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lunedì 5 dicembre 2022

INDAGINI SULLA “TOMBA DI TULLIOLA” - di Salvatore Ciccone
Nello scorso articolo sul paesaggio del “Formianum”, la villa di Cicerone, ho fatto cenno alla “Tomba di Tulliola” situata sulle pendici del colle Acervara. Tulliola era il vezzeggiativo di Tullia, la figlia tanto amata da Cicerone e che morì giovane di parto. I ruderi in effetti rispondono ad un sepolcro rupestre nel quale il Gesualdo nel 1754 (Osservazioni Critiche…) voleva però identificare la vera sepoltura del padre (fig.1), facendo leva finanche sul nome della collina: sarebbe una corruzione dall’iscrizione ACERBA ARA di là estratta anni prima e riferita alla cruda morte di quello. In realtà il toponimo proviene dal latino “acervus”, riferibile al “cumulo” di elementi del rudere. La tesi venne rinvigorita dal Principe di Caposele (Antichità Ciceroniane) allorché disse di avervi rinvenuto nel 1798 e fatta nascondere una statua priva di testa di un uomo in toga, confrontabile con un oratore. L’attribuzione del monumento a Tullia si perde nel tempo e incontra l’episodio riportato da Pasquale Mattej (Poliorama Pittoresco) tratto da Celio Rodigino nel 1516 (Antiquae Lectiones), secondo il quale al tempo di Sisto IV (1471-1484) venne rinvenuta la mummia di una donna in un sepolcro sulla via Appia davanti alla Tomba di Cicerone, identificata come figlia di questi da una iscrizione. Tutto ciò mi ha spinto fin dalla metà degli anni Settanta a svolgere una serie di indagini per collocare il monumento nell’ambito dell’autenticità. i rilievi restituiscono un unitario complesso funerari (fig. 2) situato a mezza costa circa a 100 metri di quota, costituito da una terrazza contenuta sul ripido pendio con muri in “opus incertum”, profonda circa 15 metri e con una fronte di circa 30, divisa al centro dai muri paralleli di una scala di accesso larga m. 2,35. La metà occidentale dell’area era sovrastata da una coppia di torri ottagonali integrate al muro di ritenuta superiore e tra le quali si sopraelevata una piazzola; nella metà opposta si ergeva isolato un altare monumentale con alta cuspide conica. Retrostante al medesimo muro vi è un ipogeo naturale la cui volta è però crollata, probabile camera funeraria. Il monumento si allineava sulla stradina di un insediamento rustico con cisterna sul soprastante pianoro “Le Fonti”, tuttavia a quello inadeguato; la posizione invece lo rendeva visibile dalla villa litoranea in asse alla Tomba di Cicerone, che appare rispondente alla di lui tenuta con una parte in altura a mille passi dal mare, circa 1500 metri. Il muro di contenimento a monte, variamente documentato, era in ”opus quadratum” di pietra calcarea, superstite in sua continuazione sul lato esterno del basamento a podio della torre occidentale (figg. 3, 3A): con filari regolari su nucleo cementizio costituiva un dado raccordato ad uno zoccolo con modanatura a gola rovescia espansa e sopra limitato da cornice, il tutto elevato dal calpestio in lastre calcaree squadrate tramite un piedistallo, come unicamente testimonia la seconda torre integralmente vittima delle spoliazioni. Pochi resti sono a cognizione della torre occidentale: era cementizia, ottagonale, con lato di circa metri 1,55 e larga 3,75; paramento in fasce orizzontali alterne a minuto “opus reticulatum” e a frammenti di tegole; altezza ipotizzabile due volte la larghezza in metri 7,48 e 11,24 dal calpestio. La struttura cuspidata, abbattuta nel secondo conflitto, in una rara foto (fig. 4) mostra nucleo cementizio a base quadrata con sovrapposta muratura di tegole: in traccia sul suolo e dagli elementi sparsi, si doveva comporre di un podio rivestito con blocchi di arenaria dorata di Gaeta, con esclusiva cornice a gola rovescia espansa su entrambi i margini e l’elemento conico con il paramento di tegole; inclusa nella spianata e col lato di circa tre metri doveva pareggiare almeno l’altezza delle torri. L’elemento riferisce alla tipologia di un’ara o altare, il cui cono simboleggiava l’ascesa dell’offerta sacrificale. Si confronta con quelle plurime del