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venerdì 14 ottobre 2022

LA CHIESA INCOGNITA - di Salvatore Ciccone
Tra i tanti disegni che il colto artista Pasquale Mattej produsse intorno la metà dell’Ottocento, quasi fotogrammi del suo peregrinare nel territorio di Formia, un soggetto mi incuriosisce ben oltre l’apparenza. È in due simili schizzi nell’album conservato presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma, che rappresentano un tratto della via Appia presso il bivio della via Canzatora in direzione di Formia, dove la carreggiata appare limitata da un fabbricato diruto ma caratterizzato da un pregevole portale: dei due schizzi uno è annotato “Scansatoia 20 feb° 47” e l’altro con “Casa di Polito alla Scansatoia, chiesa diruta 14 marz° 47”, dunque eseguiti nel 1847 una ventina di giorni l’uno dall’altro. La Scansatoia è appunto la via oggi omologata “Canzatora”, definita anche “Spartitora d’Itri” nel ‘700, strada che consentiva il diretto collegamento con la via litorale più interna al golfo di Gaeta già in epoca romana, come ha dimostrato il selciato di recente venuto in luce. Poi nel secondo disegno, a parte il nome del proprietario, certo Polito, quello che risalta è la definizione del rudere in “chiesa diruta”, senza specifico titolo insolito alla scrupolosità del Mattej. Comunque, rispetto ad altre sue raffigurazioni lungo la via Appia che oggi non hanno riscontri, queste invece corrispondono con lo stesso rudere ulteriormente degradato, certamente riconducibile ad un edificio di culto. Il fabbricato è a pianta rettangolare all’incirca di 15 metri lungo la via e di 8 metri nell’interno, con muri rosi di una sequenza di vani scoperchiati dei quali si distingue quello estremo verso Formia, con resti di copertura a botte, come androne di passaggio del campo retrostante: ampio poco più di 3 metri, tiene all’interno un muro aggiunto alla parete verso Itri, rinforzo alla sopraelevazione abitativa palese nei disegni di Mattej. La volta è tranciata nella parte di colmo che era pressappoco 5 metri dal pavimento e pare essere stata moderatamente a sesto acuto: è di tipo massiccio, formata di blocchi di tufo giallo rinfiancati da calcestruzzo livellato per un piano superiore; resto di una simile volta si osserva nel vano susseguente. L’androne è quello che corrispondeva al portale illustrato e perciò doveva costituire l’aula di culto il cui fondale è però totalmente aperto sul campo e non determinabile. Nulla resta dell’ingresso che dai disegni appena si può delineare nella sua principale caratteristica. Si tratta infatti di un portale di stile “durazzesco” riferibile al quattrocentesco tardogotico, individuato dalla incorniciatura quadrangolare della parte alta a contenere e a risaltare l’arco, qui in più con un soprastante fastigio in forma di frontone triangolare ‘spezzato’, probabilmente per accogliere nel mezzo un elemento emergente. Di questo portale, almeno in parte di elementi di pietra o marmo, ho tentato una ricostruzione schematica del tutto ipotetica con possibile proporzionamento secondo la “sezione aurea” e al relativo rettangolo, solo per rendere intellegibile il disegno di Mattej. Dunque l’edificio presenta una modalità costruttiva in uso nel ‘400 e combacia lo stesso portale più evoluto da collocare nella seconda metà o allo scorcio del secolo medesimo. La chiesa si collocherebbe quindi nel periodo della conquista aragonese, da Alfonso V che dalla presa di Gaeta del 1435 vi eresse la reggia per sette anni per poi insediarsi a Napoli, fino al figlio Ferdinando sul finire del secolo. Allo stesso periodo deve risalire l’adattamento della Tomba di Cicerone a vedetta e perciò prima detta “Torre di Cicerone”, con l’intonacatura sfaccettata del fusto cementizio tipica dell’epoca e la colombaia sulla soprastante terrazza, torre indispensabile a sorvegliare la via Appia in collegamento con il castello di Gaeta. Si deve rammentare quanto narra Beccadelli, biografo di Alfonso, quando il re non volle impiegare per le fortificazioni di Gaeta i massi appartenenti alla villa per “antica tradizione” indicata di Cicerone, di certo quelli del basamento del sepolcro e in quel “vico ciceriniano”, villa o contrada, citato nel testamento dell’Ipata Docibile II nell’anno 915, perciò probabilmente quello stesso monumento trasformato dagli Aragonesi in difesa. Si può quindi immaginare una organizzazione del territorio in relazione alla presenza del re, dove anche la chiesa assolveva una funzione utile sì, ma anche di immagine tanto è denotata dal pregevole portale altrimenti eccessivo per un sito rurale periferico. A quale titolo fosse dedicata la chiesa e a chi affidata resta un mistero; però se fosse stata connessa alla vicina abbazia di Sant’Erasmo che aveva molti possedimenti nella zona, essa sarebbe rimasta più lungamente in uso, presente nei documenti di quell’istituto come nella toponomastica, invece nulla di ciò. È quindi probabile che sia stata relazionata ad un ordine religioso di più recente insediamento, come quello francescano che a Gaeta era potentemente attestato anche nel monastero di Sant’Agata sull’omonimo colle e che attraverso quella chiesa periferica poteva dare assistenza ai contadini e ai viandanti ricavandone utili offerte. Simile situazione si è avuta con la chiesa di Santa Maria delle Grazie presso Giànola sulla stessa Appia, tenuta dai Francescani di Marànola nel cui territorio insisteva e della quale recentemente ho individuato l’edificio. Il culto della chiesa in questione poteva essere riferito alla Vergine come le frequenti cappelle mariane su strada di Gaeta ed Itri, il quale probabilmente imposto nell’ambito dell’abbazia benedettina, appena fu possibile venne da questa soppresso cancellandone totalmente la memoria: sappiamo di svariate cause intentate dai successori dei Benedettini cassinesi, quelli dell’ordine Olivetano insediatisi nel 1491, riguardo a chiese e cappelle che potessero distogliere i fedeli dalla loro influenza; anzi è proprio forse dall’insediamento di quelli che la chiesa di lì a poco può essere stata soppressa, tanto indietro nel tempo da cancellarne la memoria. Null’altro si può dire se non che alla ricerca infruttuosa di notizie, ho dovuto far posto ad un ragionevole rientro nel mio campo dell’architettura, lasciando ad altri l’eventuale rinvenimento di documenti, soprattutto sperando che questo contributo, nell’attuale bisogno di migliori auspici, possa muovere l’interesse e comunque salvaguardare la memoria di questa chiesa incognita.
Didascalie Immagini 1. Il rudere della chiesa incognita sulla via Appia raffigurato da Pasquale Mattej il 20 febbraio 1847: sul fondo la più evidente Tomba di Cicerone. 2. I ruderi della “casa di Polito” comprendenti la chiesa disegnati da Mattej il 14 marzo 1847. 3. Veduta attuale del tratto della via Appia con i ruderi identificati alle raffigurazioni di Mattej. 4. Vista frontale dei ruderi: a destra l’ambiente con volta corrispondente all’aula della chiesa. 5. Il portale della chiesa: dal primo disegno di Mattej e ipotesi del disegno (S. Ciccone, 2022).

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