Cerca nel blog

Etichette

giovedì 16 giugno 2022

LA STATUA FORMIANA DI SAN GIOVANNI BATTISTA - di Salvatore Ciccone -
San Giovanni Battista, compatrono di Formia con Sant’Erasmo qui martire nel 303, ha grande venerazione nella parrocchia di Mola, borgo marinaro presso il porto romano che prese nome dall’antica attività dei mulini mossi da canali d’acqua sorgiva. Nella chiesa contitolare a San Lorenzo, sostitutiva di quella esistita sulla costa prospiciente, la devozione si concretizza nel tramite della sua statua di grande pregio e vigore espressivo avvolta da leggenda, come di consueto per queste sacre immagini, restando ignoto lo scultore e al quale risalire è possibile solo da un autografo, o documenti d’archivio o da una accurata analisi di raffronto. Proprio quest’ultimo caso mi fu offerto dal volume “Giuseppe Picano nella scultura del Settecento napoletano”, scritto da Giovanni Petrucci ed edito da Caramanica nel 2017. Il personaggio che si dice nato a Sant’Elia Fiumerapido nel 1725, ma documentatamente a Napoli il 14 maggio 1716 da Dorotea de Mari, fu sacerdote scultore di figure sacre di grande fama e caposcuola di lunga vita artistica morto ultranovantenne, formatosi nel laboratorio del padre Francesco Antonio nella realizzazione di figure presepiali. Nell’ottima ricerca di Petrucci si elencano numerose sue opere, per lo più a Napoli, ma anche in Puglia e in Calabria ed in un consistente nucleo nel palazzo Picano del centro cassinate. La sua arte meritò la considerazione di re Ferdinando IV di Borbone, allorché ammirato per una statua dell’Immacolata gli elargì una congrua gratifica. Quindi questi massimi esempi di sculture sacre nulla hanno di inferiore rispetto a quelle di più duro materiale e di più vario soggetto se non l’essere di destinazione processionale e per questo di legno più leggero, nonché di aver mantenuto dalla scultura antica l’uso del colore per rendere i soggetti simili al vero, nello specifico di immediato e maggiore impatto percettivo. La statua di San Giovanni di Formia è evidentemente di fattura tardo barocca, pregevole nella resa anatomica e nell’elegante incedere, con una mano levata al cielo ad annunziare il Cristo e investita da un vento quasi divino: sbandiera il rosso mantello che scopre la povera ma dorata tunica di vello sghemba sul nudo torace; la testa ricca di capelli scuri fluenti sulle spalle che inquadrano il viso barbato giovanile con le labbra nell’atto di proferire. La modalità espressiva si ritrova nella pittura di Sebastiano Conca di Gaeta (1680-1764), pittore celeberrimo di iconografia sacra, che operando sia Napoli che a Montecassino è probabile che Picano vi sia venuto in contatto o recepito gli influssi; alle sculture di questi la statua formiana offre interessanti riscontri, segnatamente con quelle di medesimo soggetto, entrambi del 1750, delle omonime chiese di Ceppaloni e di Pannarano in provincia di Benevento. Il simulacro formiano si può quindi con buona probabilità collocare nella sua bottega, nella quale operarono i giovani Francesco Verzella, Giuseppe Sarno e il sardo Giuseppe Antonio Lonis. In ogni modo nel quadro artistico del genere dell’arte napoletana sono da considerare altre produzioni e in particolare quella di Carmine Lantriceni, artista di grande espressività emotiva firmante un busto del Battista risalente circa al 1720 nella omonima chiesa di Massaquano frazione di Vico Equense nell’area metropolitana di Napoli, quindi anteriore seppure di poco al Picano. Bisogna poi considerare il contesto architettonico della originaria chiesa presso il Castello di Mola, dedicata ai due Santi già nel 1566 in quanto si dice prima costituita da due aule separate, ma sicuramente trasformata nel Settecento come stilisticamente manifestata dal campanile a guglia ‘fiammata’ o ‘a cipolla’. Della chiesa distrutta nel 1943, il luogo in via Abate Tosti è oggi contrassegnato da una lapide riproducente la facciata da uno schizzo di mio padre Giovanni Ciccone. Apparentemente la tradizione non concorda con l’epoca del culto a Mola e con l’indubitabile stile del simulacro, che lo si vuole trafugato dai molani dalla medievale chiesa di San Giovanni Battista sotto Castellone antica arce di Formia, anch’essa distrutta e del quale resta il nome al vico su via Rubino: il suo legno si vuole fosse quello di un tronco di ciliegio spiaggiato ad oriente di Mola e miracolosamente ritornato più volte dove era stato spostato. In effetti vi è il tratto di litorale detto Santo Janni, toponimo che trova spiegazione in una cappella di San Giovanni “del Fiume”, registrata in un documento del 1490 nell’Archivio Capitolare di Gaeta, probabilmente rifererito al fiume di Giànola presso l’omonimo promontorio; nella zona è ugualmente annoverato un San Giovanni ma ”del Trullo”, come pure nel 1516 vi si localizza la dipendenza di un orto. Dunque una sede distaccata campestre della chiesa di Castellone a devozione degli agricoltori prevalentemente di questo borgo. Lo studio si avvantaggia della tradizione integrale riferitami dall’amico Giovanni Bove, appassionato e valente studioso della cultura popolare di Formia, e che trovo registrata in un suo articolo (“Formia Turismo”, n. 3, 1991). Riferisce che il tronco arenato venne visto e portato a casa da un contadino di Castellone e che miracolosamente la terza volta si sarebbe spostato davanti la porta della chiesa di San Giovanni Battista di quel borgo; da qui la decisione di farvi scolpire la statua di quel Santo, inviando il legno ad un grande artista di Napoli e che una volta realizzata venne trasportata via mare e solennemente condotta in quella chiesetta. Tuttavia anche qui si sarebbe compiuto il miracolo allorché il simulacro per tre volte si sarebbe portato davanti alla chiesa di San Lorenzo a Mola dove era l’antica congrega intitolata al Battista, per la qual cosa i castellonesi incolparono di furto i molani. In realtà la chiesa di Castellone nella metà del Settecento venne sconsacrata e la statua con le suppellettili acquistate dalla congrega di Mola, qui a determinare l’incremento del culto e le modifiche della chiesa con doppia titolarità. Tornando alla probabile identificazione dell’autore della statua, la certezza potrà provenire solo da un attento esame della scultura, si spera, da una firma celata sulla base o dalle ricerche d’archivio. Comunque queste cognizioni nulla tolgono al fascino dell’arcana tradizione e tantomeno alla fervente devozione verso il Santo identificata nel simulacro così mirabilmente espresso: fanno invece risaltare proprio la incommensurabile entità popolare e la spiritualità più prossime all’eterno.
Didascalie foto : 1 - La settecentesca statua di San Giovanni Battista di Formia durante l’omaggio dei pescatori. 2 - Confronto stilistico con la statua di Pannarano, scolpita da Giuseppe Picano (1750). 3 – Confronto stilistico con il busto di Massaquano, scolpito da Carmine Lantriceni (circa 1720). 4 - Il gonfalone riproducente il simulacro di San Giovanni Battista, opera dell’artista prof. Giovanni Ciccone, 1986 (Formia 1923 – Napoli 2002). 5 - La chiesa dei Santi Giovanni Battista e Lorenzo presso il Castello del borgo di Mola in via Abate Tosti, in uno schizzo a memoria di Giovanni Ciccone.

Nessun commento:

Posta un commento