Cerca nel blog

Etichette

giovedì 22 settembre 2022

NUOVE INDICAZIONI SULLA STATUA DI SAN MICHELE E IL MONTE ALTINO di Salvatore Ciccone
A Marànola, all’inizio dell’estate, con la tradizionale “Scalata di San Michele” la statua dell’Arcangelo viene condotta al suo santuario nello speco del Monte Altino a 1.100 metri di quota; il ritorno nella chiesa dell’Annunziata all’ingresso del paese nella ricorrenza del Santo, il 29 settembre, quest’anno è anticipato alla domenica 18. In occasione dell’ascesa del simulacro, ho dato indicazioni sulla vera attribuzione dell’epoca e dell’autore da me svelati giusto trent’anni orsono, essendo infatti la statua di pietra peperino ritenuta antichissima dalla tradizione e sulla cui scorta fatta risalire nientemeno all’antica Roma. La scultura è invece senza ombra di dubbio realizzata nel XVI secolo, dove poi sulla base compaiono le iniziali P.F. come di consueto apposte da Pompeo Ferrucci, scultore originario di Firenze e vissuto all’incirca tra il 1566 ed il 1637, del quale si confrontano altre opere nella massiva produzione artistica a Roma all'inizio del Barocco. Nondimeno sulla stessa base è da considerare lo stemma ovale approssimativamente inciso, quello del casato Orsini, più problematico da interpretare. Vi appartenne infatti la madre del Conte Onorato I Caetani, il quale a Marànola diede nuova finalità difensiva per la contea di Fondi assieme a Castellonorato da lui fondato, ma siamo a duecento anni prima della sacra scultura. Una nuova indicazione riguarda lo scultore Lodzja Brozsky, interpellato a Roma nel 1888 per il restauro della statua da monsignor Vincenzo Ruggiero, intento alla ricostruzione del Santuario. In realtà il nome questo scultore, così riportato nella pubblicazione di don Ruggiero, forse un nomignolo, e che io stesso ho da egli trascritto, non esiste. È invece di riscontro Viktor Brodsky, (Olexinek, Polonia, 1825 - Roma 1904) formatosi in Russia presso l’Accademia di Pietroburgo e poi stabilitosi a Roma fino alla morte, famoso per il suo virtuosismo nello scolpire dettagli come le lacrime e la trasparenza degli indumenti, nominato professore a Pietroburgo e in Italia insignito di titoli accademici. Molte sue opere sono in Russia e in patria, mentre a Roma spicca la statua del “Redentore” da lui donata a papa Pio IX allora in villa Albani e adottata a modello ufficiale della sacra effige. Comunque il restauro del simulacro venne espletato dal suo collaboratore Giuseppe Blasetti (Roma 1826 – 1908) di cui è notevole la monumentale statua “Silenzio” (1878) sull’ingresso del Cimitero del Verano. Una scoperta a me cara, perché fatta sui banchi del liceo, è quella del quadro dipinto da Nicolas Poussin, “Et in Arcadia ego” o “Pastori d’Arcadia” del 1650 ed esposto al Louvre, nel quale vi appare rappresentato l’inconfondibile profilo del monte Altino; circostanza da far risalire al ristretto ambiente artistico della sua produzione essendo francese naturalizzato romano (Les Andelys 1594- Roma1665). Il dipinto rappresenta dei pastori presso un sepolcro romano intenti a leggerne l’iscrizione “Et in Arcadia ego”. Lo sfondo della scena è rappresentato da una valle con una quinta di monti di cui una cima che si staglia sul monumento colpisce per la somiglianza con quella superiore allo speco di San Michele, dal 1901 recante la monumentale statua del Redentore e la cui identità dell’autore è rilevata nel libro di Gerardo De Meo in corso di stampa. Tante sono le peculiarità riprodotte di quelle rocce come possono vedersi dall’occidentale altopiano di Gegne, con la vetta fatta risaltare al di sopra della tomba e portando le altre creste a lato della composizione, delle quali quelle a destra richiamano l’altrettanto particolare costa di Monte S. Angelo. Non può trattarsi di casualità perché il Poussin spesso nelle sue composizioni unisce elementi reali di natura e architettura tra loro distanti, basandosi su una documentazione rigorosa e su complessi procedimenti ideativi verificati con modellini di cera a tutto tondo. Qui poi questo paesaggio alpestre si presta bene ad esprimere un mondo ancestrale e una meditazione sul tempo e sulla morte; un tema caro alla poetica del Poussin incline ad un nuovo classicismo, intellettuale con un forte interesse per l’archeologia ed introdotto a Roma in un circolo di “cognoscenti”. A distanza di molti anni questa osservazione diviene fondata certezza, poiché si apprende ora che il Poussin fu a Gaeta intorno al 1630. Il fatto è rilevato nell’articolo di Stefania Tuccinardi e Giuseppe Scarpati (in “Symplegmata”, Napoli 2018, pp. 21-51) circa il Vaso di Salpion, opera marmorea greca del I secolo a. C. utilizzata come fonte battesimale nella cattedrale di Gaeta e poi trasferita nel Museo Archeologico di Napoli: sembra che l’illustrazione dionisiaca del vaso abbia ispirato il quadro di Poussin “Nascita di Bacco” del 1657 presso il Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.). La presenza del pittore nell’area del Golfo può spiegare anche l’origine del soggetto della grande tela del martirio di S. Erasmo del 1628-29 per lo specifico altare nella basilica vaticana, nel Settecento posta nella pinacoteca e sostituita con una replica di mosaico. L’illustrazione non è secondo la “passio” ufficiale del martirio avvenuto a Formia, bensì rispetto a quella che tramanda il supplizio dell’eviscerazione confrontata dalla tradizione locale, dove comunque San Michele fu da guida al Santo, fatto che rafforza la relazione con il luogo dedicato all’Arcangelo e che può aver portato il pittore a documentarne il sito. Ritornando al quadro “Pastori d’Arcadia” La composizione si presenta oltremodo documentativa rispetto ad una versione risalente al 1630 conservata in Inghilterra, del tutto diversa e priva di riferimenti paesaggistici. Inoltre il sepolcro connesso alla cima soprastante il santuario può essere relazionato al rinvenimento in questo di una iscrizione funeraria romana, oggi nella chiesa di S. Luca, dedicata ad un bimbo di nove anni e a sua madre di 30 congiunti di un Valerio Menestrate, reperto che risalta in presenza dei resti di una villa romana sul monte Lapillo che domina proprio il sottostante altopiano di Gegne; ciò spiegherebbe l’espressione teneramente malinconica dei pastori, motivata più che dalla sola frase dipinta “Et in Arcadia ego”.
Bibliografia dell’Autore - L’Arcangelo Michele del Monte Altino, “Lunario Romano”, Santuari cristiani del Lazio, pp. 175-194, Roma 1992. - La statua San Michele dalla leggenda alla storia, “Storia Illustrata di Formia”, vol. III, Formia in età moderna, pp.217-232, Pratola Serra 2000. - Una costruzione di epoca romana sul monte Lapillo a Formia, “Latium”, rivista dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale, 34/2017, pp. 75-83. Didascalie delle immagini - La vetta del monte Altino sormontata dalla statua del Redentore: sotto la parete rocciosa a sinistra si intravede lo speco del Santuario di San Michele. - Il quadro “Et in Arcadia ego” dipinto da Nicolas Poussin nel 1650: sul sepolcro spicca il profilo della cima del monte Altino.

Nessun commento:

Posta un commento