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venerdì 21 ottobre 2022

UNA NUOVA IPOTESI SULLA CHIESA INCOGNITA - di Salvatore Ciccone
Ho iniziato il precedente articolo da due disegni di Pasquale Mattej del 1847 che raffigurano una “chiesa diruta” sulla via Appia presso la Tomba di Cicerone. La ricognizione del luogo ha evidenziato i resti ancor più degradati dell’edificio effettivamente rispondenti ai disegni, ma nulla è emerso sulla sua identità, né dai documenti, né dalla toponomastica locale. Si è supposto che tale ragione possa derivare dal remoto abbandono della chiesa, pressoché vicino alla sua istituzione, che dalla architettura rimonterebbe alla seconda metà del 1400, implicando forse i Francescani di Gaeta, il transitorio regno degli Aragona e un possibile conflitto con l’abbazia di Sant’Erasmo di Castellone. Proprio su questa pista, facendo riferimento alle continue cause intentate dagli Olivetani succeduti nell’abbazia nel 1491 a difesa della loro influenza, la mia attenzione si appunta sulla chiesuola di San Sebastiano eretta nel decennio 1470 e poi co-intitolata a San Rocco, situata davanti alla porta meridionale di Castellone detta più recentemente dell’Orologio. Dai documenti dell’Archivio Diocesano si documenta come il sacro edificio venne ostacolato fin dalla sua costruzione, alla fine compiuta ma con precisi condizionamenti al suo esercizio. Essa era intitolata a San Sebastiano, similmente all’altra cappella a Mola presso il castello e fuori la Porta degli Spagnoli, già abbandonata all’inizio del ‘600 e fittata ad altri usi. Essa era sussidiaria a quella interna di San Lorenzo, dove in quella attuale prevalsa da San Giovanni Battista è conservato il pregevole dipinto circa del 1490 riferibile ad Antoniazzo Romano, con San Sebastiano speculare a San Lorenzo ai lati della Vergine col Bimbo. Dunque, riguardo la chiesuola di Castellone, in un secondo momento compare anche il culto di San Rocco al quale oggi è comunemente riferita. Fatto sta che i due santi appaiono raffigurati sul trittico sopra l’altare, anche qui ai lati della Vergine col Bimbo. Quest’opera su tavole è firmata da Geronimo Stabile “neapolitanus”, probabilmente parente di Antonio attivo a Napoli nella seconda metà del Cinquecento e alla quale pure risale quest’opera. È pertanto da supporre che il culto di San Rocco venne istituito in antecedenza al dipinto, dove la figura dominante della Vergine sembra equiparare al Santo preesistente quello aggiunto successivamente nella cappella. Questa circostanza mi fa pensare alla possibilità che il culto di San Rocco possa essere stato trasferito a causa dell’abbandono di un altro specifico luogo; alla sua identificazione la natura del Santo è indicativa. Nativo di Montpellier intorno al 1350, il suo fervido credo lo condusse in pellegrinaggio in Italia curando miracolosamente gli infetti della peste che imperversava l’Europa e che fece strage della popolazione affliggendo egli stesso; morì a Voghera dopo tre anni di ingiusta prigionia più probabilmente il 16 agosto 1379. Il suo culto si propagò fulmineamente come secondo santo più invocato e diffusissimo con chiese e cappelle già alla metà del secolo successivo; alla sua specifica qualità si unì quella emblematica del pellegrino divenendone quindi anche patrono: così nel trittico di Castellone è nelle vesti di pellegrino intento a curarsi le piaghe. Il culto fu sostenuto dai frati di Assisi ai quali nel 1547 Papa Paolo III inserì nel loro Martirologio San Rocco in quanto ritenuto appartenente al Terz’Ordine Francescano. Questa canonizzazione mi riporta al monastero di Sant’Agata sull’omonimo colle di Gaeta, retto proprio dal Terz’Ordine Francescano; quindi il suo essere pellegrino alla chiesuola diruta sulla via Appia. Questa ipotesi verrebbe corroborata dalla natura dell’altro Santo, Sebastiano, che fu il primo ad essere invocato nelle pestilenze: anch’esso oriundo ‘francese’ di Narbona nato nel 256 d. C., ufficiale dell’esercito imperiale, fu martirizzato a Roma trafitto da innumerevoli frecce e creduto morto, guarito dalle ferite similmente alle piaghe della peste e poi ucciso