio verebbe di conseguenza preservato nelle sue prerogative nel generare molteplici vantaggi e occasioni di lavoro. Del “Formianum” la parte che cela inedite possibilità è quella collinare dell’Acervara attraverso l’ottocentesca via “Militare” che la percorre e che permette di accedere al sepolcro rupestre di Tulliola e alla soprastante piana “Le Fonti”, dove insistono i resti di una villa romana con cisterna: un’area di elevato pregio panoramico, tutta da rivalutare anche tramite attività naturalistica, di rimboschimento o di culture specializzate. Si tratta quindi di riconoscere questi valori e le opportunità offerte da questa parte del territorio principalmente a Formia, ma che credo anche a Gaeta, nella considerazione che queste due città sono inscindibili in un comune patrimonio di paesaggio.
Didascalie immagini : 1 – Mappa del “Formianum” di Cicerone (Ciccone 1993); in rosso gli antichi tracciati viari: A, Tomba di Cicerone e B villa connessa (prop. Lamberti); C, Tomba di Tulliola; 1, resti di acquedotto e 2 serbatoio di arrivo; 3, basamento di edificio pubblico (tempio di Apollo?); 4, resti di approdo; 5, 6, resti di villa rustica con cisterna. 2 – La via Appia presso la Tomba di Cicerone. 3 – Il paesaggio del “Formianum” dalla Tomba di Tulliola (a destra) sul colle Acervara (foto G. De Filippis). 4 – Resti del sepolcro di Marco Vitruvio sulla via Appia presso la Fontana Romana.

sabato 5 novembre 2022

IL PAESAGGIO DEL “FORMIANUM” DI CICERONE - di Salvatore Ciccone
Negli ultimi due articoli che ho qui pubblicato, riguardo la chiesa incognita sulla via Appia e la via Olivella, emerge il valore e il significato del paesaggio, vale a dire l’insieme dei fattori ambientali intrecciati a quelli della cultura materiale e immateriale di un popolo a costituire l’identità di un “paese”; è scambiato con il panorama che di esso rappresenta solo un’ampia parte visibile. Attualmente le dinamiche di progresso prevalgono a snaturare se non distruggere l’essenza dei paesaggi e ovviamente devastandone i panorami, usando pretenziose soluzioni “urbanizzanti” ed enucleando dai contesti solo quegli elementi giudicati di valore per lo stesso sviluppo economico. Esempio emblematico per Formia fu l’attraversamento della via Litoranea su uno dei tratti di costa urbana più belli d’Italia: ciò fu possibile con la strada progettata come asse di un parco archeologico per accedere alle aree monumentali, devastandole e poi rese indisponibili; una distorsione asservita al gretto utilitarismo col benestare dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione! In base a questo temo l’evolversi di idee e progetti di “passeggiate” sulla costa archeologica cittadina, che se anteposte sul mare ne terminerebbero le caratteristiche superstiti e irripetibili. Non di meno temo il concepimento di raccordi viari a servizio del porto di Gaeta, ad investire una delle zone più belle del territorio di Formia: la valle di Pontone retrostante la costa di Vindicio, attraversata da uno dei più rinomati tratti della via Appia antica risaltata dalla celebre Tomba di Cicerone. Non sono tranquillo e non dovrebbero esserlo tutti i cittadini formiani, riguardo alla protezione e al controllo di queste risorse da parte degli uffici preposti, considerando i trascorsi ed anche l’attualità come nell’area archeologica di Giànola con opere che chiunque potrà giudicare. La mia opinione è che Formia da tempo sia considerata come ‘porto franco’ per ogni azione altrove non accettabile e consentita in un acritico automatismo burocratico. Non è il caso di risalire alle cause di ciò, ma credo e anzi voglio credere ancora che si possa fermare questo scempio muovendo l’interesse dei nativi e non, per essere orgogliosi di vivere questo territorio nella sua più completa dimensione e prospettiva per sé e per i propri discendenti; quindi non basta infondere curiosità, ma si deve comprendere il valore dell’insieme e soprattutto sentirlo proprio. Dunque il paesaggio della via Appia nella piana di Pontone (fig. 1). Esso è stato ammirato e descritto tra i più belli dai viaggiatori del Grand Tour che da tutta Europa e dal settentrione della Penisola da Roma si portavano a Napoli. Nel lungo percorso nella piana di Fondi e poi per l’angusto valico di Sant’Andrea alla valle di Itri, improvvisamente gli si spalancava il Golfo di Gaeta: lo vedevano presso la Tomba di Cicerone in un unico scenario emblematico di storia e natura, rievocante le origini mitiche e le glorie della romanità nello sfondo partenopeo ravvisato dal fumante Vesuvio. Questa visione viene efficacemente restituita in una stampa