sepolcro tardo repubblicano alle porte di Albano, notevole per l’uso di una pietra dorata benché vulcanica. Alla stessa età accordano le modanature espanse come nel podio delle torri e non contraddetta dal paramento di quelle, quale decorazione a scandirne l’altezza. Durante le indagini ho voluto dar credito al ritrovamento della statua e mi sono impegnato in una sua ricerca estenuante lungo la rupe; quando sembrava non dare esiti, stanco e arreso mi accorsi…di starci sopra, confusa com’era tra le rocce. In realtà rappresentava una figura femminile panneggiata in posa di “pudicizia”, priva dei piedi e con il solo incavo per l’inserimento della testa purtroppo irreperita; la statua, esposta nel Museo di Formia (fig. 5), venne recuperata dalla Soprintendenza Archeologica insieme ad un frammento epigrafico della stessa pietra di Gaeta che comprovava come l’ara conica fosse iscritta. Ora resta il problema dell’appellativo tradizionale che sembra avvalorarsi e trovare origine in quel ritrovamento della mummia con epigrafe e che il Mattej relegò più tardi, come la statua e la ACERBA ARA, nel mondo della fantasia. Ne dubitava il Middleton nel 1744 (Vita di Marco Tullio) il quale scriveva di non aver mai saputo di una Tomba di Cicerone sulla via Appia, invece qui attestata. Determinante è quanto riportato da Ceram nel fortunato libro “Civiltà al sole”, riguardo la lettera del 1485 dell’umanista Bartolomeo Fonte al mercante Francesco Sassetti, amico di Lorenzo il Magnifico. Vi riferisce del rinvenimento al sesto miglio della via Appia di un sepolcro nel cui sarcofago venne trovata la mummia di una giovane donna ricoperta da unguento profumato e così ben conservato da sembrare deceduta il giorno stesso, con i capelli intrecciati di seta e oro, ma che nessuna iscrizione attestava la sua identità: ne inframezza il disegno (fig. 6), l’unico finora conosciuto, del corpo con il sarcofago, quando fu esposto al Campidoglio e visto in pochi giorni da oltre ventimila persone, finché il papa Innocento VIII prese la decisione di farlo seppellire in un luogo segreto. Dunque il fatto somiglia a quello riportato da Rodigino, benché questi lo collochi al tempo di Sisto IV, invero morto nel 1484, ma con la sostanziale differenza di essersi il corpo disfatto tre giorni dopo essere stato trasportato a Roma e che una iscrizione lo identificava con Tullia, figlia di Cicerone. Dunque un episodio creduto fantastico trovava riscontro in un reale accadimento, ma come confrontare la tradizione locale di Tulliola, con quella la mummia senza iscrizioni? Credo nella possibile somiglianza o meglio confusione tra due distinti episodi di cui certa è la mummia di Roma e possibile il rinvenimento di epigrafi sul sepolcro rupestre; questo in un periodo in cui l’interesse per le antichità trovava approssimata diffusione tra gli umanisti del Rinascimento. Una risposta è ancora da attendere e sono certo che verrà, se il monumento sarà sottoposto agli scavi scientifici ed estendendo le ricerche d’archivio, ma ciò sarà possibile nella considerazione del paesaggio che ci comunica valori e in generale la fede e la capacità di affrontare le sfide del futuro. (Sull’argomento dell’Autore con bibliografia in “Formianum”, Atti del Convegno IX-2001).
Didascalie delle immagini: 1 – Stampa nell’opera di Gesualdo: a destra la Tomba di Cicerone, sulla collina quella di “Tulliola”. 2 – Pianta e ricostruzione sintetiche del complesso funerario “di Tulliola” (Ciccone, 1982). 3 – Sopra, il podio della torre occidentale e la stessa vista da oriente, con il muro della scala e l’area della cuspide. 3 A - Disegno di Labruzzi del 1789 (Bibl. Ap. Vaticana): a sinistra la cuspide e a destra le basi delle due torri. 4 – La “Tomba di Tulliola” raffigurata da Mattej nel “Poliorama Pittoresco” del 1837: a destra la cuspide nel 1930. 5 – A sinistra in basso, la statua a valle del sepolcro prima del trasporto nel Museo Archeologico di Formia, a destra. 6 – Disegno nella lettera di Bartolomeo Fonte nel 1485 della mummia col sarcofago trovati nei pressi di Roma.

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