per flagellazione il 20 gennaio del 288. Pertanto la chiesa di San Sebastiano già lo vedeva invocato contro le epidemie cui il successivo San Rocco appare sminuirne la qualità, a meno che quest’ultimo come pellegrino fosse considerato rifugiato presso quello con simile ufficio, da un luogo non più sicuro o dismesso per complessi motivi. Si deve ricordare che la dominazione Aragonese venne interrotta con la discesa in Italia di Carlo VIII, il quale nel 1495 prese Gaeta facendo scempio di popolazione persino nelle chiese e queste depredate e rovinate tanto che una delle quattro navi carica dei bottini naufragò presso Terracina e approfittata da quegli abitanti. Sicuramente a questa data la chiesa sulla via Appia non poté scampare e neppure la torre di vedetta adattata nel sepolcro di Cicerone. In questa circostanza è probabile il riparo del culto a Castellone, occasione forse per far decadere la chiesa periferica destinandola ad alto impiego, anche a frantoio come indica una pietra nei muri d’ampliamento. Si tratta naturalmente solo di una ipotesi, benché ponderata e molto probabile, cui mi serbo di mantenere la predominanza rispetto ad un culto mariano tipico di molte cappelle viarie della zona. Essa può costituire lo spunto di ricerche d’archivio, ma che potrebbero rivelarsi a lungo infruttuose. Nel frattempo è però da considerare lo stato del rudere, unica testimonianza certa di un culto e di non secondaria importanza. Esso è infatti in serio stato di degrado e il prossimo al cedimento di alcune sue parti potrebbe causare anche incidenti gravi al traffico viario. Questa urgenza nella apparente banalità dei resti potrebbe essere il pretesto di una facile risoluzione di abbattimento, cancellando definitivamente la memoria del sacro sito. Per la sua valenza storica la sua preservazione è cosa di competenza né si può addebitare ai proprietari, ma credo spetti al Comune di Formia e direi anche a quello di Gaeta sulla via che ne separa i rispettivi territori. Quanto poi alla chiesa di San Sebastiano e San Rocco di Castellone, essa sembra accomunata da similare sorte. Dopo il furto del trittico qualche anno fa e poi recuperato in parte mutilo dai Carabinieri, esso ancora non è stato ricollocato; benché tenuta aperta, si osserva un decadimento della stessa considerazione a confronto col restauro eseguito nel 2001 dalla Inner Wheel Formia-Gaeta, allora dinamicamente presieduta dalla compianta professoressa Paola Fabiani. Anche questo monumento presenta molti spunti di interesse. L’aula a tre campate con volte a crociera quattrocentesche è il risultato di una successiva trasformazione, essendo illustrata da Giacinto Gigante nel 1855 con antistante portico: è questo che chiuso ha costituito l’attuale terzo vano di accesso, insieme all’irrobustimento ‘scarpato’ del muro orientale. Si osserva come il portale d’ingresso sia una mescolanza tra le prevalenti parti ottocentesche e quelle visibilmente discordanti delle pietre ornate all’imposta dell’arco; in questo poi è l’ingenua riproposizione del sacro trittico. Si vede così come la conoscenza del nostro patrimonio muova la necessità della conservazione e la considerazione della cultura come base di ogni espressione della società civile. Per questo è proprio nell’attuale difficile situazione che questo principio deve essere sostenuto a fronte dell’incredibile sfaldamento di ogni certezza. Nello specifico caso si aggiunge la fede e comunque il dovuto rispetto verso il sacro che si spera possa essere ulteriormente determinante.
Didascalie Immagini 1 – La chiesa incognita in uno dei disegni di Pasquale Mattej del 1847 confrontata nel sito attuale. 2 – Vista frontale dei ruderi: a destra la parte dell’aula di culto. 3 – Chiesa di San Sebastiano e San Rocco a Castellone, confrontata con il disegno di G. Gigante del 1855 (da A. Treglia, Mola e Castellone di Gaeta oggi Formia, 2014): il portico risulta chiuso ad ampliamento dell’aula. 4 – Interno della chiesa di San Rocco con in primo piano l’ambito dell’originario portico. 5 – Il trittico con a destra rappresentato San Rocco.

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