incisa da William Brockedon (1787-1854) nello “Illustrated Road Book from London to Naples” del 1835 (fig. 2), dove il suo commento puntualizza il monumento costruito nel luogo dove Cicerone venne ucciso dai mandatari di Marco Antonio il 7 dicembre del 43 prima di Cristo. Questa identificazione è riportata da altri autori, i quali riferiscono di una viuzza accostata al sepolcro che giungeva al mare e sulla quale sarebbe avvenuto il delitto: in effetti parte di questa stradina lastricata appare inclusa e sepolta nel recinto funerario. Nell’immagine appaiono due elementi di apparentemente fantasia: in primo piano delle agavi sul bordo viario e il monumento come torre difensiva. Le agavi in effetti c’erano e lo dimostra una fotografia in simile vista di primo Novecento (fig. 3), ciò che riporta alla veridicità della torre. Quest’ultima specificità si coglie nella prima immagine del monumento (fig. 4), nell’unica incisione a corredo del volume “Osservazioni critiche sopra la Storia della via Appia di Don Francesco Maria Pratilli”, edito a Napoli nel 1754, scritto dal dotto Erasmo Gesualdo di Gaeta. Egli dice di averne chiesto il disegno al celebre pittore conterraneo Sebastiano Conca (1680 – 1764), ma l’incisione è siglata da Giuseppe Vasi (1710 –1782), architetto corleonese famoso per le sue vedute di Roma, ove morì. Qui la torre appare con le esplicite caratteristiche difensive, merlatura su beccatelli e un piccolo edificio sulla sommità. Ciò rispecchia la stessa denominazione di allora, Torre di Cicerone, con l’evidente impiego di sorveglianza di quel transito importante in rapporto al castello di Gaeta, probabilmente riadattata durante il periodo Aragonese, circa dalla metà del Quattrocento. Ma l’illustrazione Conca-Vasi è anche unica nel dare una visione del sito distinto dalle testimonianze connesse a Cicerone. Difatti a monte dell’Appia sono contemplati altri ruderi tra i quali spicca sulla prospiciente collina quella che la tradizione indica “Tomba di Tulliola”, la figlia dell’Oratore morta di parto. Gesualdo vuole che questo sepolcro sia quello vero di Cicerone facendo anche leva sul discutibile ritrovamento dell’iscrizione “Acerba Ara” da lui relazionata all’aspra morte di quello e al nome stesso della collina, Acerbara. In realtà in nome è Acervara deriva dal latino “acervus”, mucchio, cumulo, riferibile al rudere composto da più elementi ravvicinati. Questo monumento funerario è altresì specificatamente illustrato da Carlo Labruzzi nel 1789 e da Pasquale Mattej nell’illustrazione di un suo articolo sul “Poliorama Pittoresco” del 1837 (fig. 5): questi ricolloca la tomba di Cicerone e per il sepolcro rupestre riporta la notizia del ritrovamento nel Quattrocento di una mummia di donna, da una iscrizione identificata in Tullia, figlia di quello. Un altro disegno di Labruzzi, della stessa serie presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, raffigura la tomba di Cicerone dove in alto sulla collina allora boscosa appare l’altra di “Tulliola” (fig. 6): sulla sommità del primo appare un casotto traforato, inconfondibile piccionaia atta alle comunicazioni militari. La sedimentazione storica di questo paesaggio oggi si arricchisce di significati e nel pregio da nuove acquisizioni scientifiche di una più probabile per non dire certa appartenenza al “Formianum” di Cicerone. La sua villa è dagli antichi collocata parte sul mare e parte in altura e che ben si adatta alla zona di Pontone-Vindicio, dove è attendibile il monumento celebrativo: nell’anno 954 l’Ipata di Gaeta Docibile II vi annovera nel suo testamento un “vico ciceriniano”, cioè la villa di Cicerone. Pensare ora quella valle contrassegnata dal podere e dal sepolcro di quell’uomo illustre in tutto il mondo sconvolta per sempre da opere tanto inopportune quanto altrove collocabili, renderebbe nel paesaggio veramente tangibile l’identità di un popolo, ma nella barbarie. (Sulla villa e la Tomba di Cicerone si veda dell’Autore in “Formianum”, Atti del Convegno IX-2001) Didascalie delle immagini
1 - La piana di Pontone e la Tomba di Cicerone all’inizio degli anni 1960 (foto di P. G. Sottoriva). 2 – La veduta della via Appia presso la Tomba di Cicerone realizzata da Brockedon nel 1835. 3 – La via Appia e la Tomba di Cicerone nel primo Novecento (coll. R. Marchese): in primo piano, agavi. 4 – Stampa nell’opera di Gesualdo del 1754: a destra la Tomba di Cicerone, sulla collina quella di “Tulliola”. 5 – La Tomba di Tulliola raffigurata da Mattej nel “Poliorama Pittoresco” del 1837. 6 – La Tomba di Cicerone disegnata da Labruzzi del 1789: in alto a sinistra la Tomba di Tul